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Epatite C: «Eliminarla è una decisione politica». In 2 anni guariti 64mila pazienti italiani gravi, ma oltre metà Ue è senza strategia. Ecco il report Hep-CORE 2016

di Lucilla Vazza

In Europa ogni giorno muoiono 400 persone per epatite. E se l’Italia è all’avanguardia per la lotta alle epatite C, con un action plan definito e circa 64mila pazienti guariti in meno di due anni dall’introduzione delle terapie innovative, il resto d’Europa fatica a tenere il passo.

Su 27 Paesi indagati dalla Federazione europea delle associazioni dei pazienti affetti da malattie epatiche (Elpa), ben 17 non hanno un registro nazionale per l’epatite B e 15 non ne possiedono uno per l’epatite C. E nonostante il richiamo dell’Oms, il 52% dei 27 paesi censiti non ha una strategia nazionale per affrontare l'epatite B o C. Solamente tre di questi stati hanno accesso senza restrizioni ai nuovi medicinali antivirali ad azione diretta per l'epatite C.
Lo segnala il primo rapporto Hep-CORE 2016, presentato a Berlino nei giorni scorsi, sullo stato delle politiche e le pratiche inerenti all'epatite virale in Europa.
Il corposo report è stato condotto sotto la direzione del prof. Jeffrey V. Lazarus dell'Institute of Global Health (ISGloba) di Barcellona che spiega: «Il 2016 ha segnato un punto di svolta per l'epatite virale con l'adozione della prima strategia globale per l'epatite virale da parte dell'Oms, ma la situazione si presenta ancora a macchia di leopardo si aper quanto riguarda gli Action plan sia per l'accesso di base alle strutture di analisi e screening: in ben 12 paesi (44%) non vi sono centri di analisi e screening dell'HCV al di fuori degli ospedali. Non dobbiamo abbassare la guardia ed è bene ricordare che 171mila persone muoiono ogni anno per cause correlate all'epatite virale».

L’Italia come detto, ne vien fuori in positivo, pur avendo oltre 300mila malati di epatite C: in due anni sono stati quasi 64mila i trattamenti avviati con i nuovi farmaci per la cura dell'epatite C. E il dato emerge dai Registri di monitoraggio dell'Agenzia Italiana del Farmaco aggiornati al 19 dicembre. E le prospettive sono positive, visto che è stata avviata la ricontrattazione del prezzo dei nuovi farmaci con l’apertura di un nuovo tavolo di confronto tecnico che porterà a ottenere maggiori sconti per il Ssn, perché è previsto un ampliamento dei criteri per l'accesso ai trattamenti.

Oggi a fronte di 300mila pazienti diagnosticati, solo 160-180mila rientrano nei criteri di gravità previsti per ricevere i farmaci a spese del Servizio sanitario nazionale. Di qui l'appello di sei associazioni dei pazienti, riunite nella Rete Senza La C (Aned, Epac, FedEmo, L'Isola di Arran, Nadir e Plus), per chiedere di estendere a tutti i malati di epatite c le nuove cure.

Tra gli esclusi perché non in stadio avanzato di fibrosi vi sono anche persone dializzate, con hiv o emofilia. «Sarebbe meglio - spiega Ivan Gardini, presidente di Epac - avere liste d'attesa, magari anche lunghe, ma che comunque possano dare a tutti i malati la certezza di ricevere una cura. Si potrebbero così eliminare i viaggi in India, dove tanti vanno a farsi prescrivere i farmaci a prezzi molto inferiori rispetto a quelli che pagherebbero qui di tasca propria».

Lo screening che non c’è
Abbiamo fatto il punto con il prof. Massimo Colombo, direttore Epatologia dell'Irccs Ospedale Maggiore di Milano e presidente dell’International Liver Foundation dell’Easl (European Association for the Study of the Liver). «I programmi di screening nazionali sono attualmente carenti in quasi tutti i paesi europei. La Francia è stata molto attiva nel promuovere lo screening, però non è su base obbligatoria, ma su base volontaria, su segnalazione del medico - chiarisce Colombo. Lo screening non è mai stato fatto perché prima disponevamo di farmaci difficili da usare, penso all’interferone. Molto poco efficaci e talvolta tossici. Oggi teoricamente ci sarebbero le basi per farlo, perché abbiamo a disposizione dei farmaci efficaci e tollerati da tutti, la cui unica barriera resta il costo. Quindi oggi potremmo davvero scoprire quanta ce n’è e dov’è questa benedetta epatite e avremmo anche il modo di trattarla».

