Medicina e ricerca

Schizofrenia, le cure salva-Ssn

di Roberto Brugnoli, Paolo Girardi (dipartimento di Neuroscienze,salute mentale e organi del senso, dell’Università degli Studidi Roma “La Sapienza”) Andrea Marcellusi, Francesco Mennini (facoltà di Economia, Ceis dell’Universitàdegli Studi di Roma “Tor Vergata”)

Oltre 2,7 miliardi di euro all’anno. È l’enorme “peso” della schizofrenia in Italia tra costi diretti e indiretti, circa il 2,3% dell’intera spesa sanitaria nel nostro Paese. Un fardello che la semplice applicazione di un differente e più efficace modello di gestione della schizofrenia permetterebbe di ridurre significativamente, arrivando a un risparmio di ben 218 milioni di euro ogni anno.

È quanto emerge da una recente analisi economica condotta, nell’ambito del progetto Mo.Ma. (Modello di Management dei pazienti affetti da schizofrenia), dal Centre for Economic and international studies dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, in collaborazione con l’Istituto di Ricerche sulla popolazione e le Politiche sociali del Cnr.

Il gruppo di lavoro del progetto Mo.Ma. - formato da psichiatri ed economisti italiani e guidato dal prof. Paolo Girardi dell’Università La Sapienza di Roma - ha elaborato un nuovo algoritmo diagnostico-terapeutico, che propone di iniziare il trattamento fin dalle prime fasi del disturbo con un farmaco atipico a rilascio prolungato, soprattutto se il paziente è in giovane età e al primo episodio. Ciò potrebbe facilitare il pieno recupero della funzionalità mentale, oltre a permettere di modificare la struttura dei costi della schizofrenia attraverso la riduzione di alcune tra le voci di spesa più impattanti, legate ad esempio alle ospedalizzazioni e alla residenzialità.

Un’emergenza sociale (sommersa). La schizofrenia costituisce oggi una vera emergenza sociale: è un grave disturbo psichiatrico che colpisce circa l’1% della popolazione, una malattia cronica e progressiva che ha un notevole impatto sia a livello di funzionamento sociale e occupazionale, sia sulle normali attività quotidiane.

La malattia ha un esordio, spesso sfumato e subdolo, nell’adolescenza o nella giovinezza (15-30 anni) ed è fondamentale diagnosticarla e trattarla precocemente, altrimenti la schizofrenia progredisce in modo irreversibile, interferendo con la capacità di elaborare pensieri, di relazionarsi con gli altri, di vivere “normalmente” la propria vita. L’Organizzazione mondiale della Sanità ha accertato che la schizofrenia è responsabile dell’1,1% del totale di anni di vita persi a causa della disabilità (Disability adjusted life years, DALYs) e del 2,8% di anni vissuti in condizioni di disabilità (Years lived with disability, YLDs). Le persone con schizofrenia, inoltre, hanno un tasso di mortalità di 2-2,5 volte maggiore rispetto a quello della popolazione generale, con un rischio di suicidio che si calcola essere intorno al 10 per cento.

Sono dati che ben sintetizzano l’urgenza di un nuovo approccio diagnostico-terapeutico e che diventano ancora più significativi se si considera il “sommerso della schizofrenia”. In Italia si stimano esserci tra i 300 e i 600mila pazienti schizofrenici, ma solo 212mila hanno effettivamente ricevuto una diagnosi. Di questi, oltre il 17,6% non è sottoposto a un trattamento farmacologico. Nel nostro Paese vivono quindi tra i 100 e i 400mila schizofrenici non diagnosticati che, con il passare del tempo, potrebbero arrivare nei centri specialistici in una situazione più pesante, sia in termini di gravità della malattia, sia in termini di costi incrementali per il Sistema sanitario nazionale e per le famiglie dei pazienti.

L’impatto economico. Ospedalizzazioni frequenti, trattamenti di lungo termine e perdita di produttività. Per non parlare dei costi assistenziali elevati - e spesso non riconosciuti - che debbono sostenere le famiglie dei pazienti.

La schizofrenia comporta un enorme fardello economico, che in Italia ammonta a 2,7 miliardi di euro annui, per una media di oltre 12.600 euro a paziente. Circa la metà sono costi diretti, sostenuti direttamente dal Sistema sanitario nazionale, mentre il restante 50% sono costi indiretti dovuti principalmente alle pensioni di inabilità, alla perdita di produttività e all’assistenza informale dei parenti, che si stima trascorrano circa 9 ore al giorno con un paziente psichiatrico.

Tra i costi sostenuti direttamente dal Sistema sanitario nazionale la voce più impattante, che assorbe quasi la metà del peso economico totale (49%), è rappresentata dalla residenzialità per i pazienti psichiatrici, che sommata alla semi-residenzialità (16%) e ai costi per le ospedalizzazioni (16%) supera l’80% di tutti i costi diretti sostenuti dal Ssn.

Spicca, invece, il dato relativo ai farmaci: solo il 9,8% dei costi diretti fa riferimento alla spesa sostenuta per i trattamenti farmacologici, meno del 5% del peso economico complessivo.

Per quanto riguarda i costi indiretti, il peso maggiore è da attribuire alla perdita di produttività a causa della malattia: infatti oltre il 60% della spesa complessiva deriva da un ridimensionamento lavorativo o a una situazione di vera e propria disoccupazione.

Analizzando il database dell’Inps non sorprende, dunque, che le turbe mentali e psichiche costituiscano la seconda voce economica per pensioni di inabilità dopo i tumori e la quarta voce per assegni di invalidità dopo le malattie del sistema circolatorio, i tumori e le malattie delle ossa.

Un nuovo paradigma. La diagnosi, il trattamento e la gestione della schizofrenia devono mirare a mantenere il funzionamento psicofisico e a migliorare la qualità di vita, fino a raggiungere il recupero funzionale del paziente stesso. Si tratta di un obiettivo particolarmente complesso: infatti, una grande varietà di segni e di sintomi rendono spesso difficile la diagnosi, mentre la necessità di coordinare aspetti clinici e psicosociali possono impattare sul trattamento e il coinvolgimento di diversi specialisti (psichiatri, farmacisti, infermieri e psicologi) può complicare la gestione del disturbo.

Gli esperti coinvolti nel progetto Mo.Ma. reso possibile grazie a un contributo incondizionato di Otsuka e Lundbeck, propongono un nuovo percorso diagnostico terapeutico assistenziale (Pdta), basato sulle evidenze, per migliorare il recupero dei pazienti e ottimizzare così le risorse e i relativi costi. Il nuovo paradigma prevede di iniziare il trattamento fin dalle prime fasi del disturbo con un farmaco atipico a rilascio prolungato, soprattutto se il paziente è in giovane età e al primo episodio.

Ciò permetterebbe di migliorare l’aderenza ai trattamenti antipsicotici, che è uno dei più importanti fattori di rischio per le ricadute, riducendo così il numero dei pazienti che hanno bisogno di residenzialità e ospedalizzazioni, due delle maggiori voci di costo nella gestione della schizofrenia. Si stima che il nuovo modello, a fronte di un lieve incremento della spesa per il trattamento e il monitoraggio dei pazienti possa portare a una riduzione dei costi di oltre 218 milioni di euro ogni anno, frutto di una sostanziale riduzione della spesa ospedaliera, residenziale e dei costi indiretti gravanti sulla società.

Roberto Brugnoli

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