Medicina e ricerca

Lo screening neonatale va esteso alle immunodeficienze primitive (Pid)

di Daniela Scaramuccia (Partner, Value Partners Management Consulting)

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Circa 6 milioni di persone al mondo, e più di 5000 in Italia, tra bambini ed adulti, soffrono di immunodeficienze primitive (PID). Si tratta di un insieme di patologie, circa 175, in cui il sistema immunitario perde totalmente o in parte la sua funzionalità.
Generalmente queste condizioni si manifestano nei primi mesi di vita e, se non correttamente diagnosticate e trattate, hanno un decorso invalidante o fatale. Il bambino con deficit immunitario nasce sano ma ben presto, già nel primo anno di vita, viene colpito da gravissime forme infettive contro le quali non sa difendersi. Le conseguenze delle infezioni possono essere invalidanti e possono provocare la morte ancor prima che la diagnosi di immunodeficienza venga effettuata.
Il riconoscimento precoce di una delle varie forme di PID è quindi fondamentale. Eseguire, ad esempio, il trapianto di cellule staminali per gravi immunodeficienze combinate durante i primi 3 mesi di vita garantisce un tasso di sopravvivenza superiore al 95%, di contro per quei pazienti il cui trapianto viene effettuato più tardivamente il tasso di sopravvivenza scende al 60-70% .

Dei 6 milioni di pazienti nel mondo, secondo quanto stimato dall'IPOPI, l'Associazione Internazionale dei Pazienti con Immunodeficienze Primitive, sono solo 27-60mila i pazienti diagnosticati in fase precoce . Come mai?
Per rispondere è necessario ricordare che lo screening neonatale per una determinata patologia viene adottato quando si verificano i seguenti fattori: alta incidenza, alta mortalità e/o morbilità, presenza di un test affidabile ed esistenza di una terapia in grado di modificarne il decorso una volta effettuata la diagnosi. E le PID ricadono oggi in questa casistica, ma fino a qualche anno fa il costo elevato e la complessità della metodologia in uso erano una barriera all'applicazione dello screening di massa.
Per questo i ricercatori di tutto il mondo lavorano da tempo alla definizione di un metodo che permetta di diagnosticare queste malattie alla nascita, in modo che il bambino sia curato prima che si verifichino danni irreparabili.

In anni recenti negli USA è stato messo a punto un metodo basato su una tecnica di amplificazione genica che consente di determinare l'esistenza di un deficit a carico del sistema immunitario utilizzando gli stessi spot neonatali comunemente effettuati su tutti i nuovi nati per gli screening di routine.
L'analisi su oltre 2,5 milioni di bambini che hanno avuto accesso allo screening neonatale per PID negli Stati Uniti ha mostrato anche significativi benefici economici per il sistema. Infatti, se un neonato affetto da PID non viene individuato alla nascita costa al sistema, già nel primo anno di vita, circa 2 milioni di dollari (tra ricoveri per infezioni e interventi), oltre ai danni permanenti da cui potrà essere affetto. Su circa 100.000 nati, considerata l'incidenza, ci si attendono tre neonati positivi, per un costo totale di cura di circa 6 milioni di Euro. Lo screening di massa costerebbe invece 4,25 dollari a neonato, circa 425.000 dollari, e la terapia per i tre neonati risultati positivi circa 960.000 dollari, ovvero 1,385 milioni di dollari. Meno di un terzo.
Oggi negli Stati Uniti il Dipartimento della Salute considera lo screening neonatale per la PID un “National standard for all newborns screening programs” e viene effettuato in 34 Stati, nel District of Columbia e nella Navajo Nation, circa il 78% dei neonati.

E in Italia? La situazione è come al solito a macchia di leopardo e parecchio arretrata in alcune regioni. Gli screening neonatali obbligatori sono solamente tre: l'ipotiroidismo, la fenilchetonuria e la fibrosi cistica. Anche se ormai da anni è disponibile uno screening allargato, per permettere di identificare alla nascita la presenza di un rilevante numero di altre malattie (da 20 a 40, a seconda dei pannelli utilizzati) in aggiunta alle tre già oggetto di screening obbligatorio.
Nel 2013, il 100% dei nati è stato sottoposto a screening per la fenilchetonuria e l'ipotiroidismo, mentre, nonostante l'obbligatorietà, solo il 75% dei neonati ha avuto accesso allo screening per la fibrosi cistica e il 30% ha avuto accesso allo screening esteso. Oggi solo Toscana e Umbria adottano, oltre allo screening esteso, anche lo screening per le immunodeficienze primitive.
E proprio in Toscana è stato sviluppato e brevettato qualche anno fa dai ricercatori dell'AOU Meyer e dell'Università di Firenze un test dal costo irrisorio che con la goccia di sangue prelevata dal tallone del neonato al momento della nascita consente di effettuare lo screening neonatale per PID con la tecnica della spettrometria di massa. E' stato poi sviluppato un test aggiuntivo ed ora con la stessa goccia di sangue e tecniche di biologia molecolare è possibile arrivare a diagnosticare oltre il 95% delle immunodeficienze.

A maggio, il Garante della Privacy ha dato il via libera al Decreto del Ministero della Salute che stanzia 10 milioni di euro all'anno con l'obiettivo di garantire “la progressiva universalità, uniformità e gratuità dello screening neonatale esteso”, in via facoltativa, a 53 patologie. Tra queste non sono state però inserite le PID, perpetuando così il fenomeno del “postcode lottery”, per cui il destino di due neonati affetti dalla medesima malattia può essere determinato dal nascere a pochi chilometri di distanza, divisi da un confine regionale.
Emerge chiaramente l'urgenza di affrontare in modo strutturale il problema, allargando il bacino delle patologie oggetto dello screening neonatale includendo le PID. L'esperienza toscana mostra che il costo addizionale è contenuto, circa 4-5 Euro per neonato (coerente con l'esperienza statunitense), utilizzando apparecchiature (spettrometria di massa e biologia molecolare) già esistenti e lo stesso campione prelevato per lo screening neonatale. Ovvero un costo annuo incrementale se esteso a tutto il Paese di circa 2,6-3 milioni di euro, assolutamente trascurabile nel bilancio sanitario e con evidenti benefici economici per il sistema (come mostra l'esperienza americana), oltre che per la salute dei bambini.
Bisognerebbe poi includere lo screening neonatale così esteso in modo strutturale nei LEA, in corso di revisione e non ancora approvati, in modo che anche le regioni soggette ai vincoli finanziari dei piano di rientro possano provvedere alla loro erogazione.
Infine è fondamentale definire un programma di adeguamento progressivo con chiari obiettivi di risultato per le Regioni, che ponga fine almeno in questo percorso all'inaccettabile ingiustizia del “postcode lottery”


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