Medicina e ricerca

L’Italia della ricerca sogna un’Agenzia

di Maria Pia Abbracchio (Università Statale di Milano), Maria Cristina Facchini (Cnr, Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima), Giuliano Buzzetti (Gruppo2003 per la ricerca), Luca Carra (direttore Scienzainrete, Gruppo2003 per la ricerca)

S
24 Esclusivo per Sanità24

L’Italia è l’unico Paese europeo che non ha ancora un’agenzia deputata a distribuire in maniera competitiva e meritocratica i fondi pubblici a sostegno della ricerca. Fino a poco tempo fa, l’Italia condivideva questo non invidiabile primato con la Spagna, dove però l’Agenzia della ricerca è già in fase di attuazione, con inizio delle attività previsto nel 2017. Quindi, nonostante l’eccellenza dei nostri ricercatori, rimaniamo l’unica nazione europea nella quale la sopravvivenza della ricerca è affidata esclusivamente all’ingegno degli scienziati che cercano finanziamenti dall’industria (sempre più assente), dalle Fondazioni private o dalla Commissione europea.
Ai fondi europei, però, riesce ad accedere solo una bassissima percentuale degli scienziati italiani ed è sempre più difficile trovare bandi per la ricerca di base. A partire dal 2014, con l’apertura del nuovo programma Horizon 2020, la Commissione ha ridotto progressivamente i fondi dedicati a questo tipo di ricerca, demandandone esplicitamente l’onere agli Stati membri e focalizzandosi solo sulle applicazioni generate dalla ricerca di base. Di questo e altro si è parlato lo scorso 24 giugno a Milano, in occasione del convegno «Mind the gap» sul finanziamento alla ricerca pubblica organizzato dalla Statale in collaborazione con Gruppo2003 per la ricerca scientifica (www.gruppo2003.org) per fare il punto sulle modalità con cui viene sostenuta la ricerca nel nostro Paese rispetto al resto d’Europa, e per delineare possibili soluzioni a sottofinanziamento cronico, mancanza di governance centralizzata e di corretti processi di valutazione del merito in cui versano le strutture pubbliche che fanno ricerca nel nostro Paese.

Il sogno di ogni scienziato. Durante il convegno, Gruppo2003 ha presentato un’analisi originale sulle modalità di finanziamento della ricerca negli altri Paesi europei. Le varie Agenzie emettono regolarmente bandi competitivi con scadenze precise e prevedibili (almeno una o due volte all’anno) per finanziare ricerche “libere” (Individual grants su tema a scelta) di scienziati junior e senior operanti in qualunque campo del sapere (dalla fisica e astronomia alle bioscienze, alla medicina, alle nuovi fonti di energia fino alle scienze socio-economiche e umanistiche). In Germania, la Dfg tedesca, fondazione di diritto privato esistente da 80 anni finanziata direttamente dal governo federale e dai Laender, le richieste di finanziamento possono essere addirittura presentate “a sportello”, ogni volta che il ricercatore lo desidera e in ogni momento dell’anno. Le domande di finanziamento vengono valutate secondo l’ormai noto processo della peer review da un pannello di “referee” che si riunisce 1 o 2 volte all’anno (in Germania anche 6 volte) e il risultato è comunicato al ricercatore entro 4-6 mesi. Nell’assegnazione dei fondi, le Agenzie prestano particolare attenzione alla creazione di conoscenza anche non immediatamente finalizzata a scopi applicativi, e alla ricerca fondamentale non finanziata dai programmi europei.
Se la risposta alla domanda di finanziamento è positiva, il ricercatore riceverà un contributo variabile da 250.000 a 500.000 euro per un triennio, che gli consentirà di sostenere il suo filone di ricerca coprendo le spese vive del progetto, la strumentazione, i costi delle missioni di ricerca e del personale (studenti di dottorato e post doc, alimentando in questo modo un circolo virtuoso di altissima formazione tecnico-scientifica). Se il progetto è respinto, il ricercatore riceverà un resoconto dettagliato del perché e suggerimenti su come migliorarlo per poterlo ripresentare, alimentando così un altro circolo virtuoso alla base dell’incremento progressivo e costante del livello qualitativo della ricerca nel Paese.
In Germania (dove fra l’altro, oltre a Dfg, la ricerca è anche finanziata da un’agenzia pubblica, il ministero federale per l’Istruzione e la ricerca, Bmbf, corrispondente al nostro Miur), la percentuale di successo nella presentazione delle richieste di finanziamento è intorno al 30%. Un sogno per qualsiasi ricercatore Italiano, che deve invece districarsi fra la frammentazione dei nostri finanziamenti (erogati da vari ministeri), l’imprevedibilità dell’emissione dei bandi e la loro discontinuità (dal 2004 in poi, l’importo totale dei finanziamenti Prin e Firb del Miur si è ridotto da una ancor dignitosa cifra di 400 milioni di euro/anno ai soli 92 milioni per i progetti Prin nel 2015, mentre i progetti Firb non sono più stati banditi a partire dal 2013), per poi approdare, a progetto vinto, a mediamente 20-30.000 euro/gruppo/anno, circa 1/10 del finanziamento concesso ai colleghi stranieri nei loro Paesi. Per non parlare poi della percentuale di successo che per l’ultimo Prin2012 è stata inferiore al 14% sul totale di domande ricevute, e dell’impossibilità di ripresentare un progetto revisionato, in quanto non previsto dalla nostra normativa.

