Lavoro e professione

Carenza medici/ Reinventare la professione, ma anche la politica

di Guido Marinoni *

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24 Esclusivo per Sanità24

Negli ultimi giorni la lettura delle rassegne stampa consente di seguire alcuni tormentoni estivi, meritevoli di qualche commento. Il primo è quello della carenza di medici, che gli Ordini stanno denunciando inascoltati da dieci anni, ma che solo ora, quando le conseguenze degli errori di programmazione sono ormai inevitabili, è diventato patrimonio comune dei mezzi di informazione e della consapevolezza dei cittadini. Il secondo è quello della fuga dagli ospedali e, anche, del passaggio di alcuni medici dall’ospedale alla medicina di famiglia.
In entrambi i casi si leggono le interpretazioni più fantasiose. È noto che mancano gli specialisti e non i laureati in medicina e chirurgia, che anzi emigrano all'estero, ma il Miur decide di aumentare il numero di nuovi immatricolati nelle facoltà senza che vi sia alcuna certezza che il numero di borse, nelle specialità e al corso di formazione specifica in medicina generale, almeno sia lo stesso, comunque ancora insufficiente, di quest'anno.
Viene introdotta la possibilità, per gli specializzandi degli ultimi anni e per gli iscritti al corso di formazione specifica in medicina generale, di inserirsi nell’attività lavorativa prima del diploma. Non si sa però con quali responsabilità precise e come sia possibile rendere compatibile la frequenza ai corsi con l'impegno lavorativo. Di sicuro, prima che la questione sia definita, passeranno almeno uno-due anni: si dice che importi poco in quanto bisognerà rivedere completamente la formazione post laurea, ma, anche in questo caso, nessuno specifica in che modo.
Nel frattempo, negli ospedali, i posti si coprono con i gettonisti. In un recente articolo una collega, non specialista (e gettonista) in pronto soccorso, denunciava: «non sono preparata adeguatamente, non sono specializzata, è pericoloso sia per i pazienti che per me». Sta passando l’idea pericolosa che essere specialista o non esserlo sia più o meno la stessa cosa.
Ma nessuno ha ancora pensato di chiedere a chi rappresenta la professione istituzionalmente, Fnomceo e sindacati medici, di costruire una proposta articolata. Conta solo il dibattito politico e, quel che è peggio, il dibattito politico a breve termine.
È vero che all’estero la formazione post laurea si svolge più in ospedale e meno nelle aule universitarie, ma le condizioni sono diverse: c’è un progetto formativo rigoroso e con precise responsabilità, lontano dalle sanatorie e dalle proposte da economia di guerra, come mobilitare i medici militari, genericamente, senza specificare nemmeno le competenze.
Alcuni medici ospedalieri stanno lasciando l’ospedale per trasformarsi in medici di famiglia (i più anziani lo possono fare perché per i laureati prima del recepimento delle norme europee, che rendono obbligatorio il corso di formazione specifica in medicina generale, esiste questa possibilità). Benissimo, un professionista, nel corso della sua vita, può decidere di affrontare nuove sfide e cambiare temi e contesto di attività.
Quello che lascia sconcertati è il fatto che, in qualche caso, questa scelta viene fatta per evitare carichi di lavoro pesanti, burocrazia, violenza verbale e fisica: esattamente le stesse lamentele dei medici di famiglia, che pensano di fuggire alle soglie della pensione.
E dietro a questo, a volte, si coglie la convinzione che passare da un settore specialistico ristretto, magari molto tecnico e selettivo, come avviene nell’alta specializzazione, a un settore in cui bisogna conoscere qualcosa di tutte le branche della medicina, seguire il paziente non per un episodio acuto ma per un periodo di tempo, districarsi nella gestione della cronicità e dei problemi socio sanitari, destreggiarsi in una burocrazia complessa e diversa da quella che si affronta in ospedale, sia semplice e non richieda un notevole sforzo di aggiornamento e di diverso approccio.
In realtà si tratta di inventarsi in una nuova specialità.
La vocazione può fare tutto, ma non basta la disillusione per un mondo professionale che non soddisfa più. Auguri quindi a chi fa questa scelta con convinzione e impegno. Agli altri vale la pena di raccomandare grande cautela.
Un altro collega, sempre sulla stampa, ha infelicemente detto che questa scelta è passare dalla serie A alla serie B: non ha capito che si tratta di passare dalla serie A del calcio alla serie A della pallacanestro.
I problemi ci sono, c'è anche la grande maggioranza dei colleghi che, in mezzo alle difficoltà, svolge in modo meraviglioso questo lavoro - in tutte le sue articolazioni il più bello del mondo - ma se le scelte di programmazione continueranno ad escludere la professione dai momenti decisionali, il futuro si prospetta difficile soprattutto per i cittadini.
Bisogna reinventare la professione, ma anche la politica.

* Presidente Ordine di Bergamo


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