Medicina e ricerca

VI Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici: la migrazione sanitaria è legata soprattutto al cancro. Tutela della fertilità per i pazienti

Ogni giorno 1000 nuove diagnosi e 470 decessi. Il cancro è una vera e propria epidemia. Ma il sistema oggi non è in grado di rispondere in modo adeguato alle esigenze di questi malati e delle persone che hanno ormai superato la malattia, i cosiddetti lungosopravviventi, pari a circa 2 milioni. Sono ancora troppe le discrepanze territoriali. Ogni anno quasi 800mila italiani colpiti dal cancro sono costretti a cambiare Regione per curarsi. Soprattutto dal Sud verso il Nord: dalla Campania 55mila persone, dalla Calabria 52mila, dalla Sicilia 33mila, dall'Abruzzo 12mila e dalla Sardegna 10mila. Il valore economico annuo di queste migrazioni sanitarie è pari a 2 miliardi di euro. Gli strumenti per migliorare la situazione esistono, ma non sono applicati. Il Piano Oncologico Nazionale 2011-2013 non è ancora stato realizzato.

Sono questi i dati illustrati da FAVO (Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia), alla presentazione del VI Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, oggi al Senato nel corso della IX Giornata nazionale del malato oncologico.

«La prossima approvazione del Patto della Salute - ha detto il presidente FAVO, Francesco De Lorenzo - deve necessariamente includere anche questo documento, per garantire ai malati di cancro il diritto alla riabilitazione e al sostegno psicologico».
«È arrivato il momento di credere nelle riforme – sottolinea De Lorenzo -. Senza il recepimento dei principi contenuti nel Piano Oncologico Nazionale, il Patto della Salute finirebbe con il penalizzare i malati di cancro in tutta Italia. La situazione fotografata nel VI Rapporto richiede urgenti disposizioni normative, anche in tema di tutela della fertilità, e risorse da destinare ai servizi. Il cancro rappresenta la prima causa di accettazione delle domande di inabilità e disabilità, con conseguenze inevitabili sul piano lavorativo e sociale».

È necessario agire su piani diversi, a partire dalle liste di attesa che, per la chirurgia oncologica, raggiungono una media di 60 giorni. Con conseguenze sulla salute dei malati e con oneri aggiuntivi dovuti al ricorso alle strutture private.

«Secondo i dati 2009 delle schede di dimissione ospedaliera dalle strutture di chirurgia oncologica del tumore alla mammella riportati in Oncoguida - conclude De Lorenzo -, nel Lazio 53 su 100, nel Veneto 15 su 61 e in Emilia Romagna 27 su 58 hanno trattato meno di 15 casi. Per il tumore del colon retto, nel Lazio 43 su 106 strutture, nel Veneto 16 su 62 e in Emilia Romagna 35 su 75 hanno trattato meno di 15 casi. È chiaro che andrebbero riconvertite, perché non rispondono a livelli sufficienti di esperienza. È evidente anche la disomogeneità territoriale nella distribuzione degli acceleratori lineari (linac), apparecchiature fondamentali per i trattamenti radioterapici. Alcune Regioni raggiungono, a volte superandoli, gli standard europei che prevedono dalle 7 alle 8 macchine di alta energia per milione di abitanti, altre invece sono molto al di sotto di questi parametri. In Italia vi sono complessivamente 377 acceleratori lineari, che devono essere utilizzati da almeno 228mila persone. Nelle regioni del Nord si trovano 184 apparecchiature, pari a 6.7 per milione di abitanti, nel centro 99, pari 7.4 per milione di abitanti, nel Sud ed isole 94, pari a 4.9 per milione di abitanti».

