Medicina e ricerca

Tumore prostata: oltre 200 mila i pazienti in cura, il 90% vorrebbe medici più vicini

La strada per sconfiggere il carcinoma della prostata passa anche dall'ascolto dei reali bisogni dei pazienti e dalla condivisione delle strategie terapeutiche: l'87% dei pazienti e il 93% degli urologi ritiene infatti indispensabile il coinvolgimento del malato in tutte le decisioni relative al percorso terapeutico. Non a caso quasi il 90% di chi è in cura presso centri dove la multidisciplinarietà è reale è soddisfatto del rapporto con i medici (87%), delle informazioni ricevute (75%), delle visite effettuate (86%), delle cure somministrate (87%). Dati simili emergono anche dalle medesime domande poste agli urologi. Sono alcuni dei dati che emergono dalla prima indagine che ha valutato aspettative e necessità dei pazienti con tumore alla prostata metastatico e dei loro urologi, condotta dalla Società Italiana di Urologia (SIU) e presentata in occasione della campagna di sensibilizzazione internazionale Movember, che come ogni anno dedica il mese di novembre alla salute maschile e in particolare all'informazione ed educazione sul tumore prostatico, la principale problematica oncologica maschile con circa 40 mila nuove diagnosi ogni anno nel nostro Paese, e 200mila pazienti che convivono con il tumore e che hanno affrontato un percorso di cura, dalla sorveglianza attiva all'utilizzo di farmaci, all'intervento chirurgico.

L'accesso a team multidisciplinari che garantiscano un percorso facilitato per visite ed esami e in cui vi siano tutti i professionisti coinvolti nella terapia del tumore, dagli urologi agli oncologi, dai radiologi agli psicologi, aiuta i pazienti ad affrontare meglio la patologia e gli urologi a una migliore gestione del paziente. Emerge infatti che il paziente vuole rimanere lucido ed attivo, in grado di svolgere le proprie attività quotidiana in autonomia ed evitare quindi effetti collaterali quali “rallentamento del pensiero” o “neuropatia periferica”, effetto quest'ultimo che impedisce al paziente persino di allacciarsi da solo una camicia. Poter accedere ai trattamenti più innovativi toglie, inoltre, la paura del tumore: chi è in cura presso i centri che possono prescrivere le terapie più all'avanguardia ha maggiori speranze nel futuro ed è più fiducioso di poter curare la patologia e vivere più a lungo e meglio, nonostante il 50% dei pazienti ritenga che la malattia abbia limitato la propria attività quotidiana (un'opinione condivisa anche dai medici).

La mortalità per questo carcinoma, tuttavia, è in diminuzione grazie a diagnosi precoci e terapie sempre più innovative. «L'indagine ha coinvolto 22 centri urologici e un totale di 246 pazienti e 96 urologi – spiega Cosimo De Nunzio, dirigente dell'Unità operativa complessa di Urologia, Ospedale Sant'Andrea di Roma e membro del board di specialisti che ha condotto l'indagine –. I dati mostrano che la presenza di team multidisciplinari per un'assistenza a tutto tondo migliora moltissimo la percezione della qualità delle cure da parte dei pazienti: il 76% di loro ritiene adeguate le informazioni ricevute in merito al proprio stato di malattia, l'89% ne è soddisfatto. L'87% dei malati ritiene fondamentale essere coinvolto nella scelta della terapia e questo bisogno è soddisfatto proprio grazie a un cambio di atteggiamento degli urologi, che sempre di più collaborano con gli oncologi e gli altri specialisti per una gestione a 360 gradi di ciascun caso. L'indagine è stata l'occasione per ascoltare i reali bisogni dei malati e per rendersi conto, per esempio, che alcune preoccupazioni sono condivise da medici e pazienti mentre altre, come la necessità di dover fare analisi del sangue molto spesso o i cambiamenti di peso, sono causa di apprensione che non vengono adeguatamente tenute in conto dagli urologi».

