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Centri Ictus, la "rete" per l'emergenza funziona ma al Sud restano vistose lacune

di Ernesto Diffidenti

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Terza causa di morte, prima di invalidità e seconda di demenza: l'ictus cerebrale è una vera e propria emergenza che registra in Italia 100mila nuovi casi all'anno di cui il 20% legato a recidive. Numeri non certo trascurabili e destinati a crescere considerando che la patologia è più frequente negli anziani e che oggi si vive più a lungo anche in Italia, seconda tra i paesi europei per aspettativa di vita media.

Le nuove terapie della fase acuta (trombolisi e trombectomia meccanica) possono evitare del tutto o migliorare gli esiti di un ictus ma la loro applicazione rimane limitata da un lato per la scarsa consapevolezza dei sintomi da parte della popolazione che riconosce meglio le patologie del cuore anziché quelle del cervello, dall'altro per i ritardi accumulati tra la chiamata d'emergenza e l'arrivo nei centri specializzati. In inglese si chiamano Stroke Unit (tradotto, Centri Ictus) e una loro capillare diffusione è prevista dal decreto del ministero della Salute n. 70 del 2 aprile 2015 (Dm 70/2015) le cui intenzioni, però, in larga parte, sono rimaste sulla carta.

A richiamare l'attenzione sull'esigenza di sviluppare una capillare rete di centri per la cura dell'ictus è stato un incontro organizzato dalla Casagit, la Cassa di assistenza integrativa dei giornalisti, che ha riunito insieme all'Associazione per la lotta all'ictus celebrale (Alice Italia Onlus) alcuni tra i maggiori esperti. A partire da Danilo Toni, presidente dell'Italian Stroke Unit e responsabile dell'Unità Ictus del Policlinico Umberto I di Roma che ha diffuso i dati più recenti. «In Italia sono attivi 195 centri - sottolinea - ma seguendo le indicazioni del Dm 70/2015 che prevede mediamente un centro di primo livello (abilitato solo per la trombolisi) ogni 200.000 abitanti e un centro di secondo livello (abilitato per trombolisi e trombectomia) ogni milione di abitanti ci vorrebbero complessivamente circa 300 centri, fra i quali 240 centri con sole funzioni di primo livello e 60 centri con funzioni di secondo livello». Mancano all'appello, dunque, oltre 100 unità specializzate, un terzo di quelle previste, soprattutto localizzate al Sud dove appare evidente la disparità di cura rispetto ai pazienti del Nord.

Così, mentre Liguria, Friuli, Veneto e Alto Adige hanno un tasso di intervento superiore al 100%, la Sicilia viaggia al 39%, la Campania al 10% mentre il Molise resta addirittura a zero. L'80% dei centri, d'altra parte, si concentra nelle regioni settentrionali. Una situazione insostenibile. La media nazionale, tuttavia, rassicura Toni, è in miglioramento: arriva al 73% per la trombolisi (era al 57% nel 2016) ma resta al 37% per la trombectomia (28% nel 2016), ostaggio della carenza di organico per coprire i turni di 24 ore. «Per migliorare ancora gli interventi - aggiunge il presidente dell'Italian Stroke Unit - occorrono scelte coraggiose da parte delle istituzioni e dei direttori degli ospedali: una cura efficace, oltre a restituire autonomia alla persona e facilitare il suo rientro alla vita familiare, sociale e lavorativa, è in grado di far risparmiare al Ssn ingenti costi per ricoveri, complicanze e percorsi di riabilitazione».

Una scelta sostenuta anche dal presidente della Casagit, Daniele Cerrato, che sottolinea il ruolo cruciale della prevenzione. «La Cassa - ricorda - ha promosso oltre 2.500 screening individuando due casi gravi e immediatamente trattati». I controlli proseguiranno sabato prossimo, alla vigilia della giornata mondiale dell'ictus che si celebra il 29 ottobre, negli ambulatori della Casagit. E sul ruolo della prevenzione sono intervenuti anche Cristina Rossi (Simg) e Francesco Romeo (Tor Vergata) secondo cui un ictus su quattro ha origine dalla fibrillazione atriale ed è dunque necessario anche un controllo cardiologico. E proprio grazie alla prevenzione e all'efficacia delle nuove cure, secondo Antonio Carolei, direttore dell'unità operativa complessa e stroke unit dell'ospedale di Avezzano, in Italia si registra un calo dei casi di ictus. «Dal 1970 ad oggi - ricorda - i casi si sono ridotti del 42% coinvolgendo anche la categoria più a rischio, quella degli over 75».

Ma si può e si deve fare di più - sottolineano Caterina Pistarini (Fondazione Maugeri di Genova), Marzia Baldareschi (Cnr di Firenze) e Maria Giulia Mosconi (Stroke Unit Santa Maria della Misericordia di Perugia) - prendendo in carico il paziente anche dopo l’emergenza e accompagnandolo in tutta la fase post ricovero. Appare tutto da sviluppare, infatti, il capitolo della riabilitazione: in Italia si calcolano circa 800mila persone con disabilità conseguente a ictus. «Desideriamo che la persona colpita da ictus e la sua famiglia siano consapevoli di non essere sole - conclude Nicoletta Reale, presidente di Alice Italia Onlus -. Esistono organizzazioni come la nostra che possono creare informazioni sia creando una rete di contatto con chi ha già vissuto quest'esperienza, sia impegnandosi nella ricerca di soluzioni che assicurino la disponibilità di interventi terapeutici altamente specializzati , una maggiore efficacia delle cure e di conseguenza un miglior investimento delle risorse disponibili».


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