Il diritto alla fertilità
L'obiettivo è lo zero per cento. Entro due anni, nessun paziente con diagnosi di cancro in età riproduttiva dovrà essere escluso da una consultazione sulla preservazione della fertilità. Oggi purtroppo non è così: molti malati infatti non vengono informati sulle tecniche esistenti e perdono la possibilità di diventare genitori. Nel 2013 si sono registrate in Italia 366mila nuove diagnosi di cancro, 14.000 fra i 20 e i 39 anni.

Il VI Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, presentato oggi al Senato nel corso della IX Giornata nazionale del malato oncologico, definisce "l'attenzione alla fertilità" come uno dei bisogni essenziali del paziente con tumore. «Tutti i metodi per preservarla – spiega De Lorenzo -. devono essere fruibili attraverso il Sistema Sanitario Nazionale. Servono campagne di sensibilizzazione rivolte sia agli specialisti che ai pazienti, un nuovo modello organizzativo e la modifica delle norme esistenti che regolano l'accesso alle procreazione medicalmente assistita».

«La progettualità del ‘dopo il cancro' - continua Elisabetta Iannelli, segretario FAVO - è motivo di vita e recupero di energie anche ‘durante la malattia' ma, purtroppo, il tema della preservazione della fertilità è troppo spesso sottovalutato o misconosciuto. Per tale motivo è necessario che si operi in due direzioni. Da un lato, va creata la rete organizzativa dei centri, sulla base di un modello definito ‘Hub & spokes', con poche strutture specializzate, alle quali devono far riferimento altri centri connessi, come i raggi di una ruota. In tal modo si creerà un sistema efficiente ed efficace, senza spreco di risorse ed un'immediata attivazione e potenziamento delle strutture già operanti in Italia. Dall'altro lato, è necessario consentire, sotto una stretta sorveglianza dell'oncologo e del ginecologo, la prescrivibilità ai pazienti dei farmaci necessari per le pratiche di conservazione della fertilità».

Gli italiani fino a 44 anni che vivono dopo una diagnosi di tumore sono circa 200.000. Questi numeri includono sia i lungosopravviventi e guariti a una neoplasia infantile, sia le persone a cui è stata diagnosticata la malattia tra 15 e 44 anni. In una lettera inviata al Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, Società scientifiche (Associazione Italiana di Oncologia Medica - AIOM, la Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia - SIGO e Società Italiana Ospedaliera Sterilità - SIOS) e associazioni dei pazienti (FAVO, Salute Donna, ANDOS) hanno chiesto un intervento urgente delle Istituzioni perché «alle chance di cura e guarigione – si legge nella lettera - non può non corrispondere una pari tutela della fertilità e quindi della realizzazione della progettualità familiare che in molti casi è oggi possibile grazie alle tecniche esistenti di preservazione della fertilità». Ad esempio, ogni anno nel nostro Paese circa 2500 donne under 40 sono colpite da tumore al seno e più di un terzo di loro non ha ancora avuto figli. Però solo il 10% ricorre a queste tecniche e il 90% perde l'opportunità di diventare madre.

«Per anni – afferma Annamaria Mancuso, presidente Salute Donna -, la fertilità futura dei pazienti oncologici è stata considerata alla stregua di un capriccio, a volte ritenuto addirittura pericoloso per la stessa sopravvivenza, tuttavia si stanno moltiplicando gli sforzi per preservare la fertilità futura. L'impegno è tale che è stato coniato il termine ‘Oncofertilità' per definire una nuova disciplina, frutto dell'incontro tra Oncologia e Medicina della Riproduzione. È importante che tutti i pazienti con diagnosi di cancro in età riproduttiva vengano adeguatamente informati del rischio di riduzione della fertilità a causa dei trattamenti antitumorali e, al tempo stesso, delle strategie oggi disponibili per limitare questa possibile conseguenza. Ad esempio, nelle schede tecniche contenute nelle confezioni dei farmaci tossici per ovaio e testicolo, non vi è traccia del fatto che potrebbero determinare la perdita della capacità riproduttiva in entrambi i sessi».