«Questi dati confermano che il miglior approccio per la gestione dei pazienti con tumore alla prostata deve prevedere l'accesso a team multidisciplinari di cura e il cosiddetto ‘patient empowerment', ovvero la legittimazione e responsabilizzazione del paziente, vera chiave di volta del successo della terapia – sottolinea dal canto suo Vincenzo Mirone, coordinatore dello studio, responsabile Ufficio risorse e comunicazione della Società italiana di urologia e direttore del Dipartimento di Urologia all'Università Federico II di Napoli –. Il paziente oncologico deve essere al centro del percorso terapeutico, partecipare alle decisioni in maniera consapevole e non essere mai posto nella difficile situazione di dover scegliere tra due alternative terapeutiche diverse per opinioni contrastanti dei singoli specialisti».

Poter contare su un team multidisciplinare è anche la giusta risposta per un'altra delle necessità più sentite dai pazienti, ovvero l'accesso facilitato alla struttura in cui sono in cura per prenotare esami o visite, ritenuto indispensabile dal 66% dei malati: se tutti gli specialisti sono in uno stesso luogo, qualsiasi esigenza viene immediatamente gestita dai colleghi senza lasciare che sia il malato a prendere appuntamenti, prenotare esami, cercare altri specialisti per un colloquio.
La condivisione di paure, speranze e pensieri con altri pazienti è poi un desiderio espresso dal 44% dei malati ed è molto importante soddisfarlo, come spiega Ettore Fumagalli, past president di Europa Uomo. «Gli uomini non devono mettere la testa sotto la sabbia - spiega - ma parlare senza timori del tumore alla prostata prima e dopo un'eventuale diagnosi. Informarsi, sottoporsi alle visite di controllo, prendersi cura della propria salute significa poter arrivare a una diagnosi precoce e quindi avere migliori speranze di guarigione. Per questo Europa Uomo fornisce supporto psicologico, un sportello informativo per sapere a chi rivolgersi a seconda dei propri bisogni, riunioni gratuite settimanali per confrontarsi con altri pazienti e con gli specialisti».

«Ci sono però dati non proprio confortanti riguardo la tendenza dei maschi italiani a seguire programmi di prevenzione corretti per il tumore prostatico – prosegue Paolo Verze, membro del Comitato scientifico della Fondazione Pro e Ricercatore di Urologia dell'Università Federico II di Napoli –. Una recente ricerca condotta dalla Fondazione e pubblicata in una prestigiosa rivista internazionale su circa 2.500 uomini provenienti da regioni dell'Italia Meridionale, ha dimostrato che la gran parte dei soggetti effettua semplicemente controlli periodici del Psa, senza però ricorrere ad una visita specialistica o ad approfondimenti diagnostici. Altro dato preoccupante è che circa l'80% del campione era venuto a conoscenza dell'importanza della prevenzione del tumore della prostata grazie a campagne di informazione via web o Tv, mentre solo il 18% era stato sollecitato dal proprio medico di fiducia».

«Movember è un’importante iniziativa che Janssen sostiene già da cinque anni – conclude Massimo Scaccabarozzi, presidente e amministratore delegato di Janssen Italia – perché consente di affrontare temi molto importanti per la salute dell’uomo, come il tumore della prostata, coinvolgendolo non solo nell'attività di prevenzione ma anche, quando colpito dalla malattia, in un percorso di corretto e informato rapporto con il proprio medico e condivisione delle scelte terapeutiche. Queste campagne dedicate nel mondo alla prevenzione e alla sensibilizzazione sui tumori, inoltre, sono fondamentali per rafforzare la collaborazione tra società scientifiche, associazioni pazienti e aziende farmaceutiche. In Janssen lavoriamo ogni giorno per migliorare l'efficacia e la tollerabilità dei farmaci, ma soprattutto per offrire ai malati e ai loro cari i migliori strumenti possibili per vincere la lotta al cancro, iniziando anche dalla buona informazione. Il nostro impegno su questa patologia è molto rilevante. Basti pensare che un quarto dei centri attivati e dei pazienti arruolati da Janssen in Italia per gli studi clinici in oncologia sono focalizzati sul tumore della prostata».


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