Medicina e ricerca

Oggi è il World Heart Day: prima di tutto viene il cuore

di Alberto Lombardi e Andrea Peracino (Fondazione italiana per il Cuore)

Nel numero di Lancet del 22 agosto 2015 un ampio gruppo di esperti, guidati dall’Institute for Health metrics and evaluation di Seattle, presentava un aggiornamento sulla valutazione dell’incidenza, prevalenza e anni vissuti in disabilità di 188 Paesi riferiti a 301 malattie acute e croniche, con un confronto tra il 1990 e il 2013 (Lancet 2015; 386: 743-800; vedere anche Lancet 2012; 380: 2163-96). Il commento generale sulla valutazione di questa enorme quantità di studi, evidenziava che l’aumento di anni di vita (invecchiamento) della popolazione conduceva a un sostanziale incremento del numero di individui con sequele di malattie e traumatismi.

Specialmente nei Paesi non appartenenti al continente africano si era assistito, nel periodo indicato, a un’importante transizione: dalle patologie acute con conseguenti esiti fatali, alle patologie croniche e degenerative con conseguente incremento di fragilità, disabilità e sofferenza nei restanti anni di vita. Viene rilevato che la dimensione delle patologie a oggi richiede una progressiva modifica di attenzione nei servizi sanitari in tutti i paesi. Non si vuole in questa sede focalizzare l’attenzione su un’analisi e su un confronto approfondito tra Paesi, tra patologie e soprattutto fornire una valutazione comprensibile delle politiche sanitarie dei vari Paesi, che da detto studio deriveranno. Concentrandosi invece sull’Italia si osserva, con un certo beneficio di generalizzazione, in detto documento un aumento della percentuale di disability adjusted life dal 1990 al 2013. Il documento, comunque, conferma, nella valutazione della sanità di un Paese, la necessità di ampliare l’attenzione non solo sui numeri riferiti alla mortalità, ma anche sui tempi e durata della sofferenza per malattie o traumatismi, che si aggiungono al valore economico reale di questi percorsi.

Il Sistema sanitario nazionale italiano assorbe il 7,2% del Pil (per coprire il 77% della spesa sanitaria), mentre la fonte privata sostiene ulteriormente un altro 2% del Pil (il 23% delle spesa sanitaria). Ciascun cittadino (dati del 2013) ha contributo direttamente con le tasse alla copertura del costo del Ssn per euro 1.894. Accanto a tale contributo ciascun cittadino sostiene direttamente con una cifra intorno a euro 500 la spesa sanitaria non coperta dal Ssn. Tali numeri, se analizzati singolarmente, appaiono modesti ma quando sono moltiplicati per 60 milioni di cittadini divengono significativi e rappresentano le due spese: quelle per il Ssn (dato del 2014 intorno a 113 miliardi) e quelle per la copertura di spese dirette in sanità del cittadino (intorno ai 30 miliardi). I responsabili della gestione economica, politica e programmatoria della sanità di un paese, hanno davanti a loro percorsi non facili per fornire soluzioni efficaci a tali problematiche. È di queste ultime settimane l’intensa discussione tra i responsabili del ministero della Salute, le Regioni e il mondo dell’economia, sulla richiesta di ridurre di altri 3 o 6 miliardi i costi del Ssn.

Nel confronto con il mondo, l’Italia da anni ha una posizione di leadership nell’impegno del Servizio sanitario nazionale, ma anche in questa posizione, secondo lo schema dell’Oms anche l’Italia dovrebbe potere raggiungere nel 2025, fra dieci anni, una significativa riduzione di cronicità e disabilità oltre che di mortalità anticipata. Tale percorso, anche se non ancora ufficialmente intrapreso dagli organi sanitari del nostro Paese, ha un riflesso enorme sulla popolazione che non può rinunciare a diminuire le sofferenze provocate dalle malattie, che secondo le osservazioni degli esperti e non solo dell’Oms, possono essere ridotte.

C’è una certa difficoltà, tuttavia, a unire da un lato la sofferenza delle persone e dall’altro il concetto di costo e quindi di riduzione dei costi. Ma proprio in questa prospettiva appare sempre più confermato che i meccanismi di prevenzione, di prima e seconda istanza, più volte sollecitati e sostenuti dai medici, non appaiono sufficientemente sviluppati anche in Paesi attivi e avanzati dal punto di vista dell’impegno in medicina. Per questo lo sforzo dell’Oms appare ancora più solido se, come avviene, si imposta su logiche di raggiungibilità e di fattibilità, che, nella riunione di New York del settembre 2011, accompagnavano la scelta e poi la promozione del percorso essenziale per ogni Paese.

