Medicina e ricerca

Colangite biliare primitiva, dallo studio Response un farmaco in grado di controllare la malattia

di Pietro Invernizzi*

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La colangite biliare primitiva è una patologia rara e autoimmune del fegato, dovuta ad un’aggressione del sistema immunitario ai danni delle cellule dei dotti biliari, con conseguente distruzione e progressiva cicatrizzazione dei dotti, e quindi colestasi, ovvero la stasi della bile che ristagna all’interno del fegato. E questo è un problema perché la bile è un liquido tossico. I dotti biliari hanno infatti il compito di raccogliere la bile portandola fuori dal fegato, nell’intestino, funzione che nel caso della CBP viene perciò gravemente compromessa. I sintomi precoci più comuni associati a questa patologia sono prurito, letargia e affaticamento cronico, ma la progressione della malattia è associata a un aumento del rischio di tumore epatico, e nelle fasi avanzate può dare insufficienza e scompenso epatico
La patologia viene trattata con una categoria di farmaci di prima linea, gli acidi biliari non tossici, come l’acido ursodesossicolico, assunti per via orale. Tuttavia nel 30-40% dei pazienti circa la terapia di prima linea non permette il controllo della malattia, in questi casi si ricorre all’acido obeticolico oppure ai fibrati, una categoria di molecole che aiutano a controllare la colestasi. Queste ultime terapie possono essere aggiunte, per il momento off-label, all’acido ursodesossicolico.
Purtroppo in alcuni casi neppure queste terapie di seconda linea sono sufficienti, da qui la necessità che la ricerca scientifica prosegua nello sviluppo di ulteriori farmaci. L’obiettivo infatti è quello di avere un più ampio numero di trattamenti a disposizione, affinché la patologia venga completamente spenta e controllata in tutti i pazienti diagnosticati.
Attualmente vi sono diversi studi clinici in corso e tra questi anche Response, adesso in fase tre e al quale partecipa anche l’Italia.
Response è volto a valutare la sicurezza e l’efficacia di seladelpar, un farmaco sperimentale per i pazienti con diagnosi pregressa di CBP ai quali è stato somministrato acido ursodesossicolico, ma che non hanno raggiunto il controllo completo della malattia o non sono in grado di tollerare questo acido.
Il trial, condotto su 180 pazienti in diversi paesi, valuta l’efficacia di azione di seladelpar sullo stesso target molecolare dei fibrati ma in modo più selettivo, in particolare sul recettore PPAR-delta.
I dati ad oggi disponibili, provenienti da studi precedenti, ci danno la speranza di poter disporre domani di un farmaco in grado di controllare meglio la patologia. Si tratta di dati che dovranno essere ovviamente confermati, tuttavia come detto è importante che la ricerca sulla CBP vada avanti in modo da poter garantire a tutti i pazienti un trattamento adeguato alle loro necessità.

*Ordinario in Gastroenterologia all’Università Milano-Bicocca e Responsabile U.O.C. Gastroenterologia e Centro “European Reference Network, Rare Liver”, per le Malattie Autoimmuni del Fegato, Ospedale San Gerardo di Monza


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