Medicina e ricerca

Il centromero, la materia oscura del Dna e le sue stringhe. Un successo per i vent’anni di Fondazione Armenise-Harvard

di Vincenzo Costanzo (Ifom - Istituto Firc di Oncologia Molecolare Milano)

Un po' di luce è finalmente arrivata sui centromeri, la “materia oscura” del codice genetico che costituisce la culla dei tumori. Parliamo del punto all'incrocio della X dei cromosomi, una struttura che contiene il tutto il DNA delle cellule. La vita non può prescindere dalla duplicazione e la ripartizione del materiale genetico da una cellula madre alle sue due cellule figlie. Questo processo va in tilt nelle cellule che diventano tumorali in quanto una ripartizione asimmetrica del materiale genetico può aumentare la capacità di crescita incontrollata. Il centromero è fondamentale perché a questo si aggancia l'apparato cellulare responsabile della separazione dei singoli cromosomi nelle cellule figlie.
Questa zona finora è stata in gran parte misteriosa per gli scienziati poiché difficilmente visualizzabile. La struttura del centromero e il suo funzionamento sono stati inaccessibili per diversi anni essendo essa formata da tantissime sequenze di DNA molto simili ripetute centinaia di volte, che occupano un'area del cromosoma sconfinata se paragonata ai singoli geni normalmente studiati nei laboratori. È come confrontare la lunghezza totale di 1.000 treni rispetto a un'automobile: gli scienziati non capivano perché l'evoluzione si portasse dietro un simile fardello di sequenze complicate.
Grazie a un nuovo approccio integrato che coniuga tecnologie proteomiche con analisi in vivo, siamo riusciti a far luce sul centromero e sulla sua funzione chiave con il mio gruppo all'Istituto FIRC di Oncologia Molecolare di Milano, nel laboratorio del Metabolismo del DNA. Quando il meccanismo alla base della funzione del DNA centromerico è stato svelato, dopo molti anni di ricerca, è stato un susseguirsi di sorprese vista la grande quantità di risultati inaspettati.
La ricerca, pubblicata su Nature Cell Biology e messa in grande in evidenza in due Research Highlight dell'autorevole testata scientifica, analizza e ricostruisce in dettaglio e per la prima volta la struttura di questa zona così complessa dei cromosomi. Rivelando un aspetto ancora del tutto sconosciuto: il centromero concentra la maggior parte dei fattori di riparazione del DNA al fine di mantenere la sua integrità. Al contrario i meccanismi di sorveglianza della replicazione che normalmente rallentano la velocità di duplicazione del DNA sono invece attenuati. È come se il centromero non vedesse gli ostacoli della replicazione generati dall'alto numero di sequenze di DNA ripetuto, ma si affidasse alla riparazione del DNA per porvi rimedio. Questo è stato per noi l'aspetto più sorprendente della nostra ricerca. Questo meccanismo, se da un lato facilita la replicazione di questa regione così complessa del cromosoma, dall'altra lo espone a errori che possono facilitare la formazione di tumori. Il meccanismo è stato identificato grazie all'utilizzo di sofisticate tecniche di spettrometria di massa messe in piedi anche grazie al gruppo diretto da Angela Bachi, responsabile dell'unità di Proteomica Funzionale sempre all'Ifom – grazie alle quali si è riusciti non solo a identificare ma anche a quantificare per la prima volta i fattori proteici che legano specificamente il DNA centromerico e le conferiscono quindi le sue caratteristiche. Infine, grazie alle tecniche di microscopia elettronica disponibili in Ifom il mio team è riuscito a isolare e vedere un pezzo di centromero derivato da un cromosoma umano, ricostruendone per la prima volta la struttura. I risultati hanno mostrato che il centromero è organizzato in modo da formare delle stringhe che servono ad “agganciare” i cromosomi durante la loro ripartizione nelle cellule figlie e per compattare questa massa di DNA ripetuto. Le sequenze di DNA contenute nel centromero sono quindi così tante probabilmente per ragioni fisico-meccaniche: il cromosoma deve essere fisicamente trasportato da una parte all'altra della cellula, e questo è reso possibile proprio da questi punti di aggancio che abbiamo individuato per la prima volta al mondo.
La struttura attuale del centromero è stata probabilmente raggiunta durante l'evoluzione in seguito a una sorta di compromesso messo in atto dalla natura: se da un lato questo modo di organizzare il DNA permette di trasportare i cromosomi, dall'altro è molto difficile da duplicare per via della sua complessità. Questo potrebbe generare errori di replicazione che a loro volta possono portare all'insorgenza di tumori e di altre patologie. È per questo motivo che il centromero concentra su di sé molti fattori di riparo che prevengono questi errori. Nel caso in cui i fattori di riparo non funzionino in maniera ottimale si ha un aumento di rotture del centromero che sono alla base dello sviluppo delle modifiche genetiche delle cellule tumorali.

