Lavoro e professione

Gli anestesisti (Aaroi-Emac): «Risk, legge Gelli: che pasticcio»

di Alessandro Vergallo (presidente nazionale Aaroi-Emac)

L'orientamento giurisprudenziale secondo il quale, fino alla Legge Gelli, tutta la responsabilità professionale sanitaria rientrava nell'alveo della c.d. “responsabilità contrattuale”, ha fatto sì che molto spesso il paziente presunto danneggiato da malpractice agisse civilmente esclusivamente nei confronti dell'Azienda (pubblica o privata) presso la quale aveva fruito di una prestazione sanitaria, o più raramente chiamando in causa, “solidarmente”, anche il medico da essa dipendente che lo aveva curato.
L'Azienda, a sua volta, in molti casi affrontava il giudizio o transava extra-giudizialmente senza che i medici dipendenti coinvolti a vario titolo nelle cure ne sapessero nulla, salvo poi, spesso a distanza di molti anni, ritrovarsi a rispondere personalmente alla Corte dei Conti delle somme pagate dalla propria Azienda a titolo di risarcimento del danno.
Su questa iniqua criticità, la Legge Gelli 24/2017 è intervenuta con l'art.13 (rubricato: “Obbligo di comunicazione all'esercente la professione sanitaria del giudizio basato sulla sua responsabilità”), che si sta rivelando, in concreto, una soluzione di gran lunga peggiore rispetto al problema in ambito civilistico, con riflessi inevitabili e di poco meno devastanti anche in quello penalistico.
Tale disposizione, infatti, prevede nella sua prima parte che le strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche o private – o i loro assicuratori se presenti – abbiano l'obbligo di comunicare all'esercente la professione sanitaria (mediante Pec o raccomandata R/R) l'instaurazione del giudizio promosso nei loro confronti dal paziente danneggiato, entro dieci giorni dalla ricezione della notifica dell'atto introduttivo, che deve essere allegato alla comunicazione stessa.
Nella seconda parte della norma si prevede che le stesse strutture sanitarie e sociosanitarie (o i loro assicuratori) sempre entro dieci giorni comunichino con le modalità su indicate all'esercente la professione sanitaria, l'avvio di trattative stragiudiziali con il danneggiato, con invito a prendervi parte.
Infine, la norma si conclude prevedendo che: “L'omissione, la tardività o l'incompletezza delle comunicazioni di cui al presente comma preclude l'ammissibilità delle azioni di rivalsa o di responsabilità amministrativa di cui all'articolo 9”.
Tradotto dal giuridichese, questo significa che oggi, “grazie” a questa pasticciata Legge, l'Ente deve recapitare formalmente a medici suoi dipendenti una comunicazione che li informa che nei confronti dell'Ente stesso (anche quando i medici stessi non sono stati chiamati in causa dal presunto danneggiato!) è stata avviata una richiesta o un'azione di risarcimento, chiamandoli per iniziativa del medesimo Ente a prender parte alle “trattative stragiudiziali con il danneggiato”.
Una follia che dimostra quanto il pressappochismo del Legislatore possa dimostrarsi catastrofico nei confronti di professionisti la cui “colpa” è sostanzialmente quella costituita dall'onore e dall'onere di garantire la salute dei cittadini. Qui – peraltro – si prende in esame la situazione dei medici, ma ricordiamo che la nuova legge riguarda tutti i professionisti sanitari.
Sull'iniquità costituita dall'assenza di informazione ai medici coinvolti nelle cure al riguardo di azioni giudiziali o di transazioni stragiudiziali di cui l'Azienda si faceva carico anche a nome e per conto degli stessi, salvo scaricarne su di loro tutto il peso non solo economico attraverso la contestuale segnalazione alla Corte dei Conti per ipotesi di colpa grave abbiamo speso, negli anni, fiumi di richieste di intervento legislativo, suggerendo che tale ingiustizia fosse risolta semplicemente prevedendo l'obbligo, per l'Azienda, di informare di tali situazioni soltanto i medici concretamente coinvolti nel singolo caso, non certo l'universo mondo dei medici suoi dipendenti che a vario titolo risultavano, magari, solo presenti in servizio durante la degenza del paziente in Ospedale.
