Medicina e ricerca

Medicina di genere e ipotesi evolutiva

di Adriana Maggi (professore ordinario di Farmacologia, Università Statale di Milano)

Con la prima Conferenza mondiale su Sex and Gender factors affecting metabolic disorders, che si è tenuta a Tahoe in California lo scorso marzo, si è segnata in modo ufficiale la nascita di una nuova branca della biomedicina che si occupa di studiare le differenze fisiologiche tra uomini e donne e quanto queste incidano sulla propensione alle malattie e alla risposta alle cure.

Infatti, tradizionalmente, la ricerca sulle basi molecolari della fisio-patologia umana e sui nuovi farmaci si è basata sul postulato che, a parte per gli organi direttamente associati alla riproduzione, non esistessero significative differenze legate alla presenza dei rispettivi cromosomi sessuali. Tale assunto è stato smentito da un gran numero di studi che hanno portato in evidenza come le profonde differenze nella fisiologia dei due sessi si riflettano nell’incidenza e progressione di malattie quali malattie autoimmuni, pneumologiche, metaboliche, cardiovascolari, cerebrovascolari, neurodegenerative (Parkinson e Alzheimer), depressione, sclerosi multipla, autoimmuni e nella nocicezione. Questi risultati, nell'era della medicina personalizzata o di precisione, non possono essere ignorati e di fatto hanno convinto i centri maggiori erogatori di finanziamenti per la ricerca (NIH, Fondi della Commissione Europea) a investire nella cosiddetta medicina di genere.

A questi finanziamenti se ne aggiungono altri da parte delle industrie farmaceutiche come conseguenza dei recenti dati di farmacovigilanza dai quali appare evidente che il rischio di effetti iatrogeni nelle donne è superiore agli uomini del 50%. In particolare, i farmaci che più hanno causato effetti non desiderati nella popolazione femminile sono quelli per patologie neurologiche e neuropsichiatriche, per malattie gastrointestinali, epatiche e biliari, cardiovascolari, ematiche e della epidermide. Le cause di ciò rimangono da identificare.

Ma cosa intendiamo per medicina di genere? La visione secondo cui si tratterebbe di una nuova branca della medicina che studia come lo stato di salute sia influenzato da aspetti socio-economici e culturali è estremamente riduttiva e non pone la dovuta enfasi sul fatto che uomini e donne sono profondamente diversi dal punto di vista biologico ed è per questo che si ammalano e rispondono ai farmaci in modo così difforme. Nell'era di una medicina che punta a trovare la molecola che determina l'insorgere della patologia e usare questa come bersaglio farmacologico, non pensare di personalizzare la terapia in base al sesso appare come una paradossale negligenza.

La conferenza di Tahoe ha fatto il punto sullo stato della ricerca nel settore, ponendo l'accento sulle caratteristiche di profonda multidisciplinarietà degli studi di sesso e genere e sulla complessità della ricerca prettamente biologica che proprio per questo viene svolta in un numero troppo limitato di laboratori a livello mondiale in quanto richiede una competenza in discipline tra loro molto diverse tra loro, malgrado l'endocrinologia e la genetica ricoprano una valenza fondamentale.

A Tahoe si è discusso criticamente l'attuale approccio al problema che attualmente è per la gran parte di taglio osservazionale e freddamente comparativo mentre una visione più olistica dell'origine di tali differenze sarebbe indispensabile per indirizzare le ricerche future. Proprio per questo ha suscitato discussione la teoria proposta nell'Essay pubblicato su Cell Metabolism (Sex Differences: A Resultant of an Evolutionary Pressure?”, di Sara Della Torre e Adriana Maggi), volta a spiegare i meccanismi tramite i quali funzioni apparentemente disgiunte dalla riproduzione siano così differenziate nei mammiferi dei due sessi. L'ipotesi presentata è che la divergenza fisiologica tra maschi e femmine sia iniziata circa 200 milioni di anni or sono quando gli organismi animali hanno cessato di deporre le uova e gli animali di sesso femminile hanno iniziato a ospitare e crescere l'embrione nel proprio grembo e ad allattare i cuccioli.

Questo cambiamento nella strategia riproduttiva ha costituito una svolta fondamentale per la fisiologia femminile perché ha determinato la selezione dei soli organismi che, in un ambiente in cui gli alimenti non erano sempre presenti, fossero in grado di adattare il proprio metabolismo energetico alle diverse fasi della riproduzione e potessero cessare di riprodursi in momenti di estrema carestia (per non mettere figli e genitori in una competizione letale per entrambe). Quindi, dall'animale primitivo, molto simile nei due sessi tranne che nelle gonadi che producevano cellule riproduttive diverse, gli organismi femminili hanno percorso un lungo cammino evolutivo che ne ha condizionato la funzionalità di tutti gli organi che nel tempo si sono adattati per porre il processo riproduttivo in stretta relazione con l'ambiente per evitare che una eccessiva proliferazione in un habitat povero di nutrimento portasse alla estinzione della specie.

A supporto di questa ipotesi vi sono i risultati di ricerche, svolte sia alla Statale di Milano che in altri laboratori in cui si è dimostrato come l'incidenza e percorso delle patologie metaboliche differisca nei due sessi e come nelle donne cambino in relazione alla fase riproduttiva.

I lavori presentati al congresso hanno inoltre sottolineato come organi e apparati diversi da quelli responsabili per il controllo energetico siano stati sottoposti a una pressione selettiva che ne ha cambiato il funzionamento in modo significativo: si pensi al sistema immunitario trovatosi ad affrontare la sfida di non attaccare e distruggere cellule con un patrimonio genetico diverso dal proprio al sistema nervoso, che ha dovuto adattarsi per imparare a prendersi cura dei piccoli nati, del sistema cardio-vascolare sottoposto a continui stress legati ai cambiamenti di massa corporea legati alla gravidanza, al sistema endocrino e ghiandolare che ha dovuto imparare a riconoscere le fasi terminali della gravidanza per iniziare a secernere il latte materno.

Dal Triassico superiore quindi gli organismi maschili e femminili si sono allontanati creando animali e umani funzionalmente molto diversi e sui quali le differenze culturali o socio-economico ora forse giocano un ruolo che non è quello fondamentale. In questa chiave si spiega la diversa suscettibilità di maschi e femmine a malattie a carico di organi e sistemi al non essenzialmente riproduttivi (tutte le malattie autoimmuni, tranne il diabete di tipo I, hanno maggiore incidenza nelle femmine, il rischio cardio-vascolare è più alto nei maschi che nelle femmine, solo quando le femmine sono nella fase fertile, la soglia al dolore è diversa nei due sessi, le malattie epatiche si scatenano nella donna dopo la menopausa ecc).

Alla luce di questa teoria diventa più chiaro anche il motivo per cui il metabolismo dei farmaci differisce così profondamente nei due sessi: basti pensare alle innumerevoli strategie che le femmine hanno dovuto mettere a punto per il metabolismo epatico di tutti i prodotti di scarto prodotti dal feto e dalla placenta durante la gravidanza.


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