Medicina e ricerca

Il peso delle neuroscienze nella valutazione della colpa

di Giancarlo Comi (direttore dell’istituto di Neurologia sperimentale Inspe, Irccs Ospedale S. Raffaele)

Uno dei problemi fondamentali delle neuroscienze è il rapporto tra mente e cervello. I recenti sviluppi tecnologici e in particolare il neuroimaging e i potenziali eventi correlati ci consentono di guardare dentro a quella meravigliosa macchina che è il nostro cervello e di svelarne piano piano i segreti del funzionamento. Anche senza essere riduzionisti appare indubbio che le conoscenze che andiamo maturando rivelano una sempre più stretta correlazione tra mente e cervello.

In questo ambito ha destato grande scalpore un esperimento fatto circa 30 anni fa da Benjamin Libet che consisteva nel chiedere a dei soggetti sottoposti a una registrazione dell’attività bioelettrica cerebrale e dell’attività motoria della mano di compiere un movimento volontario con una mano ogni volta che lo volevano. Il soggetto doveva contemporaneamente guardare un orologio sulla parete di fronte a lui e ricordare il momento esatto in cui aveva deciso di produrre il movimento.

Con grande sorpresa risultò che fino a quasi un secondo prima che il paziente avesse consciamente deciso di muovere la mano e che l’inizio del movimento fosse registrabile, già nelle aree del cervello che controllano il movimento si verificavano delle attività elettriche espressione di una qualche preparazione a muovere che doveva necessariamente essere inconscia dato che a quel momento il soggetto non aveva ancora deciso di muovere la mano. Simili esperimenti furono successivamente eseguiti con qualche variazione del disegno, ma essenzialmente col medesimo risultato.

Questo sorprendente riscontro venne usato dai deterministi come la prova definitiva che l’inizio di un atto volontario avviene inconsciamente, prima che il soggetto abbia maturato ogni decisione di muoversi e quindi di conseguenza il soggetto non è responsabile dell’azione, anche se qualcuno ha arguito che può essere responsabile del fatto di non aver interrotto l’azione in oggetto.

Questo esperimento è stato variabilmente criticato poiché sia l’attività elettrica inconscia che la percezione conscia della propria decisione di muovere potevano essere sottesi da una serie di processi apparentemente inconsci, ma che in realtà esprimevano già la propria volontaria decisione di muovere, di cui le modificazioni elettriche della corteccia cerebrale e la percepita volontà di muovere costituivano due espressioni temporalmente sequenziali.

L’esperimento di Libet è comunque stato il punto di partenza per una discussione e una serie di ricerche che hanno avuto un’esponenziale crescita in questi anni e che hanno avuto un forte impatto sia a livello culturale che giuridico. L’incontro di Brainforum 2016, organizzato da Viviana Kasam presidente di BrainCircleItalia, un’organizzazione molto attiva nell’ambito delle neuroscienze, ha come tema i rapporti tra Cervello e Violenza, affrontati brillantemente nella pubblicazione di Adrian Raine. Questo è di certo un tema ampiamente dibattuto, ma la novità qui è l’uso di strumenti scientifici per affrontare l’argomento; per alcuni questo potrebbe essere il vizio fondamentale del testo, a mio modesto avviso ne rappresenta invece il principale merito.

Nella mia attività professionale di neurologo ogni giorno mi devo confrontare con pazienti che a causa di patologie che compromettono a livello macro o microstrutturale il cervello presentano modificazioni della personalità e alterazioni del comportamento. Cambiamenti che possono portare all’emergere di tratti violenti, di un’impulsività inadeguatamente controllata, di propensioni a sessualità incontrollata, talvolta alla realizzazione di comportamenti delittuosi in condizione di coscienza ridotta o assente, costituiscono la modalità di presentazione o evoluzione di molte patologie neurologiche, demenze in primis, ma anche tumori che colpiscono le regioni frontali e temporali, patologie infiammatorie dell’encefalo, epilessia , ecc.

