Lavoro e professione

Fabbisogni formativi, Anaao Assomed: «Il disastro annunciato nella programmazione dei futuri medici. Post laurea da potenziare»

di Costantino Troise (segretario nazionale Anaao Assomed) e Carlo Palermo (vicesegretario nazionale vicario Anaao Assomed)

Il presidente della Giunta regionale del Veneto, Zaia, recentemente è intervenuto sulla questione del numero degli accessi alla Scuola di Medicina e Chirurgia per l'anno accademico 2017/2018, chiedendo sostanzialmente un superamento della politica del numero chiuso. Dell'argomento ci interessiamo da anni e possiamo affermare, a ragion veduta, che il presidente è incorso in un grossolano errore. Con i prossimi tassi di iscrizione al corso di laurea in Medicina e Chirurgia proposti al tavolo del ministero della Salute, valutando anche le iscrizioni ordinarie e quelle disposte dai Tar degli anni passati, si può prospettare che nel decennio 2017/2026 acquisiranno la laurea circa 93.000 degli attuali e futuri studenti.

Se consideriamo anche i laureati che già oggi non trovano in Italia una offerta adeguata di formazione post-laurea, valutabili in circa 15.000 medici, si verrà a creare un bacino di 108.000 medici alla ricerca spasmodica di uno sbocco prima formativo poi occupazionale. A invarianza di offerta formativa post-laurea annuale, circa 6.300 contratti di specializzazione e circa 900 borse di formazione in medicina generale, nel decennio 2017/2026 avremo almeno 36.000 medici cui verrà negata la possibilità di completare il proprio percorso di studio, indispensabile per entrare nel mondo del lavoro italiano.

L'unica scelta che rimarrà praticabile per questi colleghi sarà quella dell'emigrazione e quindi della possibilità di accedere a un lavoro contrattualizzato in ospedale e, contestualmente, completare il percorso formativo fino alla acquisizione del titolo di Specialista necessario per la progressione di carriera.

Nessuna meraviglia, quindi, se gli imbuti formativi, con il paradosso di troppi laureati e pochi specialisti o Mmg, e lavorativi, figli di un cieco blocco del turnover che sta determinando la perdita di più generazioni di medici, stanno inducendo di anno in anno una importante emigrazione verso altri paesi europei, Francia, Germania, Svezia, Danimarca, Regno Unito e Svizzera in particolare, oltre che verso gli Stati Uniti. Secondo dati Istat, i professionisti del settore sanitario che hanno chiesto al ministero della Salute la documentazione utile per esercitare all'estero sono passati da 396 nel 2009 a 2.363 nel 2014 (+ 596%).

Oramai siamo a circa 1000 medici laureati o specialisti che effettivamente emigrano ogni anno. Per l'Italia il costo della formazione per singolo medico si aggira intorno a 150.000 euro. In termini economici, è come se regalassimo mille Ferrari all'anno agli altri paesi europei ed extra europei. Ovviamente il danno non è solo economico. Noi perdiamo talenti, intelligenze, saperi professionali, sottratti per incuria alla sostenibilità qualitativa del nostro Ssn e più in generale allo sviluppo scientifico e culturale del nostro Paese.

Anche il blocco del turnover sta incidendo pesantemente sulle dinamiche di sostenibilità del nostro Ssn. Il ricambio generazionale è bloccato e con esso quel trasferimento di conoscenze e capacità tecniche sostenuto dalla fisiologica osmosi tra generazioni professionali diverse. Nel 2017, se non cambiano le politiche sull'assunzione in servizio, l'età media dei medici ospedalieri sarà superiore a 55 anni, la più alta nel panorama europeo e la seconda al mondo dopo Israele (Dati Oecd 2015).

Di fronte a questo disastro annunciato, da molto tempo con tenacia lontana dalla rassegnazione andiamo proponendo alcune correzioni:

•Incrementare i contratti di formazione specialistica post-laurea portandoli da 6.300 a 7.200 ogni anno almeno per coprire il pensionamento nel prossimo decennio degli specialisti operanti nel Ssn (dipendenti del Ssn, dipendenti Miur, specialisti ambulatoriali) sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo, aumentando in particolare i contratti per le specialità ad impronta olistica.

•Aumentare le borse di formazione in Medicina Generale in modo tale da coprire il turn over che si prospetta molto elevato anche in questo settore (almeno 28.000 medici in quiescenza nel prossimo decennio in base ai dati Enpam dell'ottobre 2016).

•Riaprire una stagione di assunzioni di medici nel Ssn con investimenti specifici e adeguati, non solo per coprire totalmente il turn over ma anche per permettere la piena applicazione in Italia della normativa sull'orario di lavoro in vigore in Europa dal lontano 1993, come del resto prevede la Legge 161/2014.

•Rivedere il numero chiuso per l'accesso al corso di laurea in Medicina e Chirurgia in base alle reali necessità, tenendo conto della dinamica pensionistica professionale e delle reali possibilità di completare il percorso formativo post laurea.

Insomma, sostenere che nei prossimi dieci anni sarà sufficiente garantire il turnover dei medici vuole dire solo garantire il taglio della dotazione organica, già oggi insufficiente a garantire l'orario di lavoro della direttiva europea, l'abbattimento delle liste di attesa vicine a misurarsi in anni, la trasformazione del sistema di emergenza urgenza nella anticamera di un girone dantesco il cui accesso comporta la perdita dei diritti della persona, a evitare di fare dei Lea dei diritti di carta. Senza contare la rivoluzione di genere che si prepara, che non sarà neutra rispetto ai modelli organizzativi, il cambiamento demografico ed epidemiologico della popolazione, lo sviluppo scientifico e tecnologico.

Non abbiamo più molto tempo, e sicuramente non un decennio, per disinnescare la bomba professionale, e generazionale, innescata da flop della programmazione ministeriale, collasso del sistema formativo abbarbicato al monopolio universitario, definanziamento progressivo della sanità pubblica con il corollario della falcidie di posti letto, pre-requisito di una determinazione al ribasso del numero di specialisti. La cui quantità e qualità professionale sono elementi critici per la sostenibilità di qualunque sistema sanitario.

Nella illusione di fare quadrare i conti, verrà lasciata affondare una infrastruttura di enorme valore civile e sociale quale il servizio sanitario, pubblico e nazionale. Con buona pace di chi non vuole guardare in faccia la realtà, preferendo continuare la narrazione delle magnifiche e progressive sorti delle politiche governative, vecchie e nuove.


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