Lavoro e professione

Contratto dirigenza medica, Troise (Anaao): «La convocazione non basta. Senza temi concreti e un calendario stretto lo sciopero si farà»

di Rosanna Magnano

Si tratta del primo tavolo della dirigenza pubblica e per avere un significato reale deve avere un «calendario stretto» ed essere una «vera partenza». È questa la prima condizione posta dal segretario nazionale di Anaao Assomed Costantino Troise in vista dell’appuntamento del 20 febbraio tra Aran e sindacati della dirigenza medica e sanitaria. Solo tre giorni dopo, il 23 febbraio, incombe uno sciopero di 48 ore dei camici bianchi e non sarà facile convincere le sigle sindacali a revocarlo sulla base di promesse scritte nel vento. «Dipende tutto dall’Aran», ribadisce Troise. «Se fisserà tempi rapidi e porterà proposte concrete sul tavolo, allora si vedrà. Ma se il calendario si preannuncia a tempi larghi, con un confronto che rischia di trascinarsi per mesi, allora lo sciopero si farà».

Dopo i confronti con i «non dirigenti» della Funzione centrale, Istruzione e ricerca, Funzioni locali e Comparto, tutti già avviati e in fase avanzata, con l’impegno della parte pubblica a stringere i tempi e chiudere a breve, il 20 febbraio prossimo tocca finalmente ai camici bianchi, circa 120mila professionisti, in attesa da nove anni del rinnovo contrattuale. Ed è chiaro che in questo contesto il tema retributivo non potrà che essere centrale e sarà posto con una certa forza, con il nodo delle risorse e dell’impatto dei tagli perpetrati nel tempo. Ma ci sono anche le relazioni tra le parti, con i sindacati in cerca di respiro e spazi negoziali, dopo un così lungo stand by. E poi normativa e orario Ue. Una partita complessa che potrebbe andare ai supplementari. Di certo ben oltre l’appuntamento elettorale.

Segretario, che cosa intende per calendario stretto?

Allora..il comparto chiude forse a metà febbraio, la convenzione probabilmente a fine febbraio. La dirigenza non potrà mica aspettare il 2020 insomma.

Si riparte dopo uno stallo di nove anni. Qual è lo scenario?

Si sono accumulati diversi nodi, dai disagi delle condizioni di lavoro all’applicazione della direttiva Ue sull’orario fino ad arrivare a una serie di provvedimenti che riguardano la mobilità, le funzioni superiori e altri aspetti che fanno parte della vita del medico. Quello che a noi interessa è che si arrivi a un contratto che dia delle risposte.

Sull’orario Ue si giocano diverse partite: benessere del professionista, salute dei cittadini, assunzioni...

Certo. Soprattutto si gioca la possibilità di non avere un’organizzazione del lavoro fondata sul mancato rispetto delle normative europee. L’orario di lavoro è un aspetto centrale: vuol dire produttività, retribuzione, benessere psicofisico degli operatori, premessa necessaria della sicurezza delle cure. Ma vuol dire anche occupazione. Ormai non dobbiamo più temere problemi futuri ma anche la carenza attuale di personale. Se qualcuno pensa di continuare ad arricchirsi sulla disponibilità dei medici si sbaglia. Non è possibile che il carico di lavoro di 30mila medici in uscita possa ricadere su chi rimane senza tagliare la qualità dei servizi. Quando giornalisti zelanti parlano di liste d’attesa dovrebbero partire da qui. Dalla disponibilità dei medici, drammaticamente in riserva, anche per l’età media, la più alta del mondo dopo quella di Israele. Se in Italia solo il 10% dei medici ha meno di 40 anni c’è qualcosa che non va.

Carenza di medici sul territorio e di specialisti in corsia?

La programmazione è fallita clamorosamente. E questo fallimento è orfano di responsabilità. Ma le responsabilità ci sono. Dei ministeri cosiddetti competenti l’uno ha guardato alla conservazione dei privilegi dell’università, che non va disturbata. L’altro, quello della Salute, si è disinteressato della formazione post lauream per non andare in rotta di collisione con l’accademia e con le regioni. Che sono alla ricerca di manodopera a basso costo e continuano a pensare di poter assumere medici laureati pagandoli come un infermiere. È così che i medici rimasti fuori dal post lauream restano a sfogliare le margherite e si allarga il terreno di coltura per contratti atipici, migrazione o lavoretti pagati con livelli retributivi inadeguati.

Ci vuole tempo per risolvere questi problemi..

Il tempo dipende dalla volontà. Il contratto stabilisce le regole del gioco, evitando gli abusi e la discrezionalità e può servire a evidenziare che se si vuole migliorare occorre investire, in risorse umane e occupazione. Ci servono giovani. Continuando a ragionare tra noi vecchietti si fa un cattivo servizio. Il sistema deve aprirsi a energie più giovani e a energie femminili. Abbiamo un grosso problema di valorizzazione del lavoro delle donne. Non possiamo continuare a costruire modelli di organizzazione unisessuali.

Il contratto è un primo gradino della ripartenza?

Può essere già la ripartenza. Se viene vissuto come un sistema di governo della spesa. Occorre rispondere a diverse criticità. Ne va di mezzo il futuro del Sistema sanitario nazionale.

Che cosa non dovrà mancare?

Ridurre il disagio legato ai turni notturni e alla reperibilità. Garantire l’esigibilità del contratto: che quello che si firma valga da Lampedusa a Bolzano e non possa essere interpretato il giorno dopo. Ridurre i carichi di lavoro e redistribuirlo investendo in occupazione.


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