Medicina e ricerca

Moderazione e varietà per superare il “neo-proibizionismo alimentare”

di Furio Brighenti, presidente Sinu (Società Italiana di Nutrizione Umana)

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Quanto è diventato difficile orientarsi tra le centinaia di informazioni che si susseguono giornalmente e che spesso si contraddicono tra loro? Carne rossa e salumi, zucchero, latte, glutine e prossimamente bevande calde e caffè: periodicamente ci giungono notizie che colpiscono a turno singoli alimenti, creando confusione tra le persone che restano disorientate al momento di scegliere cosa mettere nel piatto. Un approccio sbagliato a livello comunicativo e educativo, perché sposta l'attenzione su un singolo nutriente o un singolo alimento senza considerare la dieta nel suo complesso.

Aiutarci nelle scelte è lo scopo delle “Linee guida Alimentari”, documenti divulgativi ed educativi che parlano in maniera semplice al cittadino traducendo la complessità dell'evidenza scientifica in consigli pratici di comportamento quotidiano che seguano regole chiare: moderazione nelle quantità, massima varietà, attenzione ai fattori di rischio e ai comportamenti alimentari scorretti evitando tuttavia demonizzazioni o santificazioni, oltre naturalmente a una giusta dose di attività fisica.

Autorevoli rappresentanti in ambito nutrizionale di Stati Uniti, Cina, India, Australia e Italia si sono confrontati a Firenze durante il Congresso Nazionale della Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU) in un workshop dal titolo “Linee Guida Alimentari e salute – una prospettiva internazionale”. E' la prima volta che gli esperti di nutrizione si riuniscono su questo tema in rappresentanza di circa tre miliardi di persone.

Ciò che è emerso è la necessità di un nuovo approccio educativo all'alimentazione equilibrata, che tenga conto dei vari cibi che ciascuno di noi assume ogni giorno, ma anche degli stili di vita che conduciamo. La pizza ai quattro formaggi consumata da un sedentario ha un “peso” diverso rispetto a quella che mangia chi conduce una vita attiva. Inoltre, va ricordato che - in assenza di specifiche controindicazioni mediche - è probabilmente controproducente indicare un singolo alimento come “cattivo” o “buono” e dare dei divieti molto rigidi su uno specifico cibo perché la prima reazione, soprattutto in certe fasce di età come l'adolescenza, è quella di ignorare il divieto.

Perché le Linee guida non restino solo un documento accademico che poi non viene seguito dai cittadini, bisogna cambiare linguaggio e porre fine al “riduzionismo”: la gente che fa la spesa acquista cibo e non singoli nutrienti. Non serve dire loro di consumare più “folati”, perché è un messaggio incomprensibile; meglio suggerire di mangiare più verdure a foglia verde e incoraggiarli a metterle spesso nel carrello del supermercato. È utile indicare che è bene non eccedere con la carne, ma tuttavia assicurare che venga raggiunto un giusto apporto di proteine alternando fonti come pesce, legumi o formaggi. Insomma, bisogna fornire indicazioni pratiche che aiutino le famiglie a fare una spesa equilibrata, favorendo i messaggi con consigli semplici ma soprattutto calati nella vita reale e coerenti con le abitudini alimentari di una nazione.
Alla base delle Linee Guida va ponderata l'evidenza scientifica, una pratica che gli addetti ai lavori incaricati di stilare raccomandazioni in tutti i campi della salute non possono dimenticare. Non esiste un alimento o un nutriente che di per sé faccia bene o male se consumato in quantità adeguata e inserito in una dieta bilanciata. Un classico esempio sono gli zuccheri. Nella recente revisione delle linee guida sul consumo di zuccheri aggiunti, l'Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda di limitarne il consumo al 10% delle calorie totali giornaliere, auspicando addirittura un'ulteriore riduzione al 5% in contesti dove l'igiene orale sia scarsa e la profilassi della carie limitata. Si tratta di una raccomandazione forte che tuttavia travalica ciò che ci indica l'evidenza scientifica (che infatti è dall'OMS stessa definita rispettivamente moderata e debole) ma rappresenta un esempio di “risk management”. In altre parole, è un'indicazione dettata dall'esigenza per l'OMS di dover “gestire” situazioni molto diverse in differenti aree geografiche, e come tale va tradotta nelle “linea guida” nazionali valutandone attentamente il contesto. Un esempio emerso dall'incontro di Firenze è la Cina. In Cina l'introduzione di zuccheri aggiunti (fonte Euromonitor) è davvero al 5%, se non addirittura inferiore, eppure è uno dei paesi che sta assistendo a una più veloce diffusione dell'obesità. Secondo The Lancet, il 9 per cento di tutti gli obesi del mondo è cinese. Dunque, in questo specifico ambito culturale e alimentare risulta evidente che non è solo il singolo nutriente, ma l'alimentazione nel suo complesso e gli stili di vita a dover essere presi in considerazione.
Per questo, prima di definire linee guida e raccomandazioni nutrizionali, gli esperti analizzano i numerosi dati scientifici alla base delle raccomandazioni e ne valutano evidenza, importanza e priorità. Ma dalla ricerca scientifica alla tavola il percorso è lungo e non sempre i dati disponibili hanno la stessa ‘qualità' scientifica. Negli Stati Uniti per varare le raccomandazioni nutrizionali l'evidenza scientifica delle diverse tipologie di studio viene attentamente pesata: le opinioni degli esperti hanno un basso peso, gli studi epidemiologici osservazionali e prospettici hanno un valore medio, mentre quelli che vanno considerati assolutamente con attenzione sono gli studi di intervento “randomizzati e controllati”, che purtroppo però rappresentano solo una minima parte della letteratura in ambito nutrizionale. Poiché le Linee guida hanno un impatto enorme sugli stili di vita dei cittadini, ma anche sulle politiche di prevenzione e di salute dei governi e sulla spesa pubblica, è fondamentale, per non dire imprescindibile, che le raccomandazioni nutrizionali si basino sempre su evidenze scientifiche il più solide possibile.


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