Medicina e ricerca

Dalla legge sull'obbligo all'Hpv fino agli anti-tumorali: vaccini tra prevenzione e sostenibilità. Il punto all'evento della Fondazione Biagio Agnes

di Barbara Gobbi

Guardare alla sanità come a un investimento e non come a una voce di spesa. Potenziare l’educazione, cioè l’empowerment del paziente. Riorganizzare l’assistenza sulla base dei nuovi bisogni di cura. Fare prevenzione. Questo il messaggio che in sintesi arriva al Governo che verrà dal mondo medico-scientifico, di cui una fetta importante si è riunita a Roma, su iniziativa della Fondazione Biagio Agnes, per ricordare il fondatore di Check-Up, prima trasmissione televisiva di divulgazione agli italiani delle informazioni su salute e medicina. In occasione dell'evento "La Salute al primo posto. Promozione, prevenzione e vaccini", è stato anche consegnato il “Premio Biagio Agnes Check-Up Salute” a Eugenio Gaudio, Magnifico Rettore dell’Università “La Sapienza” di Roma, Polo Scientifico e Universitario di eccellenza in Europa; ad Alfredo Pontecorvi, ordinario di Endocrinologia e direttore della Scuola di specializzazione in Endocrinologia e Malattie del metabolismo della Fondazione Policlinico universitario “Gemelli” di Roma e dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore della direzione Sanità e Igiene della Città Stato del Vaticano; a Bruno Vincenzi, associato di Oncologia medica, Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma.

«La trasmissione Check-Up è un esempio da tenere ben presente oggi, epoca di fake-news e in cui il nostro Paese, a quarant’anni dalla nascita del Servizio sanitario nazionale, ha dovuto imporre per legge dieci vaccinazioni obbligatorie a scuola, per risalire dalla china del quinto posto nel mondo per diffusione dei casi di morbillo. Eppure, nei quaranta anni di esistenza del Ssn, dal 1978, i vaccini hanno salvato quattro milioni di vite», ha spiegato il presidente dell’Istituto superiore di sanità, Walter Ricciardi. Uno sforzo - quello della legge sull’obbligo che proprio in questi giorni è a una prima verifica, dopo il giro di boa del 10 marzo in cui si prevedeva che i bambini non in regola dovessero restare fuori da nidi e materne – che sta incassando i primi successi. «In sette mesi con la legge abbiamo recuperato i casi che pensavamo di “coprire” in almeno due anni – spiega Ricciardi – passando, solo per il morbillo, dai mille contagiati dell’anno scorso ai cento di quest’anno. Abbiamo superato la soglia del 95% per l'esavalente, fatto un balzo in avanti su morbillo, rosolia, parotite e varicella». E la stessa ministra della Salute Beatrice Lorenzin, del resto, pur sottolineando l'assenza dei dati Regione per Regione, ha tenuto a precisare «la necessità di mantenere alta l'attenzione sul recupero delle coorti più adulte, dove abbiamo però dei buchi vaccinali molto forti nelle coorti più adulte. Questo è molto interessante anche per capire l'andamento delle future epidemie».

Per quanto i primi risultati della legge raccontino di un forte recupero, insomma, sui vaccini l’Italia ha ancora molto lavoro da fare. A ricordarlo è Roberto Bernabei, direttore del Polo di Scienze dell’invecchiamento al Policlinico Gemelli di Roma e presidente di Italia Longeva. «Dopo il Giappone siamo il Paese più vecchio del mondo: i nostri “over 65” vanno protetti, intanto promuovendo stili di vita salutari, cioè contrastando sovrappeso, abitudine al fumo e inattività fisica, ma anche incentivando l’adesione alle nuove profilassi previste dal Piano nazionale vaccini, e cioè anti-influenza, anti pneumococco e anti herpes-zoster. La longevità dev’essere “sana”, altrimenti la sostenibilità è a rischio». Superare la “vaccine hesitancy” richiede programmi ma anche strategie di salute pubblica, come quella - unica al mondo e a cui l’Istituto superiore di sanità guarda con interesse - in atto da tre anni in Gran Bretagna: la somministrazione ai bambini di due anni e ai ragazzi di sedici di un vaccino anti-influenzale spray, con virus vivo inattivato. «Il costo dell’operazione, pari a 100 milioni di sterline, è ampiamente compensato dai risparmi ottenuti nella stagione invernale successiva. Vaccinare i nipoti significa proteggere anche i nonni, rispetto ai quali i giovanissimi sono spesso piccoli “untori”, che spesso si ammalano di influenza per non essersi vaccinati o per oggettiva fragilità», spiega Ajit Lalvani direttore del Centro ricerche tubercolari dell’Imperial College di Londra.
Investire in salute per risparmiare in prospettiva è dunque la via raccomandata. Ma servono rigore, volontà politica, sostegno alla ricerca e, anche, formazione dei medici. «Tra i giovani medici, ad esempio, non c’è la percezione dell’importanza dei vaccini in termini di prevenzione. Ci si dimentica che grazie ai vaccini tra 2011 e 2020 si sono evitate, secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, 25 milioni di morti. Troppo spesso sulla verità vice la fake new. basti pensare che quella sul vaccino anti-morbillo che ucciderebbe più della malattia è la seconda voce più letta e "cliccata" sul web», spiega Sergio Abrignani, direttore dell’Istituto nazionale di Genetica molecolare Invernizzi di Milano. E intanto, manca una profilassi adeguata anche tra future donne, nascituri e nati. «Troppi ginecologi non informano le donne sull’opportunità di vaccinarsi contro l’influenza nel secondo e terzo trimestre di gravidanza», aggiunge Corrado Moretti, primario emerito di Pediatria al Policlinico Umberto I di Roma. «Eppure, ricorda ancora Fabrizio Pregliasco, ricercatore del Dipartimento di Scienze biomediche dell'Università di Milano, vaccini come l’anti-epatite B, la cui somministrazione ha ridotto i casi a uno ogni centomila, hanno cambiato la sorte di centinaia di migliaia di persone».

