Medicina e ricerca

Immuno-oncologia, la lotta ai tumori si fa furba

di Michele Maio (presidente Nibit e Fondazione Nibit, direttore Uoc Immunoterapia Oncologica Aou Senese Policlinico S. Maria alle Scotte)

L’immuno-oncologia parla italiano. Il nostro Paese ha guidato i più importanti studi clinici con questa nuova arma e Siena è la capofila a livello mondiale. In dieci anni nella città toscana più di 700 pazienti sono stati trattati con queste terapie innovative che stimolano il sistema immunitario a combattere il cancro.

Il melanoma ha rappresentato l’apripista in sperimentazioni che si sono poi allargate a molti tipi di tumore, da quelli del polmone, del rene, della prostata, del colon-retto e del cervello, fino al mesotelioma e ad altre neoplasie rare. L’Immunoterapia Oncologica del Policlinico Santa Maria alle Scotte di Siena è tra i primi centri al mondo per numero di patologie trattate con questo nuovo approccio.

Proprio la città toscana dall’8 al 10 ottobre ha ospitato il XIII Congresso Nibit (Network italiano per la Bioterapia dei tumori) con la partecipazione dei più importanti esperti a livello internazionale. E da Siena arriva l’appello dei ricercatori perché queste terapie innovative siano subito disponibili per i pazienti. Il centro senese è nato dieci anni fa, all’inizio poteva sembrare una sfida.

Oggi l’immuno-oncologia si è affermata come la quarta arma disponibile per sconfiggere il cancro, in grado di generare grandi benefici sia nei tumori solidi che in quelli ematologici. Il primo farmaco immuno-oncologico approvato, ipilimumab, ha dimostrato di migliorare la sopravvivenza a lungo termine nel melanoma in fase avanzata: nel 20% dei pazienti la malattia si ferma o scompare del tutto, e aumenta la sopravvivenza a lungo termine. In questo tumore della pelle è ormai possibile evitare la chemioterapia.

Un passaggio che avverrà a breve anche nel tumore del polmone, con importanti vantaggi per i pazienti perché oggi uno su cinque trattato con un nuovo farmaco immuno-oncologico, nivolumab, è vivo a tre anni. Siamo di fronte a un risultato straordinario in una delle patologie a maggiore impatto, con 41.000 nuove diagnosi stimate in Italia nel 2015.

Il 21 luglio scorso la Commissione europea ha approvato nivolumab nel tumore del polmone non a piccole cellule squamoso localmente avanzato o metastatico, precedentemente trattato con la chemioterapia.

Il 22 settembre l’Aifa ha inserito il farmaco nella lista prevista dalla legge 648/96, consentendo così a 1.400 pazienti colpiti da questa forma di neoplasia, non inclusi nel programma di uso compassionevole, di poter disporre del trattamento a totale carico del Servizio sanitario nazionale. Nivolumab, cosi come un altro anticorpo diretto contro PD-1, pembrolizumab, però non sono stati ancora approvati nel nostro Paese nel melanoma. È importante che anche i pazienti con questo tipo di tumore della pelle, che nel 2015 in Italia colpirà circa 11.300 persone, possano accedere quanto prima alla terapia innovativa. Studi recenti hanno dimostrato l’efficacia della combinazione di ipilimumab e nivolumab.

L’associazione ha evidenziato una riduzione delle dimensioni del tumore, cioè tassi di risposta non solo maggiori rispetto ai due farmaci somministrati in monoterapia ma anche più veloci e duraturi.

Il regime di combinazione nel melanoma è stato approvato recentemente negli Stati Uniti dall’ente regolatorio americano, la Food and Drug Administration (Fda), ma spesso i pazienti italiani devono attendere molti mesi prima di poter accedere a queste armi. Chiediamo alle Istituzioni di prevedere approvazioni accelerate quando si tratta di terapie realmente innovative. L’obiettivo di cronicizzare la malattia, già raggiunto in alcuni pazienti con melanoma, potrà essere esteso ad altri tipi di tumore grazie all’associazione di queste molecole. I risultati degli studi nel melanoma rafforzano le nostre convinzioni che le future terapie consisteranno nella combinazione di più farmaci immuno-oncologici, tra cui nivolumab e ipilimumab, che possono modulare il sistema immunitario per offrire ai pazienti con tumore opzioni di maggiore efficacia, più di quanto si possa ottenere con gli attuali approcci terapeutici.

