Medicina e ricerca

Ma il cervello ha un sesso? Il punto al Brain Forum di Roma

di Rosanna Magnano

Il cervello non ha un sesso. E la differenza di genere non esiste, così come non esiste un cervello maschile e un cervello femminile, ma solo comportamenti definiti arbitrariamente maschili o femminili, assolutamente interscambiabili e sovrapponibili, connotati sessualmente solo da usanze sociali e culturali. È questa la tesi sostenuta da Daphna Joel, School of Psychological Sciences and Sagol School of Neuroscience, Tel-Aviv University nella lectio magistralis che ha aperto la nuova edizione di Brain Forum (www.brainforum.it) che si è svolta oggi a Roma al Tempio di Adriano, organizzato da BrainCircleItalia insieme all'European Brain Research Institute (Ebri), la Fondazione di Rita Levi Montalcini per promuovere la ricerca sul cervello . Il convegno dal titolo «Ha un sesso il cervello?» prova a fare chiarezza tra stereotipi, dispute sociali e “certezze” più o meno scientifiche.

Se basta un po’ di stress per cambiare «genere»
«Studi condotti su animali dimostrano che le espressioni di caratteristiche considerate maschili o femminili - spiega Daphna Joel - possono essere diverse e addirittura opposte sotto diverse condizioni ambientali, e rivelano scarsa coerenza interna. Analogamente, l'analisi delle immagini di risonanza magnetica di oltre 1.400 cervelli umani ha rivelato che la coerenza interna tra i cervelli è rara. Piuttosto, la maggior parte dei cervelli sono costituiti da “mosaici” unici di funzioni, alcune più comuni nelle femmine rispetto ai maschi, alcuni più comuni nei maschi rispetto alle femmine, e alcuni comuni ad entrambi. Una simile analisi di dati correlata al genere (comportamenti, caratteristiche di personalità ed emotive, capacità cognitive e atteggiamenti) e riferita a oltre 5.500 individui ha rivelato che la coerenza interna delle caratteristiche di genere è estremamente rara. La mancanza di tale coerenza interna nel cervello umano e di caratteristiche di genere ci porta a rivedere il pregiudizio consolidato che i cervelli si possano catalogare in due categorie distinte (uomini/donne, cervelli maschio/cervelli femmina) per apprezzare la variabilità del genere umano e dei mosaici di caratteristiche che lo costituiscono».

A ispirare le riflessioni della studiosa , c’è la scoperta dei “15 minuti di stress” , ossia che bastano 15 minuti di stress per cambiare la connotazione sessuale di alcune aree del cervello da una espressione “maschile” a una espressione “femminile”, o viceversa. «È indubbiamente vero che gli ormoni influenzano molte caratteristiche cerebrali, come giustamente descritto in molti saggi sul tema - spiega Joel - tuttavia è a questo punto che diventa importante la storia dei “15 minuti di stress”: il modo in cui questi ormoni hanno impatto sulle caratteristiche delle regioni cerebrali, può essere completamente diverso in diverse condizioni ambientali. In altre parole, una caratteristica cerebrale tipica di un sesso in alcune condizioni (ad esempio in assenza di stress) può diventare tipica dell’altro sesso in altre condizioni (ad esempio in seguito a 15 minuti di stress). Questo non accade in tutto il cervello e pertanto non è l’intero cervello a passare da una forma “femminile” a una “maschile” e viceversa. Cambiano le caratteristiche di alcune regioni cerebrali ma non di altre, che potrebbero poi modificarsi in altre circostanze (ad esempio in seguito a tre settimane di stress)».

L’organo flessibile per eccellenza
Dunque sembrerebbe possibile che i cervelli siano sostanzialmente simili e che le differenze dipendano dall'influenza dell'ambiente e da fattori culturali. «Sul piano teorico - spiega Fiorenzo Conti, professore di Fisiologia presso l'Università Politecnica delle Marche - sappiamo che si può sostanzialmente modificare la funzione (e la struttura) di qualunque parte del cervello modificando l'entità o la qualità della sua interazione con l' ambiente. Ma il fatto che sia possibile non significa che sia vero. Il cervello è un organo straordinariamente complesso che si caratterizza per una straordinaria variabilità ed eterogeneità e può essere studiato a diversi livelli di risoluzione, da quello macroscopico a quello submicroscopico. Le indicazioni che vengono da studi focalizzati sugli aspetti microscopici non sembrano in linea con le osservazioni macroscopiche che saranno presentate. E allora, si devono cercare bias metodologici, si deve cercare di interpretare unitariamente i dati, si devono proseguire gli studi, si deve formulare un'ipotesi e fare esperimenti per dimostrare se essa sia vera o meno. Certamente un percorso faticoso e lungo. Ma è l'unico che la scienza conosca ed è l‘unico che si è dimostrato capace di produrre nuove conoscenze».

Osservando le altre specie
Il cervello sarebbe insomma un puzzle di tessere a genere misto piuttosto che un’immagine «monocolore». E l’osservazione degli animali potrebbe dare qualche certezza in più. «Spostare il dibattito nelle specie animali considerate, a torto o a ragione, come meno condizionate da fattori sociali ed educativi - chiarisce Martine Ammassari -Teule, dirigente di ricerca presso l'Istituto di Biologia Cellulare e Neurobiologia del Cnr - può apparire come un vantaggio metodologico in grado di fare emergere dei dati più obiettivi in quanto incontaminati da fonti di variazioni spesso non controllabili. In realtà, ferme restando alcune differenze identificate fra animali maschi e femmine sia a livello cerebrale, sia nelle capacità sensoriali, cognitive ed emotive, queste differenze sono ampiamente modulabili dalle condizioni ambientali sperimentate durante lo sviluppo e in età adulta e tale modulazione, mediante meccanismi epigenetici, è in grado di modificare il programma genetico all'origine delle differenze riscontrate. In conclusione, benché maschi e femmine presentino differenze cerebrali e comportamentali spesso determinate dalle contingenze delle situazioni alle quali sono confrontati, il cervello dei maschi e delle femmine è dotato di analoghe potenzialità sostenute da simili meccanismi di plasticità».

«Nature vs culture» pari e patta
Le carte quindi si mescolano in continuazione e difficilmente la questione può essere risolta in un’unica sintesi. «Il problema è se le evidenze biologiche alle quali abbiamo accennato - conclude Pietro Calissano, presidente della Fondazione Ebri - hanno anche un risvolto nella formazione e nelle funzioni cerebrali dei due sessi. La domanda fa parte di uno dei problemi più affascinanti della moderna biologia e di riflesso della società, riguardando infatti un quesito più esteso, che nel mondo anglosassone viene posto come “nature vs culture”. Nel caso specifico, si tratta di valutare in quale misura un organismo, e in massima misura l’uomo e il suo cervello, siano sotto controllo dei geni e in quale misura lo siano sotto il continuo, incessante bombardamento culturale e mediatico a cui ogni essere umano è sottoposto a partire dalla nascita. La risposta inequivocabile non può essere fornita oggi né, in modo definitivo, nel futuro».

Sul prossimo numero de «Il Sole 24 Ore Sanità» sarà presente un ampio servizio sull’argomento.


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