Lavoro e professione

Quelle «caramelle avvelenate» contro i medici di famiglia. Chi mina il rilancio della Convenzione?

di Enzo Scafuro (responsabile nazionale dello Smi per la medicina generale e segretario Smi Lombardia) e Maurizio Andreoli (Centro Studi Smi)

Una bufala oppure gli effetti snaturanti della campagna elettorale ? A leggere i giornali, sembrerebbe, infatti, che la trattativa per il rinnovo della convenzione dei medici di medicina generale sia di nuovo aperta e che le risorse per l'accordo siano già sul tavolo, circa 600 milioni di euro. La fonte sembrerebbe la Sisac, la stessa che avrebbe fornito a La Stampa informazioni sull'orario di lavoro e sui compensi dei medici del settore, che però nell'articolo danno uno spaccato sbagliato, con dati tendenziosi o addirittura falsi, già dal titolo: «15 ore settimanali per 150 mila euro anno», e che hanno portato a vive polemiche con la categoria.
Sembra, infatti, la “caramella avvelenata”, l'inizio di un campagna per condizionare una contrattazione nella quale forse qualcuno vorrebbe che i camici bianchi del territorio accettassero, remissivi, e senza troppe proteste le offerte al ribasso delle Regioni, dopo dieci anni senza risorse e senza rinnovo dell'Acn.
D'altronde è, per certi versi, la stessa operazione dell'assessore della Lombardia, Giulio Gallera, che assediato dalle critiche per la gestione della crisi influenzale, rilascia interviste schivando responsabilità e additando i medici di famiglia e le presunte deficienze nelle visite domiciliari.
Ma partiamo dalla “caramella avvelenata”, quella che crea un clima negativo contro i medici di famiglia, che lavorerebbero poco, 15 ore settimanali e guadagnerebbero troppo, 150 mila euro l'anno, e sulla quale attendiamo una pronta smentita dal Coordinatore Sisac, Vincenzo Pomo, tirato in ballo come fonte dell'informazione. Nel merito citiamo, un’indagine (del 2014) basata su dati certi (bilanci proprio della regione Lombardia certificati) sulle retribuzioni dei medici di famiglia nel 2013, tuttora attuali, visto che il contratto non è stato più rinnovato da allora: «Il lordo per ciascuno dei 6500 medici di famiglia lombardi è di 98.660 euro annui in media, dei quali 74.224 di quota capitaria, il restante tra rimborsi spesa e contributi Enpam. Queste cifre per una media di 1.400 assistiti a medico, quindi parametrando ad un massimalista le cifre possono arrivare al massimo a 105 mila euro lordi a medico, dei quali 79.525 di quota capitaria (il reale compenso lordo)».
Altro che 150 mila euro annui.

Quanto alle 15 ore alla settimana, quindi 3 ore al giorno, ebbene, quelle sono solo le ore previste dalla convenzione. Questa, è invece, la realtà secondo una indagine on line Smi del 2015: 5 ore e 24 minuti al giorno di ambulatorio, 1 ora e 51 minuti di visite domiciliari e 1 ora e 40 minuti di burocrazia, senza contare consulti telefonici e contatti di vario genere (mail, whatsapp, sms ecc). Per un totale di 36,9 assistiti visitati al giorno, dei quali il 40% cronici e il 14% fragili. Settimanalmente: visite in ambulatorio 27 h e 24 min, visite domiciliari 8 h e 55 min, burocrazia 7 h e 5 min, altri e vari 3h e 7 min. Un totale di 46h e 30 minuti su 5 giorni a settimana, esclusi tempi non stimabili (telefono, ecc).
Tutto ciò in uno scenario di normalità, cioè non durante un epidemia influenzale, il che peggiorerebbe questo quadro fortemente.

Questi i dati, il resto sono, appunto, manipolazioni, anzi bufale. Da questa situazione devono ripartire la trattative, ma soprattutto dal bilancio di diversi scenari che vedono le Regioni in prima linea nella sperimentazione a macchia di leopardo di molteplici e confuse forme di organizzazione del servizio, a partire dalla privatizzazione-esternalizzazione della gestione della cronicità fatta dalla Lombardia.
Se fosse vero che la trattativa è di nuovo aperta e che sono davvero accantonati 600 milioni di euro, vorrebbe dire che si vuole chiudere un accordo elettorale che recupera solo, e a malapena, gli arretrati per una vacanza contrattuale di 10 anni, prescindendo dalle criticità del territorio, della necessaria e urgente modernizzazione del rapporto tra ospedale, cure primarie, continuità dell'assistenza, specialistica ambulatoriale ed emergenza-urgenza.
Una contrattazione al ribasso farebbe perdere una nuova occasione per dare prospettiva e futuro alla sanità pubblica, adeguandola alla domanda di salute e mortificherebbe oltremodo i professionisti del settore, da troppi anni, schiacciati da burocratismi, mansioni improprie e colpiti da un impoverimento progressivo della categoria e dalla perdita di reddito.


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