Medicina e ricerca

La prevenzione dell'influenza in età pediatrica

di Susanna Esposito (direttore Unità di Pediatria ad alta intensità di cura Policlinico, Università degli Studi di Milano)

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Prevenire l'influenza si può. E la vaccinazione resta il mezzo più efficace. Ciò spiega perché le autorità sanitarie di tutti i paesi concordano nel raccomandarla negli anziani e nei pazienti di ogni età con fattori di rischio. Ma non solo. Un numero crescente di Stati, oggi, raccomanda la vaccinazione influenzale anche nel bambino sano e gli Usa, in particolare, estendono questa raccomandazione agli adolescenti sani.
L’influenza è una malattia che ogni anno colpisce fino al 30% della popolazione, con rilevanti ripercussioni mediche, sociali ed economiche. I bambini fino ai 5 anni di età, gli anziani sopra i 64 anni e tutti coloro che soffrono di malattie croniche gravi sono i soggetti a maggior rischio di forme particolarmente gravi che possono comportare la necessità di ricovero ospedaliero o, più raramente, condurre a morte. L'influenza può avere, tuttavia, un decorso particolarmente negativo anche nei soggetti sani come i bambini, gli adolescenti o i giovani adulti, soprattutto quando i virus responsabili dell'infezione siano strutturalmente molto diversi da quelli che avevano circolato negli anni precedenti, come si verifica nelle pandemie. Paradigmatico a questo proposito quanto successo, circa un secolo fa, con l’epidemia “spagnola”, durante la quale il virus responsabile era del tutto nuovo e una buona parte dei casi più gravi e mortali si è verificato proprio in questi soggetti.

Da oltre 30 anni, il vaccino contro l'influenza è stato preparato con due tipi di virus del gruppo A, l'A/H1N1 e l'A/H3N2, e un virus del gruppo B, i principali responsabili dell'influenza nell'uomo. Questa scelta è stata motivata dal fatto che i virus A sono, in genere, più aggressivi di quelli B e meno stabili in quanto frequentemente oggetto di mutazioni che ne modificano le caratteristiche antigeniche e, quindi, le possibilità di protezione da parte di vaccini che contengano virus non mutati. Ciò spiega perché ogni anno, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), proprio sulla base delle mutazioni eventualmente verificatesi nei virus A, ha indicato quali di essi avrebbero probabilmente circolato nella stagione successiva e avrebbero dovuto essere contenuti nei vaccini per consentire la risposta immune capace di proteggere proprio da quei virus. La corrispondenza tra virus vaccinali e virus circolanti è, infatti, condizione essenziale per una protezione adeguata. Per il virus B veniva, invece, suggerita l'inclusione del tipo che era maggiormente circolato nell'anno precedente. Dal 1985, ci si è, tuttavia, resi conto che ogni anno 2 tipi di virus B potevano circolare contemporaneamente e che non era prevedibile quale dei due avrebbe avuto la massima importanza ogni anno. Ciò ha, di fatto, creato il problema della possibile non corrispondenza tra il virus B incluso nel vaccino e il virus B circolante, con ampia possibilità che, almeno in certi anni, una parte delle forme di influenza da virus B potesse non essere prevenuta. Poiché negli anni è stato dimostrato che i virus B possono causare influenza grave, anche mortale, il problema ha assunto rilievo pratico notevole. Per colmare questo vuoto, si è arrivati alla formulazione del vaccino quadrivalente nel quale oltre ai virus A sono stati inclusi anche i due tipi di virus B.

Prima della immissione in commercio, i preparati quadrivalenti sono stati largamente valutati sul campo, con sperimentazioni che hanno incluso soggetti delle diverse età, specie di quelle, come i bambini e gli anziani, che sono a maggior rischio di influenza grave. I dati di queste ricerche sono stati molto confortanti sia per ciò che riguarda la sicurezza e tollerabilità, sia per ciò che concerne le possibilità di protezione. In pratica, si è visto che l'aggiunto di un quarto virus non comportava alcun aumento del rischio di comparsa di eventi avversi e che la produzione di anticorpi protettivi risultava ottimale sia per i vecchi virus sia per il nuovo virus, senza alcuna interferenza negativa reciproca.

I vaccini contro l’influenza restano, quindi, tra i preparati meglio tollerati e gli unici problemi che possono seguire la loro somministrazione sono la possibile comparsa di minime reazioni locali come gonfiore, eritema e un poco di dolore in sede di iniezione o un modesto rialzo termico, con rapida regressione nel giro di poche ore. Circa la loro efficacia, è ormai dimostrato che essi possono prevenire o ridurre le manifestazioni cliniche dell'influenza nella maggior parte dei soggetti vaccinati.

L'efficacia è un poco minore nei bambini più piccoli ma certamente sufficiente a giustificarne l'uso nei soggetti di età pari o superiore ai 6 mesi. E' sperabile che la disponibilità del nuovo vaccino e, quindi, l'ampliamento delle possibilità di protezione, favorisca una sempre maggiore allargamento della copertura vaccinale nel bambino nell'interesse di questo e dei suoi familiari. Il bambino è, infatti, il maggior diffusore dell'infezione nella comunità e la prevenzione nei soggetti di età pediatrica si traduce anche in una più bassa incidenza di patologia nei familiari con minori problemi di assenza dal lavoro e di ulteriore trasmissione dell'infezione.


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