Medicina e ricerca

Gli sprechi italiani nella ricerca europea

di Marzio Bartoloni

L’Italia ha fame di ricerca. Complice anche la mannaia calata da anni sui fondi a disposizione in casa i ricercatori italiani bussano sempre di più alla porta dell'Europa che ha messo in palio 77 miliardi con il programma Horizon 2020, il più grande mai visto per la ricerca. Ma se siamo i più “produttivi” (solo dopo i britannici) nel presentare i progetti da farsi finanziare (oltre 42mila quelli piovuti su Bruxelles in tre anni), siamo anche quelli che se ne fanno bocciare di più, visto che abbiamo il tasso di successo peggiore in Europa (alla fine finanziati solo 5mila). In pratica, conquista i fondi solo un progetto italiano su dieci, sprecando così preziose occasioni per fare quell'innovazione necessaria per la crescita che in Italia trova pochi finanziamenti. E così a conti fatti il nostro Paese resta ancorato al quinto posto tra le potenze europee della ricerca, ben distanziato da Germania e Regno Unito e dietro a Francia e Spagna e praticamente alla pari con l'Olanda .

I risultati dopo tre anni
In tre anni l'Italia ha ottenuto - in base all'efficacia dei progetti presentati - solo il 7,9% del budget messo sul piatto dall'Europa: cioè 1,785 miliardi dei 22,6 miliardi assegnati finora. Non proprio un ricco bottino, sicuramente al di sotto del target del 10% che in passato il Governo si era posto come obiettivo minimo. Anche se poi non mancano alcuni distinguo importanti: andiamo peggio nella corsa ai fondi per la ricerca “pura”, ma siamo sopra la media sulla ricerca industriale dove scendono in campo anche le nostre imprese, qui vantiamo punte di eccellenza nella ricerca aerospaziale o in quella sulle nanotecnologie, i nuovi materiali o nella ricerca innovativa delle Pmi dove conquistiamo in media più fondi. Va infine sottolineato che più di un terzo dei fondi viene conquistato dalle Regioni del Nord-Ovest e un altro terzo dal Centro-Italia (dove pesa però la presenza a Roma della sede legale dei centri di ricerca più grandi), mentre a Sud e nelle isole arriva solo il 7 per cento. Per invertire questo trend - va detto - il Governo italiano ha messo in campo una strategia chiara con il Piano nazionale della ricerca 2015-2020 allineato con le priorità Ue e stanziando 2,5 miliardi per i primi tre anni. Ma il Piano dopo molti rallentamenti sta entrando solo ora nel vivo, come dimostra la recente approvazione del bando del Miur da 500 milioni per la ricerca industriale dei cluster.

I numeri principali
La fotografia dettagliatissima a metà percorso di Horizon 2020 (sono passati tre anni e mezzo ne mancano altrettanti alla fine del programma europeo) è contenuta in un voluminoso monitoraggio appena realizzato da Apre, l'Agenzia per la promozione della ricerca europea. Lo studio è stato condotto su 355 call scandagliate al 28 febbraio scorso: fino a questa data sono stati firmati 11.639 Grant Agreement per un contributo complessivo di oltre 22 miliardi. I 5.042 beneficiari italiani finanziati, che rappresentano circa il 9% del totale di chi ha conquistato i fondi di Horizon 2020, hanno ottenuto come detto il 7,9% del budget assegnato (circa 1,7 miliardi di euro). Una performance che il nostro Paese si trascina già dal programma europeo di ricerca precedente. La Germania in questi tre anni ne ha conquistati più del doppio, raggiungendo quasi quota 4 miliardi (il 17,4%). Anche la ricerca d'Oltremanica fa il pieno con 3,3 miliardi (il 14,6%). Molto meglio dell'Italia fanno anche la Francia con 2,3 miliardi (il 10,4% del budget complessivo assegnato) e la Spagna (2 miliardi, l'8,9% del budget) con l'Olanda - Paese molto più piccolo dell'Italia - che conquista in pratica i nostri stessi fondi: 1,7 miliardi (il 7,8 per cento).

I limiti italiani
Ma perché siamo poco competitivi? A pesare sicuramente c'è il male endemico del sottofinanziamento della ricerca, da sempre Cenerentola: siamo indietro agli altri Paesi Ue con circa l'1,3% di spesa in ricerca e sviluppo sul Pil (contro la media dei quindici Ue al 2%). Ma - come sottolinea anche l'indagine dell'Apre - non basta questo a spiegare il nostro basso tasso di successo dei progetti: non va infatti trascurata la «capacità di un Paese di “fare sistema”, ovvero, creare un elevato numero di interazioni tra tutti i soggetti coinvolti ai diversi livelli (pubblici, privati, nazionali, regionali), indirizzando gli sforzi nella stessa direzione». Insomma più che sulla qualità dei contenuti proposti paghiamo spesso pegno per il fatto che abbiamo difficoltà ad aggregarci in «partenariati forti» oltre che a «comunicare correttamente la dimensione dell'impatto e dell'innovazione» del progetto. La dimostrazione di questa difficoltà tutta italiana a fare squadra arriva anche dai numeri relativi ai progetti in cui i ricercatori italiani si candidano a coordinare i team che coinvolgono anche altri scienziati europei: anche qui l'Italia si pone al secondo posto per numero di proposte presentate, ma registrando un tasso di successo che scende dall'11,9% complessivo all'8%. Un sintomo in più di questo nostro vizio perché per coordinare i progetti si «richiede - scrive l'Apre - una maggiore capacità di concezione e gestione della proposta progettuale».

Le performance per settore
Scorrendo comunque le nostre performance nei vari “pilastri” in cui è diviso il programma Horizon - eccellenza nella scienza, leadership industriale e grandi sfide della società - si scopre che abbiamo grandi punte di eccellenza accanto a settori meno competitivi: nel primo pilastro (quello della ricerca pura) conquistiamo solo il 6,2% dei fondi. Molto meglio la ricerca industriale con il 9,6%, con punte del 14% per lo spazio, dell'11% nelle nanotecnologie e nei nuovi materiali e del 10,5% nell'innovazione delle Pmi. Nel terzo pilastro dove si affrontano tematiche scientifiche cruciali (salute, ambiente, energia, ecc.) conquistiamo infine un onorevole 9,1 per cento.


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