Medicina e ricerca

Se il paziente non mangia più: malnutrizione, malattia nella malattia

di Maurizio Muscaritoli (presidente SINuC – Società italiana di Nutrizione clinica e Metabolismo)

Quando si sente parlare di nutrizione artificiale la mente associa questa terapia alle cure palliative e ai trattamenti di supporto alla fine della vita, ma è una lettura molto limitata. Se bisogna considerare idratazione e nutrizione artificiale trattamenti vitali e non terapia, il dibattito giuridico è in corso ma è certo che la nutrizione artificiale nelle sue varie forme si utilizza per ristabilire equilibri nutrizionali nei pazienti fragili in molte condizioni: malattie rare, infantili, neurologiche, oncologiche cec. La presenza di un tumore, per esempio, ha molto spesso conseguenze negative e recenti studi hanno rilevato che il 20% dei pazienti affetti da neoplasia, circa 2 milioni di individui, non supera la malattia per le gravi conseguenze della malnutrizione e per un altro 20% ciò costituisce una “malattia nella malattia”. Le cause sono lo stress chirurgico, gli effetti delle terapie, la nausea.

La cachessia
La perdita di peso aumenta la tossicità indotta dalla radio-chemioterapia, peggiora la sensibilità delle cellule tumorali al trattamento antineoplastico, indebolisce le difese dell'organismo, aumenta la frequenza e la durata dei ricoveri, provoca aumento delle complicanze post-operatorie e scadimento della qualità di vita, che deve essere presa in considerazione con protocolli rigorosi tali da permettere un intervento che migliori gli outcome. Le alterazioni del metabolismo, spesso indotte dal tumore, sono responsabili di uno spreco di calorie e di muscolo con conseguente perdita di peso e quindi di forza fisica, nonché di maggiore affaticamento. In campo oncologico si configura spesso una condizione chiamata “cachessia” che ha un impatto negativo sulla prognosi, la qualità di vita e la risposta ai trattamenti.

Quando il paziente non mangia più
In un paper pubblicato su Annals of Oncology lo scorso anno, abbiamo valutato l'impatto di questo problema che coinvolge un paziente su 5 con cancro. Per l'86% degli oncologi è definita come perdita di peso e per il 46% perdita di appetito, che porta ad un calo ponderale significativo. Almeno il 46% dei medici che hanno risposto all'indagine hanno riferito di fare diagnosi di cachessia e iniziare trattamenti specifici quando il paziente ha perso il 10% del suo peso, mentre il 48% dei sanitari prende provvedimenti quando il deficit ponderale ha raggiunto il 15%. Ma i medici riferiscono anche un dato preoccupante, ossia che nel 61-71% dei casi di pazienti oncologici, questi non ricevono prescrizioni o trattamenti sino a che la cachessia non raggiunge lo stadio avanzato (Muscaritoli M, Rossi Fanelli F, Molfino A. - Perspectives of health care professionals on cancer Cachexia in Annals of Oncology 27, 2016).

La condizione di malnutrizione deve essere considerata prevenibile e reversibile a patto che l'intervento nutrizionale sia il più tempestivo possibile, divenendo parte integrante delle cure oncologiche. Argomento che è stato al centro della tavola rotonda conclusiva dei lavori del 2° congresso della SINuc che si è appena chiuso a Firenze.

Purtroppo quando il paziente torna a casa le cose si complicano e l'attuale sistema non è in grado di garantire a tutti omogeneità di accesso ed equità, per questo è al vaglio del Senato il disegno di legge dal titolo “Disciplina nazionale della nutrizione artificiale parentale ed enterale, ospedaliera e domiciliare”, di cui è prima firmataria la senatrice del Pd, Maria Spilabotte. Se poi il paziente è ancora in grado di alimentarsi adeguatamente per la via naturale, è certamente consigliata l'elaborazione di un piano dietetico personalizzato. Molto spesso, invece, il paziente si alimenta in quantità insufficienti. A seconda della situazione clinica, l'apporto calorico ritenuto adeguato dovrebbe essere di circa 30 kcal per kg di peso al giorno ed quello proteico di circa 1.2 g per kg di peso al giorno. Valori inferiori, molto frequentemente riscontrati nei malati oncologici anche al momento della diagnosi, devono essere ritenuti a rischio di malnutrizione. Un introito calorico inferiore al 50-75% dei fabbisogni per un periodo uguale o superiore a 7 giorni richiede un intervento di nutrizione artificiale. Screening e valutazione nutrizionale devono entrare a far parte della valutazione multidimensionale del malato oncologico, durante tutto il percorso terapeutico, “attivo” e “palliativo” come codificato nel cosiddetto «percorso parallelo metabolico-nutrizionale per il malato oncologico». Diverso è il caso delle cure di fine vita, quando le linee guida suggeriscono un approccio rispettoso e appropriato.

L'associazione internazionale Choosing Wisely si raccomanda di «non iniziare e non proseguire una Nutrizione Artificiale (per via parenterale o enterale) nei pazienti oncologici con malattia inguaribile in fase avanzata e aspettativa di vita inferiore a poche settimane». Questo perché non esistono evidenze da studi osservazionali o sperimentali che ne dimostrino l'efficacia in termini di aumentata sopravvivenza o migliore qualità di vita. Tuttavia, come ribadito nelle recenti linee guida emanate dall'Espen (Società Europea di Nutrizione Clinica e Metabolismo), anche in questo contesto non possono essere adottate regole generali, ed ogni caso andrebbe valutato singolarmente.


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