Medicina e ricerca

Osservatorio PariSanità: tecnologia al ralenti, solo un intervento su tre è in laparoscopia

di Ernesto Diffidenti

Tecnologia, questa sconosciuta. Negli ospedali, soprattutto al Sud, trovano spazio ancora interventi tradizionali con le opzioni più recenti relegate a un ruolo secondario. L’esempio più lampante? La laparoscopia, tecnica mininvasiva che 30 anni fa venne definita un’innovazione dirompente, ancora oggi stenta a diffondersi nel nostro Paese, contando solo il 38,5% degli interventi contro il 61,5% di quelli eseguiti con la tradizionale laparotomia. A tracciare la mappa dei ritardi (gli ennesimi) è il primo Rapporto elaborato dall’Osservatorio PariSanità, presentato oggi a Roma e sviluppato da Crea Sanità – Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” e Centro studi Assobiomedica.

Maglia nera in efficienza a Marche, Sicilia, Campania e Calabria, dove il livello di diffusione della laparoscopia risulta insufficiente rispetto alle performance decisamente ottimali di Veneto, Lombardia, Valle d’Aosta e Province autonome di Trento e Bolzano. «Nonostante le evidenze scientifiche promuovano, infatti, l’uso di questa tecnica chirurgica a fronte dei diversi benefici riscontrati sia per il paziente sia per l'organizzazione ospedaliera - spiega il rapporto - la diffusione della laparoscopia a macchia di leopardo dipende non tanto da scelte basate su considerazioni medico-scientifiche, quanto da un problema di mancanza di equità di accesso».

E le casse del Servizio sanitario nazionale piangono. Sono quasi 105mila le giornate di degenza, infatti, che il Ssn potrebbe risparmiare ogni anno se la diffusione della laparoscopia in Italia, pur limitandola solo ai due interventi più frequenti, fosse adottata in modo equo e appropriato.

«Rilevare i processi di accesso alle prestazioni sanitarie e quelli di diffusione delle tecnologie innovative sul territorio nazionale - ha sottolineato il presidente di Crea Sanità, Federico Spandonaro - è l’obiettivo che ci siamo dati nel creare l'Osservatorio PariSanità: individuando eventuali disomogeneità regionali è possibile pianificare azioni correttive necessarie a riequilibrare l'offerta sanitaria del Ssn, contribuendo a migliorare il sistema e la tutela della qualità della salute dei cittadini». I numeri: prendendo in esame i circa 374mila interventi effettuati nel 2014 - considerando i primi 19 interventi per i quali la laparoscopia è maggiormente utilizzata - solo in meno di 4 casi su 10 si ricorre a tale tecnica, con una disuguaglianza territoriale importante e preoccupante. «L'utilizzo della laparoscopia avrebbe invece un ruolo molto importante in termini di recupero di efficienza organizzativa - aggiunge Spandonaro - senza dimenticare gli ormai noti benefici per il paziente. In quasi tutte le procedure prese in analisi, al ricorso alla laparoscopia è associata una riduzione della degenza media, sebbene di diversa entità: nel caso della colecistectomia questa raggiunge quasi il 70%».

“La mancata diffusione di un'innovazione che ormai dovrebbe essere adottata in modo consueto nei nostri ospedali – ha dichiarato il presidente di Assobiomedica, Luigi Boggio - è un fatto grave e purtroppo non rappresenta un caso unico. Sono troppe le tecnologie mediche innovative che non riescono a entrare nelle strutture sanitarie per problemi di natura economica, gestionale, di scarsa consapevolezza dei loro benefici sia da parte del personale medico-sanitario che dei pazienti. Si tratta di una questione che non va affatto sottovalutata soprattutto in un Paese in cui l'universalismo del servizio sanitario rappresenta uno dei pilastri fondamentali della Costituzione. È necessario adottare quanto prima nuovi modelli di valutazione e introduzione delle innovazioni tecnologiche a livello nazionale in modo omogeneo così da migliorare le prestazioni per il paziente, contenere e ottimizzare l'utilizzo delle risorse umane e economiche, nonché contribuire all'evoluzione del sistema sanitario”.


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