I grandi programmi strategici per vincere le sfide del futuro e invertire la fuga dei cervelli. Oltre a quanto sopra descritto, le varie Agenzie europee offrono bandi competitivi su grandi temi strategici individuati ogni triennio (o quinquennio o decennio) allo scopo di risolvere problemi specifici del Paese o fronteggiare le grandi sfide emergenti a livello globale, quali: l’invecchiamento delle popolazione e l’aumento delle malattie degenerative, la necessità di nuove modalità di assistenza sanitaria, la protezione dell’ambiente e, non ultimo, la gestione del gran numero di dati informatici generati oggi nelle più diverse attività (Big Data). Sulla scia delle scelte effettuate da Barak Obama a partire dalla grande crisi del 2007 fino al 2013 (quando il Presidente Usa sforbiciò la spesa pubblica ma al tempo stesso aumentò gli investimenti in ricerca e sviluppo, portandoli a quasi 140 miliardi di dollari), la maggior parte dei paesi europei ha capito che, nella nuova economia della conoscenza, non si può competere e crescere senza ricerca scientifica e sviluppo tecnologico. Ed ecco quindi che l’Agenzia francese (Anr) nel 2010 istituisce il programma «La ricerca per il futuro», e Snsf, l’Agenzia svizzera, lancia i grandi National research programs inter- e trans-disciplinari (ve ne sono attualmente in corso 15 su tematiche, oltre a quelle già elencate, quali “New urban quality”, “End of life”, “Smart Materials”, “Sustainable food production”), mentre la Dfg tedesca bandisce le Excellence Initiatives per la ricerca top level e per implementare attraverso le Graduate Schools e i Clusters di eccellenza l’attrattività del sistema ricerca del Paese e rendere i propri scienziati più competitivi a livello internazionale. Molti di questi programmi sono orientati alla ricerca applicativa e, in ambito biomedico, alla ricerca traslazionale, con grande attenzione alla proprietà intellettuale, alle partnership pubblico-privato, allo sviluppo di brevetti e alla creazione di start up innovative. Non c’è quindi da stupirsi se questi Paesi sono fra quelli che hanno più successo nel portare a casa fondi dalla Commissione europea: la rete di ricerca e di centri di eccellenza così finanziati fornisce la competenza e la competitività che fanno la differenza nell’aggiudicarsi i grant europei. Non ultimo, piace lo sforzo delle varie Agenzie di trattenere nel Paese gli scienziati sui quali si è tanto investito in formazione e l’attenzione dedicata alla persona-ricercatore: bandi (sempre competitivi) per attrarre cervelli dall’estero, progetti internazionali con partner stranieri che prevedano però ritorni di investimento nel Paese di origine, e, nel caso della Snsf, i programmi di Supplementary Measures per l’eguaglianza di genere nella carriera scientifica, il supporto agli scienziati con necessità di accudimento familiare, il rientro delle ricercatrici al lavoro dopo le maternità.

E ora i numeri. Ma le note più dolenti nel confronto con il sistema ricerca Italia riguardano le entità dei finanziamenti stanziati annualmente. Solo nel 2014, la Dfg tedesca ha stanziato ben 2.700 milioni di euro (97 in più rispetto al 2013), finanziando circa 30.000 progetti (di cui il 30% per Individual grants). Stesso trend per l’Agenzia svizzera che nel medesimo anno ha aumentato i fondi per bandi competitivi da 819 a 849 milioni di Chf, premiando più di 3.000 progetti e 14.000 ricercatori. Da notare che queste cifre si riferiscono solo ai programmi standard già previsti per ogni anno. Per le iniziative straordinarie e i piani strategici, spesso le Agenzie ricevono finanziamenti aggiuntivi: in Germania, per il quinquennio 2012-2017, il governo federale e i Lander hanno approvato un finanziamento extra di quasi 3 miliardi di euro a supporto delle Excellence initiatives. Per sottolineare la disparità con l’Italia, nell’ultimo Pnr, il nostro Governo ha assegnato alla ricerca una cifra complessiva di 2.378 milioni di euro per il triennio 2015-2017.

Piccoli grandi esempi virtuosi. Quindi, un’Agenzia per la ricerca gioverebbe molto anche all’Italia. Si può discutere su come farla, sulla sua natura giuridica (di diritto pubblico o privato?), su chi debba controllarla (la Presidenza del Consiglio? Il Parlamento?) e su come debba essere la sua governance. Alcune suggestioni sono arrivate proprio in occasione di Mind the gap: dalla Fondazione italiana Sclerosi multipla (Fism, http://www.aism.it), che sta mettendo a punto nuove metriche che tengano conto non solo della rilevanza scientifica delle ricerche finanziate ma anche del loro impatto sulla qualità della vita dei malati; a EsfrI (European strategy forum on research infrastructures, http://www.esfri.eu/), un modello cui ispirarsi per i nuovi sistemi di governance. Ma ciò che più importa nella grande incertezza di queste settimane dopo il Brexit è procedere speditamente verso un sistema di sostegno alla ricerca Italiana che consenta di valorizzare una delle risorse più preziose che abbiamo: l’oro grigio, i nostri cervelli migliori.


© RIPRODUZIONE RISERVATA