Medicina e ricerca

Che fine hanno fatto i piani di rientro degli ospedali?

di Emiliano Calabrese

Che fine hanno fatto i piani di efficientamento delle aziende ospedaliere e (da quest'anno) dei presìdi ospedalieri a gestione diretta che presentano un deficit di bilancio e/o il mancato rispetto dei parametri relativi a volumi, qualità ed esiti delle cure?

La domanda non è retorica, perché scadono oggi i termini previsti dalla legge 28 dicembre 2015. n. 208 (articolo 1, comma 524) per individuare da parte delle regioni tutte le strutture che, non rispettando le metodologie di valutazione previste nel Dm Salute del 21 giugno 2016, necessitano di una serie di provvedimenti atti a migliorare le proprie performance nonché a perseguire l'efficienza dei fattori produttivi.

Grazie a una bozza di decreto (da noi pubblicata in anteprima il 26 febbraio 2016 ) dalle parti di Viale Ribotta si era ipotizzato che tra Ao, Aou e Irccs (che complessivamente avrebbero dovuto avviare un processo di efficientamento) il numero complessivo fosse 53 per un potenziale risparmio pari a oltre 1,8 miliardi. Dal Rapporto 2017 sul coordinamento della finanza pubblica, a cura della Corte dei Conti, sappiamo che di quelle 53 aziende le regioni ne hanno effettivamente individuate 30 (una per il Piemonte, una per l’Emilia Romagna, sei nel Lazio, dieci in Campania, quattro in Calabria e otto per la Sicilia).

Lazio in regola
Pochi i particolari, i dettagli, a disposizione rispetto ai relativi piani fatta eccezione per il Lazio che con un Decreto del Commissario ad Acta (Dca) del 13 giugno scorso ha approvato i piani di efficientamento redatti dalle singole aziende ospedaliere (San Camillo, San Giovanni, Umberto I, Irccs Ifo, Sant'Andrea e Aou Tor Vergata), aggiornando gli importi oggetto di recupero che sono passati dai 209 milioni di euro - DCA 8 settembre 2016 - a poco più 142 milioni.
La scadenza odierna, oltre a rappresentare una sorta di verifica rispetto alle Aziende ospedaliere, allarga il monitoraggio a tutti i presìdi ospedalieri a gestione diretta da parte delle Aziende sanitarie locali . Per dare una dimensione del fenomeno, il Cergas dell'Università Bocconi, nel suo ultimo rapporto Oasi (Capitolo 3 - La struttura e le attività del Ssn), ha indicato in 344 il numero delle strutture gestite direttamente dalle Asl.

Quanti ospedali a rischio?
Insomma, gli ospedali pubblici a rischio potrebbero essere davvero molti soprattutto se si considerano due elementi. Il primo contempla l'inasprimento delle condizioni per il riconoscimento delle Ao/ospedali da sottoporre a piano, da 10 milioni di euro o 10% dello scostamento tra costi e ricavi a 7 milioni o 7%, così come previsto dall'articolo 1 comma 390 della Legge 11 dicembre 2016 n. 232. Il secondo, invece, riguarda una dichiarazione rilasciata da Fulvio Moirano (Dg dell'Azienda unica per la tutela della salute della Sardegna), uno dei redattori materiali del Regolamento sugli standard dell'assistenza ospedaliera - Decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70 -, che in occasione della presentazione dei risultati isolani del Piano Nazionale Esiti ha spiegato che: «Molti dei presidi ospedalieri appartenenti all'azienda, non solo saranno sottoposti a piano di efficientamento e riqualificazione - avendo volumi ed esiti da migliorare -, ma presentano un piano dei conti difficilmente sanabile in un arco temporale breve. Molti di essi, infatti, denotano una spesa per costi diretti (personale, farmaci, presidi medico-chirurgici) che da soli superano di gran lunga il finanziamento per funzioni massimo consentito rispetto alla produzione di attività» (Si veda il nostro servizio del 27 gennaio).

Capiremo nei prossimi giorni se ci saranno novità in merito con l'augurio che non sia rimandata ai posteri l'ardua sentenza.


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