Medicina e ricerca

Gli ospedali del professor Veronesi

di Roberto Turno

«Ministro». «Per piacere, mi chiami professore». Inizia così il colloquio col responsabile della Sanità, Umberto Veronesi. Che non ama neppure essere definito “tecnico”. Ma che, pur ribadendo di essere stato chiamato ad applicare e non a cambiare le leggi fatte, in primis la riforma ter del Ssn, ha idee chiare circa il futuro della Sanità italiana. A cominciare dagli ospedali, su cui ieri Veronesi ha incontrato Nesi, Melandri e l'architetto Piano: se ipertecnologici, moderni e intelligenti, gli attuali ospedali potrebbero essere dimezzati (e il personale fortemente ridotto), assicura. Ma non basta. Nega che la riforma ter del Ssn sia statalista, il ministro. E quanto all'esclusività del rapporto di lavoro dei medici, aggiunge: le attività chirurgiche dovranno essere svolte tutte e presto all'interno dell'ospedale, per quelle diagnostiche, invece, potrà esserci più tempo prima di riportarle dagli studi alle strutture pubbliche. Su altri due argomenti, poi, Veronesi non si tira indietro. Affermando la sua attenzione per il rilancio dell'industria farmaceutica nazionale. E quanto alla soppressione del ministero e del suo annacquamento nel superdicastero del Welfare, è lapidario. Un medico assisterà nella morte il ministero della Sanità.

Professor Umberto Veronesi, com'è stato l'impatto col mondo politico?
Sono ormai abbastanza grande per non sorprendermi più. Conosco il mondo politico come conosco il mondo civile italiano, e non ho avuto sorprese nelle reazioni, in un senso o nell'altro, dei partiti. Fa parte delle inevitabili attese di tutti.

E cosa significa essere un ministro tecnico?
“Tecnico” è un termine strano. Anche brutto, se vuole. La mia, preferirei dire, è un'esperienza professionale al servizio della politica. E avverrà in un modo molto preciso. Capisco che c'è un organo deliberativo, politico, che fa le leggi. Ma che poi, per applicarle, ci possa essere un esperto di sanità, che vive la sanità, non è un'ipocrisia. Io non ho il potere di cambiare le leggi, né vorrei farlo. Io ho il compito di applicare le leggi al meglio, in maniera corretta, rapida ed efficiente. Amato mi ha chiesto di venire per questo: la maggioranza ha espresso certe leggi e sarò ossequiente alle leggi che sono state fatte.

Un tecnico, mi perdoni, a tempo...
Una delle ragioni per le quali mi è stato chiesto di venire qui, alla Sanità, è anche per pensare al futuro. Per immaginare una riformulazione della Sanità del 2010. Nei mesi che abbiamo davanti, onestamente, non posso pensare di realizzare granché. Posso però forse, con l'esperienza e la conoscenza che ho dell'evoluzione della scienza e della ricerca, cercare di ridisegnare e di riprogettare la Sanità del futuro.

Una bella sfida.
É un compito che assumo volentieri. Il mio vuol essere un esercizio intellettuale, che forse qualcun altro, dopo di me, potrà utilizzare per dirigere la Sanità verso approdi migliori.

Ma le piace davvero la riforma Bindi, al di là delle parole di circostanza? Non
è statalista, come affermano i suoi detrattori?

Non credo che sia statalista. Vuole creare ospedali in cui il medico lavori “dentro le mura”, full time, come ormai è obbligatorio in tutta Europa. Il tempo pieno obbligatorio è una regola cui io per primo credo e applico da sempre.

E allora cosa non va?
Mi sembra che gli ospedali non siano pronti, che non sia stata fatta un'adeguata preparazione di strumenti, di leggi e regole per consentire loro di attrezzarsi a sviluppare la professione intramuraria.

E cosa significa, in concreto, applicare l'esclusività? Andrà svolta tutta dentro l'ospedale? E come?
La medicina terapeutica sicuramente dev'essere svolta interamente dentro l'ospedale, non un poco qui e un poco fuori. La chirurgia va fatta tutta dentro l'ospedale. E bisogna attrezzarsi perché ci si riesca presto: faremo anche un censimento per sapere come sono attrezzati e a che punto sono gli ospedali per applicare la libera professione intramoenia.

