Medicina e Ricerca

Hiv: completa remissione dell'infezione in una bimba curata con un cocktail di antiretrovirali entro 30 ore dalla nascita


Remissione completa dell'infezione da Hiv in una bimba che aveva ricevuto la terapia antiretrovirale entro 30 ore dalla nascita e che oggi ha 26 mesi. È il primo caso al mondo, descritto ieri da un team di ricercatori della Johns Hopkins, dell'Università del Mississippi e dell'Università del Massachussetts, nel corso della 20esima Conferenza di Atlanta sui retrovirus e le infezioni opportunistiche (Croi) . La scoperta potrebbe aiutare a lavorare per l'eliminazione dell'Hiv nei bambini.

La virologa del Johns Hopkins Children Center, Deborah Persaud (nella foto), ha diretto la squadra dei ricercatori di laboratorio, mentre la specialista in Hiv pediatrico Hannah Gay dell'Università del Mississippi Medical Center ha somministrato la cura alla neonata. I ricercatori sono convinti che sia stata la rapidità della somministrazione del trattamento antivirale la causa più probabile del successo della cura, che è riuscita ad arrestare la formazione dei serbatoi virali, cellule dormienti responsabili della riacutizzazione dell'infezione nella maggior parte dei pazienti poche
settimane dopo l'interruzione della terapia (leggi l'abstract della presentazione ).

«La terapia antivirale nei neonati, che inizia a pochi giorni di esposizione, può aiutarli a eliminare il virus e a raggiungere una remissione a lungo termine, impedendo così la formazione di nascondigli virali», spiega Persaud. Esattamente ciò che è accaduto nella bambina descritta nella ricerca, che ora è considerata "funzionalmente guarita", una condizione che si verifica quando un paziente raggiunge e mantiene una remissione a lungo termine - in assenza di trattamento per tutta la vita - e i test clinici standard non riescono a rilevare la replicazione virale nel sangue. Non si tratta della completa eradicazione di tutte le tracce virali dal corpo (cura sterilizzante), ma la presenza virale è talmente minima che resta invisibile ai test standard e rilevabile soltanto con metodi ultrasensibili.

La bambina protagonista del caso descritto ad Atlanta è nata in un ospedale rurale nel luglio 2010. Poiché sua madre era risultata positiva al test Hiv e non aveva ricevuto alcun trattamento prenatale, i medici sapevano che era ad alto rischio di infezione. Hanno allora deciso il trasferimento al Medical Center dell'Università del Mississippi, a Jackson, dove ha incontrato Hannah Gay. La dottoressa ha somministrato alla bambina un cocktail di tre farmaci - Azt, lamivudina e nevirapina - quando aveva appena trenta ore di vita. Due esami del sangue somministrati entro le prime 48 ore hanno confermato che la bimba era infetta.

In genere, quando una madre sieropositiva ha assunto farmaci per ridurre il rischio di trasmissione del virus al suo bambino, al neonato si somministra un unico farmaco, la nevirapina. I ricercatori credono quindi che a fare la differenza, stavolta, sia stata l'assunzione del cocktail nelle primissime ore di vita. Perché la presenza virale è calata progressivamente fino a raggiungere livelli non rilevabili 29 giorni dopo la nascita. La piccola è rimasta in terapia fino a 18 mesi. A quel punto ha saltato il follow up per qualche tempo, interrompendo la cura. Dieci mesi dopo lo stop, la bambina è stata ripetutamente sottoposta a esami del sangue, senza che rilevassera la presenza del virus. Anche i test anticorpo-specifici hanno dato lo stesso risultato.

«Il nostro prossimo passo è quello di scoprire se questa è una risposta insolita o qualcosa che si può effettivamente replicare in altri neonati ad alto rischio», conclude Persaud. La ricerca è stata finanziata dai National Institutes of Health americani e dall'Amfar (American Foundation for Aids Research).

Di «evento eccezionale» parla l'immunologo Fernando Aiuti, che però invita alla cautela. «La bimba ha solo due anni e mezzo ed è dunque troppo presto per poter dire che sia definitivamente guarita. Il virus dell'Hiv potrebbe, infatti, essere ancora presente in tessuti o organi come milza,
midollo e mucosa intestinale. Per scovarlo sarebbero necessari esami invasivi come la biopsia. Ci vorrà del tempo per confermare la diagnosi di guarigione».

Per Aiuti, va inoltre ricordato che «oggi fortunatamente solo il 20% dei bambini si infetta alla nascita, e questo grazie alle terapie che vengono praticate sulle donne sieropositive durante la gravidanza. Si tratta dunque di casi in numero ridotto soprattutto in Occidente».