Medicina e ricerca

Gimbe presenta a Oxford il position paper sui buoni screening oncologici

di Fondazione Gimbe

Le strategie di screening oncologico a elevata intensità hanno l'obiettivo di identificare il maggior numero di tumori possibili, nella speranza che la diagnosi precoce coincida sempre con una riduzione della morbilità e mortalità: di conseguenza, vengono ampliate le popolazioni target, utilizzati test molto più sensibili e aumentata la frequenza. Le strategie di screening variano anche in relazione al loro value: quelle a elevato value producono grandi benefici rispetto a rischi e costi associati, mentre le strategie dal basso value restituiscono benefici enormemente più piccoli rispetto a rischi e costi.

«La notevole diffusione di screening oncologici intensivi al di fuori dei programmi organizzati - afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe - risponde a forti sollecitazioni che spingono medici e cittadini verso l'approccio della massima probabilità di diagnosticare ogni forma di cancro. Infatti, tutti siamo istintivamente portati a credere che l'identificazione precoce di una lesione e la conseguente tempestività del trattamento migliorino sempre la prognosi del tumore senza comportare alcun rischio».

Al fine di diffondere la consapevolezza di come si modifica il value degli screening in relazione alla loro intensità, il Position statement Gimbe - presentato ieri dal presidente a Oxford in occasione della conferenza internazionale «Hellish Decisions in Healthcare» - ha valutato secondo questo nuovo approccio cinque screening oncologici (mammella, cervice uterina, colon retto, ovaio e prostata), identificando i test diagnostici raccomandati e non raccomandati, al fine di guidare le decisioni politiche, manageriali e professionali, oltre che informare le scelte dei cittadini.

«In accordo alle migliori evidenze scientifiche - continua Cartabellotta - dovrebbero essere offerti alle popolazioni target solo screening oncologici di provata efficacia nel ridurre la mortalità: di fatto, tutti quelli attualmente inclusi nei livelli essenziali di assistenza nell'ambito dei programmi organizzati per lo screening del carcinoma della mammella, della cervice uterina e del colon-retto. Tuttavia, nonostante le politiche sanitarie nazionali siano evidence-based, assistiamo impotenti a un inaccettabile paradosso: da un lato i programmi di screening organizzato, già a carico del Ssn, non sono adeguatamente implementati, dall'altro il Ssn rimborsa una valanga di test diagnostici dal basso value che a fronte di benefici incerti presentano rischi reali e consumano preziose risorse».

La Fondazione Gimbe ha valutato le performance regionali nel periodo 2003-2013 utilizzando l'indicatore 2 della “Griglia Lea”, che descrive le attività dei 3 programmi di screening e l'adesione da parte della popolazione eleggibile. Lo score cumulativo delle performance regionali è aumentato da 75 a 176, pur rimanendo molto lontano dal punteggio massimo ottenibile (315), garanzia di una copertura ottimale sul 50-60% della popolazione eleggibile. Nonostante i limiti dell'indicatore Lea e la certezza che parte della popolazione target effettua screening al di fuori dei programmi organizzati, emerge indiscutibilmente il sotto-utilizzo di strategie di screening a elevato value con enormi differenze regionali: a fronte di uno score massimo di 165 ottenibile da ciascuna Regione nel periodo 2003-2013, l'adempimento Lea documenta un inaccettabile livello di diseguaglianze regionali, con un range che oscilla dai 127 punti della Valle D'Aosta ai 12 della Puglia. Tutto questo a dispetto del Piano Screening 2007-2009 che, nel tentativo di superare le criticità nelle Regioni meridionali e insulari, ha stanziato 41,5 milioni di euro per Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna.

«Oggi per garantire il massimo ritorno in termini di salute dal denaro investito – conclude Cartabellotta – da un lato è indispensabile una ottimale implementazione solo degli screening oncologici efficaci nel ridurre la mortalità, dall'altro occorre arginare la percezione professionale e sociale che in oncologia la diagnosi precoce costituisce sempre e comunque la migliore opzione. A tal fine bisogna contrastare tutte le strategie dal low value che aumentano i rischi per la popolazione a fronte di benefici non documentati, determinando inaccettabili sprechi di denaro pubblico».


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