Perché questo è esattamente uno dei più sconcertanti risultati concreti della Legge 24/2017: una valanga di comunicazioni inviate acriticamente dalle Aziende, per ogni singolo caso di presunta malpractice, ad una moltitudine di medici che risulteranno, alla fine, estranei a qualunque ipotesi di colpa. Una valanga montante, che sta moltiplicando a dismisura le comunicazioni, già spropositatamente incongrue, che fino a ieri hanno già vergognosamente intasato la giustizia in ambito sanitario. Il perché questo avviene, sempre “grazie” alla nuova legge, lo capirebbe anche un bambino.
Innanzitutto, il termine di dieci giorni è assolutamente insostenibile: in soli dieci giorni, se va bene, l' “atto introduttivo” indicato dalla norma – cioè il ricorso notificato dall'avvocato del paziente – è stato protocollato. Ne consegue che, in un tempo così breve, nessun “Nucleo di Valutazione Sinistri” è in grado di individuare quali siano “tutti” i professionisti (effettivamente) interessati dal procedimento attivato. Ne consegue che, in pratica, ogni volta che viene notificato un atto, le direzioni delle strutture sanitarie inviano comunicazioni nei confronti di tutti i professionisti che (direttamente o indirettamente) hanno avuto anche minimi “contatti” con il paziente presunto danneggiato partendo dal suo ingresso in Ospedale sino alla sua dimissione.
Ma c'è di più: se nel caso di ricezione dell'atto introduttivo questo tipo di accertamento può essere (parzialmente) agevolato dalla lettura del ricorso notificato dal paziente e dalla descrizione dei fatti ivi contenuta, tutto si complica ulteriormente “grazie” all'obbligo di comunicazione contemplato dall'art. 13, in forza del quale le stesse strutture sanitarie e sociosanitarie e i loro assicuratori, “entro dieci giorni comunicano all'esercente la professione sanitaria, (…), l'avvio di trattative stragiudiziali con il danneggiato, con invito a prendervi parte”: una scelta condizionata da quanto disposto dall'ultima parte dell'art.13 secondo cui: “L'omissione, la tardività o l'incompletezza delle comunicazioni di cui al presente comma preclude l'ammissibilità delle azioni di rivalsa o di responsabilità amministrativa di cui all'articolo 9”. Ne consegue che, al fine di non perdere ogni diritto di rivalsa o di azione amministrativa, le Amministrazioni delle strutture sanitarie preferiscono eccedere nelle comunicazioni piuttosto che rischiare, a loro volta, di ricadere in una responsabilità personale (di “colpa grave” amministrativa) per non aver adeguatamente ottemperato a quanto disposto da questa pessima legge.
Oltre a causare i problemi evidenziati, la norma in esame non chiarisce cosa si intenda con l'espressione “avvio di trattative stragiudiziali con il danneggiato”. In tale prospettiva, occorre evidenziare che ogni singola azienda sanitaria ha dato della disposizione una interpretazione personale: in alcuni casi, la comunicazione viene inviata non appena ricevuta la richiesta di risarcimento danni, in altri, la stessa comunicazione viene inviata al termine delle trattative instaurate dalla Struttura con il paziente danneggiato (sic!) riducendo (o escludendo) ogni possibilità di intervento da parte del professionista sanitario nell'accertamento della verità. Nello stesso senso, la norma non da alcuna indicazione sul contenuto di tali comunicazioni. Ne consegue che alcune Strutture si limitano ad avvisare il professionista dell'esistenza della trattativa, mentre altre arrivano addirittura a “mettere in mora” il malcapitato, predisponendolo di fatto ad una sorta di condanna annunciata.

