Medicina e ricerca

Sperimentazioni cliniche di fase 1: cos’è cambiato rispetto al passato?

di Giovanni Blandino (MD Head of Oncogenomic and Epigenetic UnitHead of Clinical Trials CenterRegina Elena Cancer Institute) e Lillian Siu (MD Princess Margaret Cancer Centre, Toronto, Canada)

Per la prima volta sull'uomo le sperimentazioni oncologiche di fase 1 testano farmaci o trattamenti farmacologici nei pazienti con tumori in stadio avanzato. Fino a tale momento le nuove molecole sono sperimentate solo negli animali o studiate in ogni altro modo possibile (per esempio in vitro).
Molti sono i cambiamenti avvenuti negli ultimi anni e dipendono dalle nuove acquisizioni sui mutamenti molecolari e genomici nel cancro e dal fatto che oggi sappiamo molto di più anche sul sistema immunitario. Gli studi attuali di fase 1, rispetto a quelli tradizionali, sono più mirati e coinvolgono pazienti secondo criteri precisi e meglio definiti di arruolamento. Questo comporta che i pazienti vengano “screenati” e catalogati per genotipo specifico. Ad esempio, molti dei nuovi agenti immunoterapici, come gli anticorpi anti PD1, PDL1 sfruttano il sistema immunitario per attaccare il cancro. Gli studi sono oggi scientificamente diversi nel senso che stanno testando queste nuove tipologie di ipotesi.

Anche dal punto di vista logistico sono tante le novità. Attualmente, gli studi di fase 1, tradizionalmente molto piccoli, coinvolgono un numero più grande di pazienti. Inoltre prevedono una fase denominata “dose escalation”, durante la quale vengono testate dosi crescenti di farmaco fino a trovare la dose massima non tossica e una fase di “espansione”, durante la quale tale dose massima non tossica viene testata su un numero sempre più ampio di pazienti, fino a un centinaio. Possono essere coinvolti molti centri, a volte 50-60, e l'obiettivo è garantire che tutte le diverse realtà e tutti i partecipanti coinvolti nella sperimentazione: pazienti, medici, comitati etici, siano in grado di comunicare ed interagire tra loro, per valutare attentamente quanto sia sicuro il farmaco. Tutto ciò rende l'intera fase 1 molto complessa poiché non sono più una o due persone a gestire la sperimentazione ma gruppi multidisciplinari di individui consapevoli della strategia, della complessità e che si confrontano costantemente anche con gli sponsor.
Lo straordinario sviluppo delle tecnologie omiche (genomica, proteomica ecc.) sta avendo un impatto notevole nel disegno e nella conduzione degli studi clinici di medicina personalizzata e di precisione in oncologia. Inoltre, la sistematica integrazione dei programmi di oncogenomica e immunoterapia con lo sviluppo di nuovi farmaci promuove approcci terapeutici del tutto innovativi. L'obiettivo finale è sempre quello di riuscire a fare il massimo per capire come utilizzare questi farmaci in modo sicuro e come proseguire per il loro sviluppo e con nuove strategie terapeutiche.

Gli Irccs Regina Elena e San Gallicano in quest'ottica e in linea con quanto definito dalla Determina dell'Aifa del giugno 2015, hanno avviato un programma di riorganizzazione e gestione delle attività di ricerca clinica per poter assicurare la maggior trasparenza e tracciabilità possibile degli studi di fase 1 durante tutto il processo di lavoro: dall'arruolamento dei pazienti, alla contabilità del farmaco, all'esecuzione degli esami clinici e strumentali, sempre nel rispetto del benessere del paziente. Questa finalità è infatti più volte sottolineata dall'ultima revisione delle Linee Guida Europee di Good Clinical Practice. Per tale motivo, gli Istituti hanno definito un'area di degenza clinica ad hoc supportata da una serie di facilities per le attività di diagnosi e follow up dei pazienti. In aggiunta agli approcci tradizionali e in accordo con le attuali strategie terapeutiche, gli IRCSS Regina Elena e San Gallicano sono in grado di definire per ogni paziente la cosiddetta “impronta” basata su analisi ad elevato contenuto tecnologico di genomica, trascrittomica, proteomica, lipidomica e metabolomica. La cornice gestionale messa a punto e già avviata è rappresentato da un programma Qualità in linea con le “Good Practice”, come richiesto da AIFA. Il monitoraggio continuo e documentato in maniera permanente di ogni aspetto delle attività previste e svolte da personale con elevata competenza è infatti il primo requisito essenziale per assicurare la validità dello studio e la sicurezza del paziente.


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