Medicina e ricerca

Tumore del seno: «Dieci anni di progressi incredibili. Ora urgono percorsi di riabilitazione»

Sono più di 495mila le donne in Italia che hanno sconfitto il tumore del seno. Molte si lasciano la malattia alle spalle, ma spesso risentono per tutta la vita di alcune conseguenze della neoplasia o dei trattamenti utilizzati per favorire la guarigione. «Anche per queste pazienti che ce l'hanno fatta – spiega il prof. Francesco Cognetti, direttore dell'Oncologia Medica del Regina Elena Roma - è importante affrontare organicamente i molteplici disturbi che talvolta inficiano gravemente la loro qualità di vita, in particolare quelli sessuali, della fertilità, psico-sociali. Senza dimenticare il distress, la depressione o le conseguenze organiche, cardiologiche, neurologiche, conseguenti alla cura, oltre alla fatigue e all'osteoporosi. Dovrebbe essere compiuto ogni sforzo per avviare programmi complessivi di riabilitazione che affrontino e risolvano tutti questi aspetti per restituire alle donne una piena integrità psichica e fisica una volta raggiunta la guarigione. Tutte le Istituzioni che trattano queste pazienti dovrebbero considerare questi aspetti ed affrontarli organicamente». L'esigenza di predisporre programmi specifici di riabilitazione è emersa dall'International Meeting on New Drugs in Breast Cancer che si è svolto la scorsa settimana al Regina Elena e presieduto da Cognetti.

«Dieci anni di progressi incredibili»
«Per le pazienti con espressione o amplificazione del fattore di crescita HER2 i progressi negli ultimi 10 anni sono stati incredibili – afferma il prof. Clifford Hudis, Past President della Società americana di Oncologia Clinica (American Society of Clinical Oncology, ASCO) e responsabile del Breast Medicine Service al Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York -. Decisivi anche i risultati clinici con numerose decine di migliaia di donne guarite nel mondo grazie a farmaci specifici contro questo fattore di crescita. Recentemente sono stati introdotti anche in questo sottogruppo di pazienti nuovi farmaci che potentemente integrano l'attività dei trattamenti di prima generazione. Sono in corso sperimentazioni cliniche nella malattia in fase precoce anche prima della chirurgia, per valutare in quali casi somministrare i trattamenti più convenzionali (probabilmente nelle donne a minor rischio) e quando invece utilizzare insieme tutti questi farmaci (i più tradizionali e i più moderni) in aggiunta alla chemioterapia (nelle donne ad alto rischio)».

Next Generation Sequencing
«Le moderne tecnologie di Next Generation Sequencing – continua il prof. Hudis - sono in grado di valutare in modo abbastanza preciso nel singolo caso la prognosi, cioè l'andamento della malattia. Il valore predittivo di questi test, per valutare l'effetto del trattamento ormonale o chemioterapico, rimane ancora da validare, con particolare riguardo ai farmaci chemioterapici. Ulteriori studi sono quindi necessari per approfondire e migliorare le conoscenze in questo ambito». «Abbiamo oggi già a disposizione un significativo numero di opzioni terapeutiche sia nella malattia in fase iniziale, prima o dopo l'intervento chirurgico, per prevenire le recidive o le metastasi, che in quella più avanzata – sottolinea il prof. Cognetti -. Il trattamento viene ora sempre deciso sulla base di complesse valutazioni sulle caratterizzazioni biologiche di ogni singolo tumore, infatti in questi casi si parla di medicina personalizzata. Questo approccio ha consentito grandi progressi e un impatto sostanziale delle cure sul decorso della malattia. La ricerca di base continua a produrre nuove idee da trasferire alle nostre pazienti. Come i farmaci innovativi che potenziano l'attività dell'ormonoterapia o integrano l'efficacia della chemioterapia, che rimangono i capisaldi del trattamento dei tumori della mammella. Ma anche nuovi agenti biologici mirati in tipi particolari di tumori e nuovi approcci mai applicati in questa neoplasia, come l'immunoterapia con le nuove terapie che già hanno rivoluzionato il trattamento del melanoma maligno e dei tumori del polmone, ma ancora in fase del tutto sperimentale nei tumori della mammella».

Chance immunoterapia
«L'immunoterapia nella neoplasia del seno – continua il prof. Giuseppe Curigliano, Direttore Sviluppo di Nuovi Farmaci per Terapie Innovative all'Istituto Europeo di Oncologia di Milano - apre per il futuro tre grandi argomenti di ricerca: innanzitutto come rendere immunogenici i tumori che non lo sono (ovvero come rendere riconoscibili dal sistema immunitario i tumori che meglio si mimetizzano); come potenziare la risposta immunitaria attraverso la combinazione di più anticorpi che attivano in modo più efficace il sistema immunitario; come identificare i pazienti responsivi rispetto ai non responsivi. Quest'ultimo quesito trova la risposta nell'analisi di marcatori nel sangue periferico e non nell'analisi del tumore. Ogni farmaco a cui il paziente è esposto induce perturbazioni del sistema immunitario. Intercettare e studiare queste perturbazioni, attraverso l'analisi citofluorimetrica dei linfociti e l'analisi del trascrittoma, ci consentirà di meglio selezionare i pazienti candidati a terapie con inibitori dei checkpoint immunologici».

«È evidente quanto sia importante il ruolo del sistema immunitario nell'insorgenza e nella progressione delle malattie neoplastiche, comprese quelle della mammella – conclude il prof. Giuseppe Viale, Direttore del Dipartimento di Patologia all'Università di Milano -. Gli attuali approcci immunoterapeutici sono proprio intesi da una parte a stimolare la reazione immunitaria individuale contro il tumore, dall'altra a ridurre le capacità di inibire la reazione immunitaria, che è il modo con cui alcuni tumori sfuggono al controllo immunitario. Il ruolo del patologo in questo contesto sembra diventare sempre più importante nell'indirizzare le scelte terapeutiche, basate sulle caratteristiche della reazione immunitaria presente nel tumore o sulla sua assenza. Quando presente, è importante valutare l'intensità dell'infiltrazione da parte delle cellule del sistema immunitario e, probabilmente, anche la presenza dei diversi tipi cellulari (linfociti attivati citotossici e cellule che inibiscono l'attività dei linfociti citotossici), nonché la presenza o meno di molecole, prodotte dalle cellule tumorali o dagli elementi infiammatori, che inibiscono l'attività immunitaria (ad esempio PD-L1 e PD-L2). Sulla scorta di queste determinazioni, la scelta cadrà su interventi immunoterapeutici diversi, volti a contrastare l'effetto delle molecole o delle cellule che inibiscono l'immunità (ad esempio farmaci anti PD-1 o anti-PD-L1) o a favorire l'attivazione del sistema immune dell'ospite (strategie di tipo vaccinico in senso lato o trattamenti che intensificano i processi di attivazione linfocitaria, ad esempio i farmaci anti-CTLA4 come ipilimumab)».


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