Medicina e ricerca

Ictus, una cura esiste ma sono ancora pochi i pazienti trattati

di Salvatore Mangiafico (Neuroradiologo interventista Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi, Firenze)

L’ictus cerebrale rappresenta la terza causa di morte, dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie, e la prima causa di disabilità nell’adulto. In Italia sono circa 185.000 le persone colpite da ictus cerebrale; 1 uomo su 6 ed 1 donna su 5 può andare incontro a ictus nel corso della propria vita.
Le linee guida per il trattamento dell’ictus oggi prevendono che, nel paziente con ictus ischemico acuto, si debba praticare in prima istanza la trombolisi per via endovenosa, ossia la somministrazione di farmaco trombolitico in vena entro le prime 4 ore e mezza dall’evento e successivamente, possibilmente entro le 6 ore, la procedura di trombectomia meccanica, ossia la disostruzione dell’arteria con un sistema - detto sentriever - che rimuove il coagulo dall’arteria colpita e salva tessuto cerebrale attraverso l’introduzione di stent che raggiungono l’arteria cerebrale colpita e trascinano via il coagulo, riducendo la disabilità nei pazienti colpiti nel 40/50% dei casi.
Oggi in Italia, però, questa procedura viene eseguita solo per il 7% del totale di pazienti potenzialmente candidabili. I dati del registro nazionale che raccoglie i casi riportati da 35 su 45 centri riporta infatti un numero di procedure pari a 400-500 l’anno contro le 7.000 potenziali.
Il primo intervento di trombectomia meccanica realizzato al mondo con lo stent retriever Solitaire risale al 2008 ed oggi l’efficacia di questa procedura è incontrovertibilmente dimostrata da ben 5 ampi studi clinici randomizzati tanto da essere entrata nelle nuove linee guida nell’ictus moderato o grave. Oggi quindi, non è più possibile basare la terapia dell'ictus ischemico solo sulla fibrinolisi endovenosa limitandosi alla somministrazione endovenosa di farmaci, ritardando il trasferimento rapido o addirittura, non inviare il paziente ad un centro di neuroradiologia interventistica di una stroke unit di secondo livello. Questo infatti significa negare al paziente una possibilità di ridurre il deficit neurologico residuo e quindi il grado di invalidità.
Per far si che questo sia possibile, è necessario un forte impegno. E' indispensabile avere un sistema ospedaliero organizzato in rete e trasporti veloci per consentire un passaggio rapido dalle stroke unit di primo livello a quelle di secondo livello attrezzate per effettuare la procedura di trombectomia meccanica, nonché la formazione di personale operativo 24 ore su 24, 7 giorni su 7 con l’obiettivo di trattare tutti i pazienti candidabili a questo tipo di intervento. A questo, va affiancata una maggiore opera di sensibilizzazione del pubblico sul riconoscimento dei segni e sintomi dell’ictus, per far sì che i pazienti arrivino presto in ospedale: la precocità del trattamento garantisce, infatti, un miglior outcome clinico del paziente. E' quindi quanto mai necessario non perdere tempo, perché proprio il tempo è un fattore determinante per salvare i pazienti e ridurne la disabilità.


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