Le tecniche standard o sperimentali di preservazione della fertilità, che possono essere effettuate presso i centri di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA), sono il congelamento del liquido seminale o del tessuto testicolare per gli uomini e la criopreservazione degli ovociti, degli embrioni o del tessuto ovarico nelle giovani donne. Il materiale biologico può rimanere crioconservato per anni ed essere utilizzato quando il paziente ha superato la malattia. «I malati oncologici – sottolinea il prof. Stefano Cascinu, presidente AIOM - devono accedere con semplicità alle informazioni sull'impatto che le terapie possono determinare. L'intento che perseguiamo è quello di una capillare diffusione dell'informazione sulla possibilità semplice e concreta di conservare cellule o tessuti riproduttivi. Occorre quindi attuare un piano formativo per le professioni sanitarie, a cominciare dai medici. L'AIOM e la SIGO sono impegnate in un'attività congiunta per la formazione dei medici specialisti e, con l'Istituto Superiore di Sanità, per la diffusione su tutto il territorio nazionale della cultura della protezione della fertilità nei pazienti con tumore».

«Inoltre – afferma De Lorenzo - tutti questi metodi devono uscire da un'area grigia in cui non è ben chiaro se e quali procedure siano consentite, in quali circostanze e per quale tipologia di pazienti. Ad esempio, la conservazione degli ovociti richiede l'accesso a procedure di stimolazione ovarica, prelievo e congelamento che non sono disponibili in tutte le strutture». Questi metodi sono praticati in centri pubblici e privati che trattano casi di sterilità di coppia con tecniche di fecondazione assistita, sulla base della Legge 40/2004, che però non prevede l'accesso alle procedure per prevenire la sterilità.

«Occorre quindi – spiega ancora Cascinu - che sia prevista la possibilità di effettuarle all'interno delle strutture autorizzate su indicazione congiunta degli oncologi e dei ginecologi. Inoltre i farmaci utilizzati per proteggere le ovaie in caso di chemioterapia, regolati dalla Nota AIFA 51, o per stimolare la produzione di ovociti, disciplinati nella Nota AIFA 74, non rientrano tra quelli prescrivibili per questo specifico scopo. Pertanto, quando somministrati, devono essere pagati dalla paziente, nonostante numerose prove scientifiche abbiano dimostrato la loro sicurezza ed efficacia. Trattandosi di trattamenti costosi, il medico è costretto, sotto sua responsabilità, a prescriverli attraverso un'interpretazione estensiva delle indicazioni. Una riscrittura delle due Note AIFA, consentirebbe a queste pratiche terapeutiche diffuse ed efficaci di uscire dalla semi-clandestinità in cui sono mantenute».

L'Istituto Superiore di Sanità con il Registro della PMA è da anni impegnato in numerosi progetti di ricerca mirati alla diffusione della cultura della preservazione della fertilità nei pazienti oncologici. Inoltre, per facilitare l'individuazione delle strutture con un'unità dedicata specificamente alla preservazione della fertilità dei pazienti oncologici, il Registro della PMA ha eseguito un censimento coinvolgendo tutti i Centri di PMA iscritti al Registro, suddivisi per Regione di appartenenza e tipologia di servizio offerto. Il censimento si è proposto due obiettivi: individuare e mappare le strutture che operano in questo campo e quantificare la mole di attività svolta finora in Italia.

«La creazione di un elenco delle strutture che offrono il servizio di preservazione della fertilità – conclude Fulvia Pedani, coordinatore ANDOS (Associazione Nazionale Donne Operate al Seno) -, con diverse informazioni che verranno costantemente implementate, renderà più semplice la scelta della struttura di riferimento sia per gli operatori oncologi che devono mettersi rapidamente in contatto con i medici della riproduzione, che per i pazienti che avranno maggiori strumenti decisionali, in un momento della loro vita in cui, nei tempi più brevi possibili, devono operare scelte fondamentali per il loro futuro».