Medicina e ricerca

Epatite C: tutti i falsi miti sul Sofosbuvir

di Fondazione Gimbe

L’impossibilità di garantire il trattamento con il sofosbuvir a tutti i pazienti affetti dal virus dell’epatite C ha generato la mobilitazione della magistratura e della politica. Il 16 maggio il pm Guariniello ha aperto un fascicolo a carico di ignoti con ipotesi di reato per omissione di cure e lesioni colpose perché il Governo non avrebbe assicurato alle Regioni le somme necessarie a garantire a tutti i pazienti la costosissima terapia in grado di “cancellare la malattia”. Due giorni dopo il Governatore Enrico Rossi ha dichiarato che la Regione Toscana garantirà a tutti i cittadini toscani l'accesso gratuito alla terapia farmacologica per la cura dell'epatite C perché “bloccare la progressione del danno epatico in uno stadio precoce risolve definitivamente la malattia, riduce il rischio di diffusione ed evita tutte le spese derivanti dal trattamento della malattia”.
Dal canto suo Luca Pani difende l’operato dell’Aifa che, grazie ai criteri prescrittivi identificati e ai fondi stanziati dallo Stato, garantisce oggi il trattamento a 7.000 pazienti, seppure con preoccupanti variabilità regionali e rimprovera Enrico Rossi di diffondere a fini elettorali informazioni illusorie nei confronti di oltre un milione di cittadini italiani affetti da epatite C.
In un momento particolarmente critico per la sostenibilità della sanità pubblica, la Fondazione Gimbe invita tutti gli stakeholders a valutare con sano scetticismo e adeguato rigore metodologico tutte le innovazioni farmacologiche e tecnologiche evitando, sull'onda di un contagioso entusiasmo, di enfatizzare i benefici e minimizzare i rischi degli interventi sanitari.
Al fine di informare correttamente politiche sanitarie, professionisti e pazienti la Fondazione Gimbe ha pubblicato il Position Statement “Efficacia e costo-efficacia del sofosbuvir nel trattamento dell'epatite C” da cui emergono alcune criticità metodologiche relative alla robustezza delle prove di efficacia, oltre che all'entità e alla precisione dei benefici del farmaco.
•Tutti gli studi che hanno valutato l'efficacia del sofosbuvir sono stati finanziati, progettati e realizzati dall'azienda produttrice Gilead Science e, al momento, non esiste alcuno studio indipendente.
•Non conosciamo il reale valore aggiunto del farmaco rispetto a un confronto appropriato, sia perché mancano trial di efficacia comparativa del sofosbuvir con altri agenti antivirali ad azione diretta, sia perché tutti gli studi prevedono l'associazione del sofosbuvir con ribavirina ± peginterferon-alfa.
•Alcuni studi presentano limiti metodologici rilevanti (controlli storici, assenza di blinding).
•Tutti gli studi hanno utilizzato come misura di esito un end-point surrogato, ovvero la risposta virologica sostenuta al di sotto della soglia minima identificabile a 24 o a 12 settimane dalla sospensione del farmaco.
•La risposta virologica sostenuta non garantisce l'eradicazione del virus dal sangue (che resta solo al di sotto della soglia minima identificabile), né permette di identificare la persistenza del virus nei tessuti.
•Per alcuni sottogruppi di pazienti la stima dell'effetto del trattamento è incerta a causa della loro limitata numerosità campionaria.
•Non esistono prove di efficacia dirette su outcome clinicamente rilevanti: evoluzione dell'epatite in cirrosi, scompenso della cirrosi, insorgenza di epatocarcinoma, mortalità.
•Non è nota la probabilità di re-infezione nei pazienti che hanno ottenuto una risposta virologica sostenuta.
•Non conosciamo gli effetti avversi, oltre che la compliance, nel mondo reale.
A seguito di queste valutazioni la Fondazione Gimbe conclude che:
•Il sofosbuvir costituisce una rilevante innovazione terapeutica, ma le evidenze disponibili documentano solo che il farmaco è efficace nel determinare una risposta virologica sostenuta in una percentuale che raggiunge il 90% in alcuni (ma non in tutti) sottogruppi di pazienti.
•La storia naturale dell'epatite C e le prove di efficacia disponibili non giustificano in nessun contesto sanitario, indipendentemente dalla disponibilità di risorse, una policy che preveda il trattamento di tutti i pazienti con epatite C con l'obiettivo di prevenire l'evoluzione dell'epatite cronica in cirrosi, lo scompenso della cirrosi, lo sviluppo dell'epatocarcinoma, i trapianti di fegato e la mortalità.
•In assenza di prove di efficacia dirette sulla capacità del sofosbuvir di rallentare l'evoluzione dell'epatite C verso forme avanzate di malattia scommettere sui potenziali risparmi per l'assistenza sanitaria è puramente speculativo e non supportato da alcun dato scientifico.
•Assimilare la risposta virologica sostenuta nel singolo paziente alla eradicazione del virus C dalla popolazione è una suggestiva, ma inverosimile, strategia di sanità pubblica.
•Considerato che la mortalità nei pazienti con epatite C è molto bassa e che nessuno studio ha dimostrato che il sofosbuvir riduce la mortalità , il termine “farmaco salvavita” è improprio e non dovrebbe più essere utilizzato.
•Definire le priorità di trattamento in relazione alla costo-efficacia del sofosbuvir nei vari sottogruppi di pazienti rappresenta oggi l'unica soluzione accettabile dal punto di vista clinico, etico ed economico
seguito di queste valutazioni la Fondazione Gimbe conclude che:
•Il sofosbuvir costituisce una rilevante innovazione terapeutica, ma le evidenze disponibili documentano solo che il farmaco è efficace nel determinare una risposta virologica sostenuta in una percentuale che raggiunge il 90% in alcuni (ma non in tutti) sottogruppi di pazienti.
•La storia naturale dell'epatite C e le prove di efficacia disponibili non giustificano in nessun contesto sanitario, indipendentemente dalla disponibilità di risorse, una policy che preveda il trattamento di tutti i pazienti con epatite C con l'obiettivo di prevenire l'evoluzione dell'epatite cronica in cirrosi, lo scompenso della cirrosi, lo sviluppo dell'epatocarcinoma, i trapianti di fegato e la mortalità.
•In assenza di prove di efficacia dirette sulla capacità del sofosbuvir di rallentare l'evoluzione dell'epatite C verso forme avanzate di malattia scommettere sui potenziali risparmi per l'assistenza sanitaria è puramente speculativo e non supportato da alcun dato scientifico.
•Assimilare la risposta virologica sostenuta nel singolo paziente alla eradicazione del virus C dalla popolazione è una suggestiva, ma inverosimile, strategia di sanità pubblica.
•Considerato che la mortalità nei pazienti con epatite C è molto bassa e che nessuno studio ha dimostrato che il sofosbuvir riduce la mortalità , il termine “farmaco salvavita” è improprio e non dovrebbe più essere utilizzato.
•Definire le priorità di trattamento in relazione alla costo-efficacia del sofosbuvir nei vari sottogruppi di pazienti rappresenta oggi l'unica soluzione accettabile dal punto di vista clinico, etico ed economico.
•I dati relativi a tutti i pazienti trattati dovrebbero essere raccolti in maniera sistematica al fine di documentare l'efficacia e la sicurezza del farmaco nel mondo reale.
•Tutti gli stakeholder che intervengono pubblicamente esaltando l'efficacia del sofosbuvir, oltre le evidenze disponibili, dovrebbero dichiarare gli eventuali conflitti di interesse finanziari e non finanziari.


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