Nel 2011, la sopravvivenza a lungo termine in pazienti con melanoma metastatico era un risultato impensabile, ma l’introduzione di ipilimumab ha aiutato a rendere questo obiettivo una realtà per il 20% dei pazienti. Ora stiamo incrementando questi successi con nivolumab, il primo inibitore di PD-1 a dimostrare un aumentato beneficio in termini di sopravvivenza. Stiamo assistendo a risultati importanti anche nel tumore del rene. Nivolumab infatti ha dimostrato di ridurre il rischio di morte del 27% nelle persone colpite dalla malattia in fase metastatica rispetto alla terapia standard. Gli studi di fase I sono fondamentali per implementare questo tipo di conoscenze, anche se in Italia sono in netto calo.

Il ruolo del Nibit. Uno degli obiettivi del Nibit (Network italiano per la bioterapia dei tumori) è proprio quello di promuovere sperimentazioni pre-cliniche e cliniche in grado di portare risultati immediati al letto del paziente. Il Nibit riunisce in rete le più importanti strutture italiane, circa 50, che si occupano di bioterapia dei tumori. Nel 2012, da una costola del network è nata la Fondazione Nibit.

Questo ente vuole sviluppare studi spontanei con finalità non commerciali che si occupano di alcune patologie “di nicchia”. Partendo dai dati generati dal nostro centro a Siena nel corso di sperimentazioni spontanee sono nati studi registrativi internazionali , ad esempio nel mesotelioma, per il quale partirà nella città del Palio uno studio clinico che combinerà i due anticorpi tremelimumab e durvalumab diretti contro le molecole Ctla-4 e Pd-1.

L’Abc dell’immunoterapia oncologica
L’immunoterapia applicata al trattamento dei tumori è la nuova arma a disposizione dell’oncologo medico: si affianca alle terapie tradizionali - chirurgia, radioterapia e chemioterapia - e contrasta la malattia attraverso la stimolazione del sistema immunitario. Nel cancro, le cellule maligne possono evadere attraverso vari meccanismi il controllo immunitario, “arrestando” la risposta immune e continuando a replicarsi.

Michele Maio

Le cellule che il sistema immunitario produce per scovare e distruggere i microorganismi che causano la malattia sono chiamate cellule T. Le terapie immuno-oncologiche interagiscono con il sistema immunitario per stimolare la produzione e l’attivazione delle cellule T (o linfociti T), che a loro volta identificano e distruggono le cellule tumorali per prevenire la diffusione del tumore. Talvolta, tuttavia, le cellule tumorali riescono ad adattarsi e non sono riconosciute dal sistema immunitario, secondo un processo denominato "escape" immunitario, che permette al tumore di diffondersi. Un aspetto della ricerca immuno-oncologica include inoltre lo studio di come i tumori riescono ad adattarsi per evitare la loro distruzione e non essere riconosciuti dal sistema immunitario, limitando così l’efficacia di alcuni trattamenti. Analogamente, i ricercatori stanno anche studiando vie che possano potenziare la produzione di cellule T, così come quelle vie che inibiscono la rapida crescita delle stesse cellule T e la loro capacità di distruggere le cellule tumorali

Il tempo di latenza. Un farmaco immuno-oncologico non genera risultati visibili nell’immediato, poiché non colpisce direttamente le cellule tumorali, ma va ad attivare il sistema immunitario per ottenere la risposta desiderata. Il reale beneficio clinico non deve quindi essere valutato nei tempi e con le metodiche standard della terapia oncologica “classica”. Infatti è possibile notare un iniziale aumento della massa tumorale, seguito solo in un secondo tempo da una riduzione. In alcuni casi, possono trascorrere anche 16-20 settimane perché si possa evidenziare radiologicamente una risposta. Una volta che ciò è avvenuto, però, si instaura una “memoria immunologica”, per cui le risposte o le stabilità di malattia possono essere durature nel tempo, con un chiaro impatto sulla sopravvivenza dei pazienti. Un’altra differenza importante rispetto alle terapie classiche è che, col tempo, queste ultime possono selezionare ceppi di cellule tumorali con una maggiore resistenza ai farmaci, con una conseguente evoluzione rapida della neoplasia. Nel caso dell’immunoterapia, invece, non agendo direttamente sulla cellula tumorale, ma sul sistema immunitario, non avviene tale selezione e, anche quando la malattia progredisce, l’evoluzione tende a essere più lenta


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