Medicina e ricerca

Immunoterapia dei tumori con CAR-T: il futuro che è già presente

di Franco Locatelli (Full Professor of Pediatrics University of Pavia - Director Department of Pediatric Hematology and Oncology - Irccs Ospedale Pediatrico Bambino Gesù)

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L’immunoterapia costituisce oggi una delle strategie più innovative e promettenti nella ricerca di nuovi strumenti per la lotta contro il cancro, basandosi sul principio di restituire al sistema immunitario, attraverso differenti metodiche, la sua capacità di riconoscere ed eliminare le cellule tumorali, la quale, purtroppo, per meccanismi non del tutto noti, viene persa nei pazienti che sviluppano malattia clinicamente evidente. Uno degli approcci più sofisticati in questo ambito è rappresentato dalla terapia con cellule T esprimenti la molecola cosiddetta CAR (dall’inglese Chimeric Antigen Receptor). Le cellule, o linfociti, T sono, infatti, le più potenti cellule killer (citotossiche) del sistema immunitario. Attraverso sofisticate tecniche di bioingegneria genetica, l’introduzione all’interno del codice genetico dei linfociti T del gene che codifica per un CAR rende i medesimi in grado di legarsi a una molecola espressa sulla superficie della cellula tumorale e, pertanto, di determinarne il riconoscimento quale bersaglio da aggredire. Una volta legata la cellula maligna, il CAR induce l’attivazione dell’arsenale citotossico della cellula T che, infine, induce la morte della cellula tumorale.
Attualmente, il trattamento con CAR T cells è prevalentemente realizzato nell’ambito di studi sperimentali. I pazienti che risultino eleggibili a questi studi, vengono sottoposti, in una prima fase, alla cosiddetta linfocitoaferesi, la procedura che consente di estrarre le cellule T linfocitarie dal sangue periferico. Le cellule vengono, quindi, inviate ai laboratori accreditati per la manipolazione genica, per la produzione in condizioni di Good Manufacturing Prcatices (GMP). In questi laboratori, le cellule vengono modificate geneticamente per esprimere il CAR. Una volta pronte, e superate le analisi di qualità, le cellule CAR-T vengono congelate, per poter essere infuse al paziente al momento opportuno. Il paziente, prima di essere trattato con le cellule CAR T, riceve una trattamento citostatico a basse dosi che ha lo scopo di creare il miglior ambiente per favorire l’espansione delle cellule dei linfociti CAR T. Dopo l’infusione, il paziente viene strettamente monitorato al fine di diagnosticare e gestire precocemente le eventuali tossicità associate.

Infatti, come ogni terapia, anche il trattamento con CAR T può presentare degli effetti collaterali. La più frequente e importante tossicità è la cosiddetta Sindrome da Rilascio Citochinico (CRS), uno stato di infiammazione acuta e sistemica dovuta al rilascio massivo, da parte delle cellule T attivate, dei principali mediatori dell’infiammazione, le citochine. La sintomatologia può essere da lieve, con malessere e febbre, ad estremamente rilevante. Disponiamo, tuttavia, oggi di numerose terapie per il controllo di questa complicanza, dalla terapia steroidea sino ad approcci più specifici quali la somministrazione dell’anticorpo monoclonale Tocilizumab. Altra tossicità importante rilevata con questo approccio è rappresentata dalla neurotossicità, che può essere severa e deve, pertanto, essere attentamente monitorata. Infine, altri effetti collaterali possono insorgere a causa dell’espressione della molecola bersaglio su cellule sane, configurando la cosiddetta tossicità “on-target, off-tumor”. Alla luce di queste tossicità, per aumentare la sicurezza dell’approccio, è possibile inserire durante la modifica delle cellule T un gene, chiamato gene suicida, che agisca da “interruttore di sicurezza”, come nel caso dell’approccio che è stato sviluppato all’Ospedale Bambino Gesù di Roma, nell’ambito dei primi 2 studi accademici sulle cellule CAR T in Italia.

I risultati dei trials clinici condotti in differenti centri, principalmente negli Stati Uniti, hanno dimostrato una straordinaria efficacia delle CAR T cells, specifiche per una molecola chiamata CD19, in pazienti affetti da leucemia linfoblastica acuta e da linfoma non-Hodgkin, dimostrando tassi di remissione completa assai elevati in pazienti ormai resistenti a trattamenti convenzionali. Questi straordinari risultati hanno portato all’approvazione di due di questi prodotti, KymriahTM e YescartaTM da parte degli enti regolatori, americano prima ed Europeo più recentemente. E importanti risultati si stanno ottenendo anche nell’ambito del mieloma multiplo. In campo oncologico, lo scenario è più complesso, dal momento che le caratteristiche biologiche del tumore solido lo rendono più resistente al trattamento con cellule CAR T. Alcune recenti esperienze mostrano, tuttavia, dati incoraggianti nell’uso di linfociti CAR nei neuroblastomi e in alcuni tumori cerebrali.

Questo modello prototipale di medicina personalizzata e di precisione configura l’alba di una vera e propria rivoluzione nella lotta al cancro, ma apre anche un ventaglio di domande e di quesiti che sono stati affrontati in un Convegno che si è tenuto a Roma il 18 dicembre ultimo scorso presso la Biblioteca del Senato “Giovanni Spadolini”. Le principali questioni affrontate hanno riguardato le strategie per rendere queste terapie sempre più fruibili, affrontando il potenziale “collo di bottiglia” rappresentato dalla capacità di produrre cellule per tutti i pazienti che ne hanno bisogno. Si pensi, nel merito, che per le indicazioni a oggi consolidate si stimano nella sola Italia circa 650-700 pazienti per anno. L’aspetto dell’individuazione dei criteri per l’identificazione dei centri dove queste terapie possono/debbono essere erogate non è certo di secondaria importanza. E non da ultimo vi è il problema del costo di questi trattamenti, così sofisticati e personalizzati: per compiutamente stimarli non possiamo certo prendere come esempio terapie, magari largamente costose, ma basate sull’uso di molecole a produzione standardizzata e non “ritagliata” sul singolo paziente. Allo scopo potrà essere utile identificare modelli innovativi di pagamento, basati (anche) sul risultato ottenuto con la terapia e non sul solo trattamento erogato, anche considerando nella stima di rimborso se questi trattamenti costituiscono davvero uno “stand-alone treatment” e non un “bridge”, per quanto straordinariamente utile ad altre terapie. Come si vede, quindi, tante domande, per entrare in una nuova era della terapia del cancro, sempre più efficace e sempre meno gravata da effetti collaterali riconducibili ai classici approcci chemio/radioterapici.


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