Medicina e Ricerca

Emergenza epatiti, arriva il Piano nazionale

di Barbara Gobbi

Servono dati precisi, prevenzione mirata, più comunicazione ai pazienti, una revisione dell'organizzazione dei centri di cura e farmaci erogati in base a criteri costo-efficacia. Servono tutti questi ingredienti, per mettere in campo una strategia d'attacco alle epatiti. E, naturalmente, servono soldi. Tanti e bene allocati. C'è tutto questo nel Piano nazionale contro le epatiti messo a punto dalla Consulta di esperti istituita a luglio al ministero della Salute dopo un'azione di pressing parlamentare, e presentato il 28 novembre al ministro Balduzzi per essere avviato su una "rampa di lancio" che prevede il passaggio in Consiglio superiore di Sanità e poi in Conferenza Stato-Regioni.
Un passo avanti cruciale, visto che sulla stesura di un Piano (il primo) l'Italia era in ritardo e visto il quadro drammatico che ci caratterizza, soprattutto sul fronte del virus Hcv: l'Italia è il Paese europeo con il maggior numero di soggetti Hcv positivi e detiene il triste primato di mortalità in Europa per tumore primitivo del fegato. Il Piano affronta cinque priorità: maggiore conoscenza del profilo epidemiologico nazionale delle infezioni croniche da virus B e C e dell'epatite e miglioramento dei sistemi di sorveglianza; riduzione delle infezioni grazie alla prevenzione della trasmissione grazie a screening e vaccinazioni; formazione e informazione degli operatori e delle categorie a rischio; miglioramento e rafforzamento dell'accesso alle cure; miglioramento della qualità di vita dei pazienti e delle loro famiglie.
Proprio da queste indicazioni ha preso le mosse la celebrazione in Italia della Giornata mondiale delle epatiti , organizzata a Palazzo Madama dall'Associazione parlamentare per la tutela e la promozione del diritto alla prevenzione - presieduta dal senatore Antonio Tomassini - e da Ace, l'Alleanza contro le epatiti nata dall'iniziativa del presidenti delle Onlus Fire ed Epac, rispettivamente Antonio Gasbarrini e Ivan Gardini. Sullo sfondo, il grande tema della sostenibilità delle cure, in tempi di spending review. «Gli ultimi dati epidemiologici – ha esordito Tomassini – rendono indispensabili e urgenti interventi a sostegno degli ammalati e delle famiglie. Ma non si può ignorare l'allarme-sostenibilità lanciato dal premier Monti: occorre applicare con un criterio di appropriatezza le direttrici contenute nel Piano triennale, assistendo i malati secondo una "gradualità" di cura che destina risorse e farmaci nel modo più intelligente e idoneo. Il tutto, per le epatiti come per le altre malattie, tenendo conto che oggi anche per il Ssn va ricostruita una scala di priorità dei valori, che non può prescindere dalla revisione dei Livelli essenziali di assistenza nel prossimo Patto per la Salute e dal ricorso a quello strumento fino a oggi sotto-utilizzato che sono i fondi integrativi».
Anche la lotta alle epatiti, insomma, dovrà fare i conti con cordoni della borsa strettissimi. A guardare i dati, tremano i polsi: degli 1,5 milioni di malati in Italia (180 milioni nel mondo), 300mila casi matureranno cirrosi importanti che potranno, come estrema soluzione e magari dopo una lunga fase silente della malattia, obbligare al trapianto. E se l'Italia su questo fronte presenta un profilo eccellente, come ha ricordato il direttore del Cnt Alessandro Nanni Costa, neanche il sistema complesso dell'allocazione degli organi e del funzionamento dei centri è esente da politiche di spending review e di razionalizzazione.
«La revisione dell'assistenza - in un'ottica "hub&spoke" - deve poi fare i conti con la cronicizzazione delle patologie e con la disparità di prevalenza a livello nazionale», precisa Massimo Colombo, professore di Gastroenterologia a Milano e membro della Consulta ministeriale che ha redatto il Piano. Se è vero che l'incidenza dei casi di epatite acuta da Hbv nella popolazione italiana si è ridotta progressivamente, grazie anche all'introduzione del vaccino di massa nel 1991, negli ultimi cinque anni si assiste a una ripresa dovuta principalmente ad "apporti" della popolazione straniera.
I dati sulla prevalenza di positività per l'Hcv (superiore al 3% nei soggetti nati prima del 1950 e più bassa tra i giovani, seppure pratiche come tatuaggi e piercing comportino il rinnovarsi del rischio) scontano soprattutto una profonda differenza territoriale, con una prevalenza che varia dall'8% al 2% tra le aree meridionali e insulari rispetto a quelle del Centro e del Nord. Una disparità che riflette interventi a più velocità, soprattutto sul fronte prevenzione, da parte delle amministrazioni regionali.
Intanto, i pazienti possono salutare new entry nel panorama delle terapie: proprio in questi giorni è attesa la pubblicazione in "Gazzetta" della deliberazione con cui il 3 agosto scorso Aifa ha autorizzato due nuove terapie. Terapie per le quali, come ha ricordato Americo Cicchetti, professore di Organizzazione aziendale all'Università Cattolica di Roma, «è stimata una spesa di almeno 220 milioni di euro. I nuovi farmaci - aggiunge - sono stati valutati anche sulla scorta di "errori" compiuti in realtà importanti come gli Stati Uniti, dove l'introduzione dei farmaci non avrebbe tenuto adeguatamente conto di una valutazione costo-efficacia. «Ora l'importante - ricordaTonino Aceti, responsabile del coordinamento nazionale delle Associazioni di malati cronici - è che i pazienti possano beneficiare delle nuove terapie in tempi rapidi, senza dover aspettare mesi e mesi per la distribuzione delle nuove molecole sul territorio».