Articolo 13 da cambiare
Inoltre ancora, in modo a dir poco indecente, le Strutture Sanitarie, nel formulare la comunicazione prevista dal citato art.13 della Legge “Gelli”, omettono di indicare che esse (pubbliche o private che siano) “stipulano, altresì, polizze assicurative o adottano altre analoghe misure per la copertura della responsabilità civile verso terzi degli esercenti le professioni sanitarie anche ai sensi e per gli effetti delle disposizioni di cui al comma 3 dell'articolo 7, fermo restando quanto previsto dall'articolo 9.”, obbligo previsto sempre ai sensi della stessa Legge (art.10, primo comma, terzo periodo), obbligo in ragione del quale in tutte le comunicazioni ex art.13 le Strutture Sanitarie dovrebbero precisare che, salvo successivo accertamento di colpa grave, i professionisti sanitari sono manlevati dalla Azienda stessa per qualsiasi risarcimento del danno al paziente dovesse emergere in conseguenza dei fatti ivi comunicati.

(Art. 13 Legge 24/2017 “Obbligo di comunicazione all'esercente la professione sanitaria del giudizio basato sulla sua responsabilità” – 1. Le strutture sanitarie e sociosanitarie di cui all'articolo 7, comma 1, e le imprese di assicurazione che prestano la copertura assicurativa nei confronti dei soggetti di cui all'articolo 10, commi 1 e 2, comunicano all'esercente la professione sanitaria l'instaurazione del giudizio promosso nei loro confronti dal danneggiato, entro dieci giorni dalla ricezione della notifica dell'atto introduttivo, mediante posta elettronica certificata o lettera raccomandata con avviso di ricevimento contenente copia dell'atto introduttivo del giudizio. Le strutture sanitarie e sociosanitarie e le imprese di assicurazione entro dieci giorni comunicano all'esercente la professione sanitaria, mediante posta elettronica certificata o lettera raccomandata con avviso di ricevimento, l'avvio di trattative stragiudiziali con il danneggiato, con invito a prendervi parte. L'omissione, la tardività o l'incompletezza delle comunicazioni di cui al presente comma preclude l'ammissibilità delle azioni di rivalsa o di responsabilità amministrativa di cui all'articolo 9”).

Il nodo assicurativo
Grazie alla nuova legge, per questi motivi, il girone infernale nel quale i medici si trovano oggi a lavorare è divenuto ancor più ingiustamente e intollerabilmente punitivo.
Non si possono nascondere, infine, le conseguenze anche assicurative dei problemi sin qui evidenziati, perché gli esiti applicativi della Legge Gelli non fanno altro che confermare, di fatto, almeno per i medici, l'inadeguatezza di tutte le polizze di “Colpa Grave”, alla cui reale utilità, a differenza di molti altri, non abbiamo mai creduto. Le ragioni sono principalmente tre.
La prima: molto spesso, esse disciplinano le “Dichiarazioni dell'Assicurato” prevedendo anche che il medico deve dichiarare “di non essere a conoscenza di fatti, notizie, circostanze o situazioni che potrebbero determinare richieste di risarcimento da parte di terzi in dipendenza dell'attività professionale esercitata dall'Assicurato stesso o dai suoi sostituti temporanei, con riferimento ad atti o fatti posti in essere anteriormente alla data di effetto di questa assicurazione”.
Si tratta di una dichiarazione talmente generica che, alla fine, espone il medico assicurato a non essere coperto in caso di sinistro, a causa di dichiarazione, per quanto rese in buona fede, inesatta o reticente. Da un lato, perché ogni attività medica che non si sia risolta con la piena soddisfazione (anche soggettiva) del paziente potrebbe, potenzialmente, determinare in futuro richieste di risarcimento (addirittura la dichiarazione si estende ai sostituti…); dall'altro perché, nel caso delle comunicazioni di cui all'art.13 della Legge “Gelli”, per il medico che ha ricevuto l'informazione dell'apertura delle trattative con il danneggiato o della notifica del riscorso, è evidente che quel fatto si trasforma in un “fatto noto”.