Chirurgia “dentro” e presto: e la diagnostica?
Per la medicina diagnostica sarei meno pressante, anche nei tempi. Capisco che se un medico ha uno studio voglia ancora esercitarvi un minimo di attività. Impedirglielo da un giorno all'altro può sconcertare e può anche danneggiare i pazienti. Per questo sarei meno perentorio: a patto però che se il paziente in cura nello studio ha bisogno di un ricovero, vada nell'ospedale di appartenenza del medico.

Toccherà l'irreversibilità della scelta?
Non l'ho mai pensato.

Il suo sogno, come quello di tutti, sono ospedali ipertecnologici e con tutti i comfort possibili. Ma con quali soldi realizzarli?
Provi a fare dei conti...

Proviamoci.
Se lei fa dei conti, anche semplicissimi, vedrà che il costo di costruzione di un ospedale, chiavi in mano, equivale al costo di gestione di quell'ospedale per un anno. E se considera che un ospedale ha una vita media di circa 30 anni, vuol dire che la spesa impegnata è pari a un trentesimo del costo totale di quell'ospedale e di tutte le sue gestioni per 30 anni. Intanto, però, un ospedale moderno e costruito intelligentemente farà risparmiare un mucchio di soldi. E la spesa impegnata all'inizio verrà largamente recuperata nei 30 anni di funzionamento della struttura. Per questo sono convinto che rifare gli ospedali in maniera tecnologicamente avanzata, computerizzata, con meno personale possibile ma con più efficienza, con una forte rotazione di pazienti per ogni posto letto, significherà consentire a quell'ospedale una produttività enorme. Significherà ridurre, lo dico in prospettiva, il numero di ospedali in Italia. Ne basterebbero la metà di quelli che abbiamo oggi. E il risparmio globale sarebbe gigantesco.

Che federalismo vorrebbe il professor Veronesi?
É chiaro che occorrono indirizzi e una programmazione a livello nazionale per evitare divari di protezione sanitaria. Ma, detto questo, è anche giusto che ogni Regione si organizzi come meglio preferisce, secondo la sua cultura e la sua economia. Fatti salvi, lo ripeto, i minimi standard uguali per tutti.

Tra le tante grane, s'è subito trovato quella del sanitometro. Cosa accadrà?
La settimana scorsa abbiamo sentito tutte le Regioni per sapere se lo ritengono applicabile così com'è, con delle correzioni e con delle semplificazioni. O se ritengono indispensabile una sorta di sperimentazione, anche breve. Ho avuto risposte diverse. Ma devo dire che tutte le Regioni sono molto coinvolte nel problema. Hanno capito che il principio è giusto ed equo. Presto ci sarà un secondo incontro con gli assessori o con i presidenti: a quel punto decideremo.

Ma non c'è il rischio che si blocchi tutto o che addirittura si passi a un altro sistema?
La legge è stata approvata dal Parlamento e va applicata. E io penso che sarà applicata. Certo, in maniera più semplice.

Che giudizio dà del Prontuario farmaceutico in vita del 1994? Ha dato buoni risultati o ha creato iniquità?
Il Prontuario può anche essere migliorato e corretto. Ma non mi pare che abbia creato dei disastri. No?

L e industrie chiedono il rilancio della politica farmaceutica.
Io penso che l'industria farmaceutica italiana vada rilanciata. Ha una grande tradizione di qualità e non vedo perché dovremmo perdere questa cultura. Punendo l'industria nazionale, tra l'altro, finiremmo per farci colonizzare dalle multinazionali. Non vedo perché non debba essere fatto uno sforzo per riattivare il meglio che abbiamo in Italia dell'industria farmaceutica.

Proprio un medico sarà l'ultimo ministro della Sanità a pieno titolo. Farà qualcosa per evitare l'accorpamento del ministero della Sanità nel superdicastero del Welfare?
Non farò niente. Penso che sia giusta la strada intrapresa. Anche per ridurre, sacrosantamente, il numero dei ministri.

Ma non crede che, col federalismo, bisognerebbe lasciare un ruolo non residuale al “centro” dell'impero?
Un ruolo forte di programmazione e di indirizzo resterà. Nessuno può pensare di poter dominare la Sanità: molto meglio che a governare la salute quotidiana siano le Regioni.


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