Lavoro e professione

Tempus fugit... il valore del tempo per gli oncologi in corsia

di Alessandra Guglielmi (direttore Oncologia medica Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Trieste, rappresentante Cipomo)

Alle 7.15 di solito arrivo in reparto. Ho davanti poco meno di un'ora di tranquillità per leggere e rispondere alle mail, fare il punto sugli impegni della giornata (ragionare su casi complessi, preparare una “scaletta” per eventuali incontri organizzativi, sbrigare “burocrazia”) e immagazzinare energie.
Uno spazio temporale breve, ma importante, per poter affrontare quello che si prepara. Dalle 8 in poi l'attività clinica mi assorbe totalmente: il mio tempo diventa quello dei miei pazienti. Sparisce la percezione dello scorrere delle ore e sono completamente compenetrata dall'aspetto umano e tecnico di quello che faccio.

Spesso nei colloqui si parla di tempo: guadagnato , vissuto o che resta…
Ognuno nel colloquio, me compresa, porta il suo modo di essere, di reagire alle situazioni, si cede e si acquisisce energia in un' alternanza che ricorda l'onda del mare. Se l'alchimia tra medico e paziente funziona si crea una sinergia e il tempo, proprio quello del colloquio, diventa parte della terapia stessa. L'oncologia, come quasi tutti gli ambiti della medicina, tocca nel profondo le paure ancestrali relative alla morte, all'incertezza del futuro ed anche nei casi , molti, in cui si guarisce, la possibilità di superare questo trauma e tornare a vivere con nuovo slancio dipende dal tempo e dalla modalità con cui si è affrontato il percorso.

Ecco quindi che risulta centrale nell'Oncologia il tema del convegno, che si è tenuto a Trieste gli scorsi 10 e 11 novembre, (“Il valore del tempo nella cura del cancro”), sotto il patrocinio del Collegio Italiano dei Primari di Oncologia Medica Ospedaliera (CIPOMO).

La soddisfazione del paziente, ma anche del medico, dipende molto dalla possibilità di essere ascoltato, edotto delle possibili strategie di cura, rafforzato rispetto ad un momento di difficoltà , offrendo una prospettiva realistica di terapia o condividendo la mancanza di ulteriori terapie attive, sempre con uno spiraglio di ottimismo.

L’ascolto è parte del lavoro
Se ci pensate, sono le stesse attenzioni che un primario dovrebbe offrire al suo gruppo.
In quei due giorni a Trieste, si è parlato di come organizzare il lavoro, riconoscendo il ruolo della multidisciplinarietà quale fonte di arricchimento. Ci siamo confrontati sulla durata ottimale di una prima visita o di una visita di controllo, su come organizzare l'attività giornaliera tenendo conto di esigenze dell'utente e dei medici. Al momento, non esistono dati di letteratura o evidenze che ci aiutino a rispondere a queste domande. Spesso l'organizzazione è funzione delle singole realtà: dotazione organica, carichi di lavoro, logistica, sensibilità delle Direzioni, formazione/inclincazioni del primario.

Dalla discussione è emerso che i direttori di struttura devono imparare a lavorare sul gruppo
Promuovere lo spirito di collaborazione, creare un sentire comune possono assicurarci le molte energie che servono per esercitare la nostra professione. E ancora la consapevolezza di dover dosare le forze, il riconoscere la necessità di un tempo per il riposo e il recupero psico fisico.

L’esposizione troppo prolungata a situazioni stressanti, troppe “bad news” da dare, troppe situazioni complesse da affrontare, le stesse conflittualità interne riducono, infatti, le nostre capacità professionali e portano all'esaurimento ed al burn-out. Le risorse umane sono la ricchezza più importante che abbiamo, molto più del budget, degli spazi: vanno tutelate, identificando bene i tempi, i carichi di lavoro, prevedendo pause per il confronto, l'ascolto tra di noi. In questo modo potremo offrire un'assistenza migliore e che valorizzi la “componente umanistica” del nostro lavoro.


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