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Procreazione: appello di 29 laici al premier Monti. «Il Governo non presenti ricorso»

Medici come Carlo Flamigni, bioeticisti come Maurizio Mori, politici come Franco Grillini, giuristi come Marilisa D'Amico. Sono 29, tutti di impostazione laica, i firmatari della lettera al premier Mario Monti con cui si chiede al Governo di non proporre ricorso contro la sentenza della Corte europea dei diritti umani , che il 28 agosto scorso ha bocciato la normativa italiana in materia di fecondazione assistita e in particolare il divieto di diagnosi pre-impianto sugli embrioni.

«Presentarlo - scrivono i 29, che hanno lanciato una petizione - potrebbe innanzitutto far credere che in Italia non si possono effettuare, in base alla legge 40, le diagnosi preimpianto». Di fatto invece, ricordano, «diagnosi del genere vengono praticate alla luce del sole da una dozzina di strutture specializzate diffuse sul territorio nazionale (con la copertura dell'art. 2 della Costituzione)». Gli esperti parlano poi di «indubbia contraddizione evidenziata dalla Corte di Strasburgo tra il disposto della legge 194/1978 e quello della legge 40/2004. È assurdo vietare la diagnosi preimpianto ai portatori sani di malattie genetiche, considerato che la legge 194/1978 stabilisce che la diagnosi di malconformazione fetale, quando determina un rischio per la salute psicologica della madre, autorizza la scelta di interrompere la gravidanza"».

In terzo luogo, concludono segnalando che «il fatto che il giudizio della Corte europea dei diritti umani non sia nella fattispecie mosso da un precedente pronunciamento della magistratura italiana costituisce un significativo e concreto passo verso il principio che i diritti umani vengono garantiti in ambito europeo senza il bisogno dalla preventiva intermediazione dei singoli Stati, una intermediazione che obiettivamente è un freno concettuale e temporale nei confronti della cittadinanza europea».