Oggi c’è in campo la grande scommessa del vaccino anti-Hpv, inserito nei Livelli essenziali di assistenza (Lea) per le adolescenti dodicenni e, da quest’anno, anche per i maschi undicenni. Di cancro per Hpv muoiono 25mila donne l’anno in Europa, 1.200 in Italia. «Il 100% dei casi di cancro al collo dell’utero deriva dall’Hpv», avvisa Giovanni Scambia, direttore del Polo Scienze della salute della donna e del bambino dell’Università Cattolica di Roma. «E se l’80% dei casi di cancro all’utero viene operato e curato, il tumore dell’ovaio è difficile da sconfiggere. Gli strumenti per salvare almeno il 20% delle donne sono due: mettere in campo una prevenzione personalizzata, che tenga conto della storia clinica familiare, indirizzando le donne verso gli ambulatori specialistici oggi disponibili sul territorio, e diffondere il vaccino anti-Hpv».

Ma in prospettiva come cambierà l’identikit dei vaccini? «Saranno sempre più mirati, grazie alla conoscenza del genoma che ci consente di reingegnerizzare i guardiani naturali del nostro organismo», spiega il rettore dell’Università di “Tor Vergata”, Giuseppe Novelli.

Il sogno di un vaccino contro il cancro. Infine, il grande sogno di un vaccino contro il tumore. «Da un lato - spiega Paolo Marchetti, ordinario di Oncologia alla Sapienza di Roma e direttore dell'Oncologia medica all'Aou Sant'Andrea - i vaccini contro le malattie infettive sono consigliati anche in pazienti oncologici, che altrimenti sarebbero esposti a ricadute importanti, anche per la necessità di dover eventualmente rinviare le terapie oncologiche per una semplice febbre. Altrettanto importante è l'effetto gregge, dei familiari che sono intorno al paziente. Dall'altra parte - afferma - ci sono i vaccini che riducono il rischio di alcune infezioni, e quindi l'incidenza di tumori correlati ad esse, ad esempio l'Hpv per il tumore della cervice e l'anti-Hcv per l'epatocarcinoma. Poi c'è tutto il grande capitolo degli interventi basati sul riconoscimento di particolari componenti cellulari, che ci consentono di attaccare il tumore metastatico quando è presente. Sono le immunoterapie, che permettono al nostro sistema immunitario di riconoscere meglio le cellule tumorali, e dall'altra parte però dobbiamo dargli la possibilità di non essere spento o interrotto dall'influenza negativa che le cellule tumorali esercitano sul sistema immunitario. Un vaccino per il cancro è lontano concettualmente, perché al momento non c'è un comune denominatore riservato solo alle cellule neoplastiche, quindi agiamo sulle modificazioni che le diverse cellule neoplastiche mettono in atto per capire il meccanismo a monte per cui le cellule tumorali mettono in atto una unicità che va molto oltre l'unicità degli esseri umani. I target più immediati sono, da un lato, migliorare la risposta dell'organismo che ha imparato a riconoscere l'antigene; dall'altro ampliare la quota di tumori che sono riconoscibili per caratteristiche specifiche dal nostro sistema immunitario».


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