La storia
La ricerca è stata condotta grazie al sostegno dell'Associazione Italiana Ricerca sul Cancro (Airc), dell'European Research Council, di Telethon, di EPIGEN progetto Bandiera e della Fondazione Giovanni Armenise-Harvard. In particolare, il metodo biochimico che ha reso possibile lo studio è stato messo a punto nell'ambito del grant Career Development Award della Fondazione Armenise-Harvard, vinto da Vincenzo Costanzo nel 2013 per aprire il suo laboratorio di Metabolismo del DNA all'IFOM, dopo aver lavorato per oltre 10 anni negli Stati Uniti e in Gran Bretagna.

Career Development Award
Il programma Career Development Award della Armenise-Harvard Foundation è progettato per favorire la crescita professionale di ricercatori dalle grandi potenzialità, all'inizio della loro carriera e che al momento della domanda lavorino fuori dall'Italia, in modo che possano realizzare appieno il proprio potenziale e dare contributi significativi al proprio settore di ricerca in Italia.
Il programma prevede un contributo economico di 200.000 dollari per anno per un periodo di 3-5 anni, che permette a giovani scienziati di creare un proprio laboratorio in Italia presso un istituto ospite dove condurre ricerca in modo indipendente.
Allo stesso tempo, la Fondazione spera che questo diventi un incentivo per gli istituti di ricerca italiani per rafforzare i loro dipartimenti, proponendo un pacchetto di condizioni abbastanza attraenti in modo da attirare i candidati più qualificati.
Ad oggi, la Fondazione ha premiato 22 giovani scienziati, che hanno creato laboratori a Milano(IEO, IFOM/FIRC, Istituto San Raffaele, Università di Milano, CNR), Roma (La Sapienza; EBRI), Padova (VIMM), Trento (CIBIO, Università di Trento), Palermo (Università di Palermo), Trieste (SISSA), Pavia (Università di Pavia) e Novara (Università del Piemonte Orientale). I campi di ricerca coperti includono neuroscienze, botanica, biochimica, immunologia, biologia del cancro, protemoica e genetica, biologia sintetica.
I vincitori dei Career Development sono ora alla guida di gruppi di lavoro ben avviati, ricoprono posizioni permanenti o in tenure track, e coordinano in tutto nei loro gruppi circa 90 ricercatori.
Dal loro arrivo in Italia, i vincitori hanno prodotto più di 300 pubblicazioni in riviste peer-review, con un'alta percentuale di citazioni per ogni pubblicazione. Hanno un h-index medio di 15,5 (si va da 10 a 22).
In più, hanno raccolto più di 130 milioni di euro in ulteriori grant, compresi quattro prestigiosi grant dello European Research Council e uno dei soli due Howard Hughes Medical Institute International Early Career Scientist Awards attribuiti a scienziati italiani nel 2012. Nell'annunciare quest'ultimo premio Robert Tjian, presidente del Hhmi, ha detto: «Queste sono le persone che tra 10 anni saranno leader scientifici nel proprio paese».


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