Il raggiungimento degli obiettivi indicati in tabella prevede certamente un impegno degli organi di gestione e governo della sanità, ma la domanda fondamentale è quanto tali obiettivi sono conosciuti e quindi sostenuti dal singolo cittadino, da quel cittadino che investe ogni anno una cifra molto vicina se non già superiore a euro 2.500 per la copertura dell’assistenza medica sulle patologie che in parte potrebbero essere ridotte, da quanto afferma, si prefigge e indica l’Oms.

L’impegno economico per la salute in un Paese va visto come investimento e non come costo e d’altra parte è necessario porre attenzione al rigore economico, per evitare che l’investimento si perda in percorsi non produttivi di salute o con costi superiori ai risultati di salute ottenuti.

I meccanismi utilizzati per riorganizzare la corrispondenza tra prestazioni e costi sono molto complessi e a volte si perdono nella stretta tra somma e sottrazione, moltiplicazione e divisione di cifre, senza arrivare nella maggior parte dei casi a conclusioni, non tanto di appropriatezza, ma di investimento.

Se si analizza un gruppo di patologie che arrecano estrema sofferenza al cittadino, come le malattie cardiocircolatorie, si deve riconoscere che esse rappresentano la prima causa di morte nei Paesi occidentali. Ogni anno il numero di persone che per tali malattie si ammalano è in crescita; la prevenzione di dette malattie è in buona parte efficace e si sa che deve avvenire quando la persona è ancora apparentemente sana.

Si conoscono i fattori di rischio di tali patologie, per i quali è stata più volte dimostrata l’efficacia del loro controllo. Alimentazione scorretta, sedentarietà, stress, fumo, elevata pressione sanguigna, elevati livelli di colesterolo, sovrappeso-obesità, diabete e malattie infettive come l’influenza rappresentano il 90% delle cause delle malattie cardiovascolari. Tali conclusioni sono valide in gran parte anche per le altre malattie croniche non trasmissibili, come molti tumori, le malattie polmonari croniche e soprattutto per obesità e diabete, le quali ultime citate appaiono strettamente collegate alle malattie cardio-cerbero-vascolari.

Quanto detto è noto ai gestori dell’economia e dei sistemi sanitari e ai gruppi di cittadini che sono impegnati in tali percorsi direttamente o indirettamente.

Ma quanto è modificato il comportamento della persona?
In questa realtà, infatti, non dobbiamo solo fermarci all’impegno dei medici, dei gestori e programmatori di sanità, infatti la domanda e le conseguenti azioni vanno rivolte alla singola persona che investe direttamente nella salute 2.500 euro all’anno. È necessario far comprendere alla persona quali azioni deve porre in atto, al fine di non aumentare tale contributo, ma di diminuirlo per una serie di patologie che si possono evitare con un’adeguata attività personale di prevenzione. L’attenzione al controllo del proprio patrimonio di salute deve essere rivolta alla singola persona nel contesto familiare e lavorativo, senza condizionamenti esterni. È questo l’obiettivo ultimo della Giornata mondiale del cuore che si celebra il 29 settembre. Lo slogan dell’edizione 2015 (“Healty heart choices for everyone, everywhere”) sottolinea dunque l’importanza di creare «ambienti che siano salutari per il cuore».

Si parla spesso di famiglia e di mondo della scuola, due aree dove la persona può fare o dovrebbe fare. Accanto a questi percorsi, in modo diverso, il mondo del lavoro rappresenta sempre più un’area dove il “contratto” tra la persona e il datore di lavoro costituisce non solo un legame economico e di protezione nei confronti delle malattie e degli incidenti sul lavoro. La persona nel mondo del lavoro è chiamata a realizzare la propria professionalità che non può essere disgiunta dalla propria personalità e questa non può essere disgiunta dalla propria salute.

I datori di lavoro, sia pubblici sia privati, sono responsabili di un contratto che prevede il mantenimento della salute nei confronti dei danni o delle cause di malattie da lavoro. I datori di lavori, sia pubblici sia privati, possono anche aiutare la persona a prendersi cura dell’intera propria salute.

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Alberto Lombardi

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