La seconda: chi ha una polizza per la sola colpa grave in cui si richiede una dichiarazione come quella su riportata ha necessità indispensabile almeno di poter aprire il sinistro.
Purtroppo, molto spesso, queste polizze per colpa grave prevedono, sempre all'inizio del testo di polizza nella parte relativa alle “Definizioni”, una formulazione della “Richiesta di Risarcimento” che non ammette nessuna possibilità. Si prevede la possibilità di aprire il sinistro solamente nei tre casi elencati nella definizione di Richiesta di Risarcimento, che sono:
1. l'inchiesta giudiziaria promossa dalla Corte dei Conti contro l'Assicurato….

2. la comunicazione con la quale la struttura sanitaria pubblica o la sua impresa assicuratrice manifesta all'Assicurato l'intenzione di ritenerlo responsabile per colpa grave.

3. la sentenza per colpa grave emanata dall'Autorità Giudiziaria Ordinaria, Penale o Civile.
Per effetto di questa definizione non è possibile aprire un sinistro nel caso in cui vi sia:
- la richiesta di risarcimento del terzo diretta al professionista sanitario in sede civile o penale;
- ogni comunicazione che NON contenga l'intenzione di ritenere responsabile per colpa grave l'Assicurato: ivi comprese tutte le comunicazioni ex. art. 13 della Legge Gelli di cui abbiamo parlato.

In tutti questi casi la comunicazione all'Assicuratore non sarà presa in carico in quanto “il fatto non rappresenta un sinistro”. Ne consegue che, nel momento in cui vi sia il cambio dell'assicuratore, il nuovo assicuratore non prenderebbe in carico quel fatto oggetto della comunicazione in quanto “fatto noto” e, pertanto, escluso dalla polizza assicurativa stipulata. In altre parole: se, successivamente, per le somme pagate a titolo di risarcimento del danno da parte della azienda, si aprirà un giudizio avanti alla Corte dei Conti, il professionista sanitario che possiede una mera polizza per la colpa grave tenterà di aprire il sinistro presso il proprio assicuratore (che nel frattempo sarà sicuramente cambiato) il quale, però, gli negherà la copertura in quanto il fatto, oggetto della vicenda giudiziaria, era già conosciuto dal professionista in quanto oggetto, appunto, della comunicazione ufficiale ex art.13: in altre parole, un “fatto noto” che, in quanto tale, non coperto dalla polizza assicurativa di sola “colpa grave”, lascia il medico che abbia una polizza assicurativa limitata ad essa ad affrontare ogni vicenda processuale che lo riguardi – avanti al Tribunale Civile o Penale - assolutamente da solo.

La terza: con la nuova Legge 24/2017 è necessario che anche il medico dipendente pubblico si doti di una polizza che copra non solo nel caso in cui il paziente decida di richiedere i danni direttamente al medico (come espressamente previsto a titolo di responsabilità extra-contrattuale dalla Legge “Gelli”: art. 7, terzo comma), ma anche nel caso in cui sia la stessa Azienda Sanitaria a chiamare in causa il medico (suo dipendente) a “manleva” nei confronti della azione di risarcimento avanzata dal paziente-danneggiato. Del resto, la sentenza N. 26659 del 18/12/2014 emanata dalla Corte di Cassazione – Sezioni Unite, ha stabilito il principio (che la nuova legge lascia inalterato) secondo il quale “L'azione di responsabilità contabile nei confronti dei sanitari dipendenti di una azienda sanitaria non è sostitutiva delle ordinarie azioni civilistiche di responsabilità nei rapporti tra amministrazione e soggetti danneggiati, sicché, quando sia proposta da una azienda sanitaria domanda di manleva nei confronti dei propri medici, non sorge una questione di riparto tra giudice ordinario e contabile, attesa l'autonomia e non coincidenza delle due giurisdizioni”.
In conclusione, l'art. 13 della Legge “Gelli” va riformulato, a garanzia sia dei professionisti, sia dei cittadini, sia delle strutture sanitarie, oltre che per non compromettere l'efficienza e l'efficacia di funzionamento della giustizia, e per non aumentare a dismisura i relativi costi che gravano, oltre che sui singoli malcapitati, anche sulle pubbliche finanze.


© RIPRODUZIONE RISERVATA