Queste costituiscono condizioni estreme che credo qualsiasi giudice non avrà difficoltà a riconoscere e ad attribuire loro il giusto ruolo al momento del giudizio. Questo è però solo l’aspetto estremo e facilmente individuabile di una base biologica per il manifestarsi di comportamenti criminali, di cui per altro Raine dà illuminanti esempi nel suo libro.

Il vero problema è quello di dare il giusto peso a fattori nervosi organici nella valutazione della colpa di un individuo che compie atti violenti. Senza giungere all’estremo delle posizioni deterministiche per cui a nessuno può essere attribuita alcuna colpa per i propri atti, qui si tratta di definire quanta parte hanno avuto certe caratteristiche genetiche, determinate alterazioni strutturali delle regioni cerebrali, ma anche influenze ambientali che hanno plasmato la modalità organizzativa del cervello. Negli ultimi anni è emersa prepotentemente alla ribalta l’enorme plasticità del cervello, che ha la sua massima espressione nei primi anni di vita per poi progressivamente decadere. Senza essere lombrosiani, di certo il nostro cervello esprime bozze e avvallamenti in relazione agli stimoli specifici che riceve a cui corrispondono modi di reagire di fronte a stimoli interni ed esterni, il tutto modulato dal patrimonio genetico che ci viene consegnato dai nostri genitori poi plasmato da meccanismi epigenetici.

Qualche semplice esempio. Un gruppo di ricercatori tedeschi ha dimostrato che l’utilizzo ripetuto e protratto di videogame con contenuti violenti desensibilizza il giovane nei confronti della violenza, un cambiamento che è sotteso da una modificazione del volume della sostanza bianca fronto-parietale e delle connessioni tra diverse aree cerebrali, per cui potrebbe lasciare una conseguenza indelebile a una minore repulsione sia nel compiere che nell’osservare atti violenti. L’educazione lascia una traccia indelebile nel nostro cervello, costruisce strade di comunicazione, crea priorità di accesso tra le diverse aree cerebrali, definisce priorità operative, ne determina i risvolti emozionali, protegge dal venir meno con l’invecchiamento delle capacità di controllo della nostra impulsività, costruisce cioè una riserva non solo cognitiva, ma anche emozionale e morale, fondamentali per la vita sociale. L’accesso a questo patrimonio può essere fortemente condizionato in alcuni giovani individui e ciò risulta in chiare limitazioni di alcuni fondamentali circuiti cerebrali.

I pazienti con demenza vanno incontro a un progressivo deterioramento delle funzioni cognitive che ha un profilo diverso nelle diverse forme di demenza. Per esempio i malati di Alzheimer hanno elettivamente colpite l’autocoscienza delle proprie difficoltà cognitive, il giudizio morale e la memoria prospettica mentre i pazienti con variante comportamentale di demenza fronto temporale, oltre all’alterazione del giudizio morale, presentano un’incapacità di giudizio delle proprie azioni e della propria affettività.

La diversità dell’alterazione dei profili cognitivi dipende dal diverso interessamento delle varie aree cerebrali frontali e temporali, ancora una volta le stesse aree sono risultate interessate da alterazioni in una vasta percentuale di detenuti per crimini caratterizzati da particolare violenza.

A testimoniare che questa plasticità del cervello può giocare anche in senso negativo è la recente osservazione che nei giovani delinquenti che hanno commesso omicidio vi è minor sostanza grigia nei lobi temporali, incluso l’ippocampo, una struttura così importante per la memoria e l’amigdala, il nucleo che colora emotivamente i nostri atti.

Infine è di grande interesse il risultato di una ricerca di un gruppo di Harvard che ha dimostrato che se noi disturbiamo con una stimolazione magnetica a carattere inibitorio la corteccia pre-frontale, la parte funzionalmente più avanzata del nostro cervello, responsabile del pensiero strategico e del controllo delle azioni, nonché dell’elaborazioni di giudizi morali i soggetti così trattati perdevano la capacità di stimare in modo appropriato la dimensione di un atto criminale. Possiamo quindi auspicare che per un futuro che speriamo prossimo, per una piena definizione della colpevolezza di un individuo responsabile di atti di violenza, vi sia un appropriata valutazione mediante tecniche neurofisiologiche e di neuroimaging.


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