Ma quanti sono in Italia i malati di epatite C?
L’esperto puntualizza che: «Le ragione per cui c’è stato questo andare e venire di dati sono molteplici, innanzitutto le prime stime erano state fatte sulla sierologia, sull’anticorpo, e noi sappiamo che ogni tre persone che hanno un anticorpo dell’epatite C nel sangue, solo due sono infette e una è guarita. Poi erano stati fatti studi qua e là in Italia, in epoca in cui ce n’era tanta di epatite. Studi che risalgono a 25-30 anni fa, in questo periodo sono morte almeno 300mila persone affette da epatite C. Quindi una fetta di quella coorte che era intrattabile con l’inteferone, non c’è più». C’è uno studio fatto dall’associazione Epac, che è una ricostruzione basata sull’analisi delle prescrizioni sanitarie del Ssn, dove si stima in 350mila la popolazione italiana registrata con epatite C a vario titolo. «Una stima forse un po’ generosa, ma è certo che ci sono tanti italiani che non sono stati intercettati dal sistema sanitario ma che hanno il virus senza saperlo, quindi nella fascia alta degli italiani, ossia quelli che hanno potuto avere 50 anni fa contatti col virus, magari in ospedale, a casa o con le trasfusioni. Quindi 350 mila è un dato realistico di persone ammalate di epatite C, 63mila li abbiamo curati con i farmaci orali, per lo più i pazienti avanzati, con cirrosi, tumori, trapianto d’organo, quindi avremmo ancora 250-290mila italiani teoricamente da curare».

E diventa un problema di costi e di sostenibilità del sistema...
«Oggi l’Italia negozia con tre aziende e quindi il farmaco scenderà di prezzo, e occorre decidere quanto è urgente curare alcune popolazioni rispetto ad altre e poi, quanto siamo capaci di curare. Perché noi in 2 anni abbiamo curato 63mila cirrotici, quindi i pazienti più gravi, per cui restano da curare i più “facili” si curerà in tempi più brevi, quindi in 8 settimane in vece di 12-24, c’è meno “burden”, meno lavoro sul malato, non c’è più l’ascite, l’ittero, il ricovero. Sono casi di gente “sana” ma infetta, e magari in due anni arriveremmo a curarne 100-120mila. Però ci vogliono i soldi e su questo deve decidere la politica. Il costo da un lato e dunque anche la disponibilità» dice Colombo.

E i generici di questi superfarmaci possono aiutare?
Colombo richiama il caso Aids: «Il controllo dell’Hiv è stato possibile grazie all’uso massiccio dei genericinel mondo dotato di poche risorse. Per coprire questa situazione, le ditte farmaceutiche hanno stabilito dei contratti commerciali con le aziende di generici per fornire farmaci a 100 Paesi a basso reddito, dove peraltro si concentra la stragrande maggioranza dell’epatite ci sono trattamenti che vanno da 300 a 700 dollari per tre mesi di cura, che per noi è quasi niente, per loro è significativo. Attenzione, 700 dollari in India è già una spesa significativa. Questo fu fatto già nel 2013, quando uscì il prodotto “brand name” per la zona ricca del mondo. Fino ad oggi 1 milione di persone nel mondo sono state curate col brand name e 1 milione col generico. Si calcola che siano 150 milioni le persone infette, la strada è lunga».

Viaggi in India per cure no brand
«Il nostro Paese ha firmato un accordo commerciale per cui non possiamo né importare né commerciare generici - spiega il prof. Colombo - Però se un italiano va in India e compra il farmaco che corrisponde esattamente alla prescrizione che io ho fatto e si presenta davanti a un medico italiano che lavora nel sistema pubblico, questo medico è autorizzato a seguirlo e a curarlo. Nella misura in cui la prescrizione corrisponde alla sua e che il paziente abbia preso il farmaco giusto».

Generico sì, ma con quali accortezze?
«Naturalmente bisogna stare attenti e far sapere ai nostri cittadini che intendono intraprendere quella strada che chiaramente devono fare molta attenzione. Si deve prendere il prodotto generico licenziato dalle aziende che hanno brevettato il farmaco originator. Solo così ci si difende dai prodotti contraffatti. Ci sono farmaci falsificati, potenzialmente tossici, che non sono prodotti sulla ricetta del brand name e, quindi, sono pericolosi. In Egitto e Georgia le aziende hanno scelto di curare a prezzi “stracciati” i malati. Ma queste sono decisioni politiche e non “cliniche”» precisa l’esperto.

Per l’epatite C c’è poi il rischio delle reinfezioni per le condizioni igienico-sanitarie...
«L’epatite C non ti lascia l’immunità, come avviene per l’epatite A e B, per cui ci si può reinfettare. Ci sono categorie particolarmente a rischio: chi si inietta droga in vena, i maschi omosessuali e purtroppo la popolazione dei Paesi in cui le carenze igienico-sanitarie creano le condizioni per le reinfezioni» conclude Colombo.


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