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Il costo del cancro nell'Unione europea è pari a 124 miliardi di euro ogni anno. Solo il 36% è dovuto a farmaci, ricoveri e interventi chirurgici. Il 44% infatti è da ricondurre alla mancata produttività dei malati e il 20% a quella dei familiari. La lotta ai tumori passa anche attraverso una corretta pianificazione della spesa. Nel mondo nel 2010 le uscite complessive per i pazienti oncologici sono state pari a 290 miliardi di dollari. Ma in Italia manca ancora una stima delle risorse necessarie a curare la malattia, indispensabile per poter redigere un budget annuale da assegnare all'oncologia e far fronte alle difficoltà create dalla spending review.

Per questo l'Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) ha promosso uno studio per analizzare la spesa farmaceutica oncologica
negli ultimi 3 anni in Italia e nelle singole Regioni. Il problema dell'uso razionale delle risorse è al centro della I Conferenza nazionale dell'oncologia clinica italiana, che riunisce a Roma fino al 25 maggio le tre principali società scientifiche che si occupano di patologie neoplastiche, l'Aiom, l'Airo (Associazione italiana di radioterapia oncologica) e la Sico (Societa' italiana di chirurgia oncologica).


"E' necessario realizzare una vera integrazione fra le varie discipline, che deve diventare lo standard di riferimento nella cura di una malattia che ogni anno in Italia fa registrare 364mila nuovi casi e 175mila decessi - afferma Stefano Cascinu, presidente Aiom . E lo strumento è rappresentato dalle reti oncologiche regionali. Vogliamo procedere a una revisione critica delle strutture esistenti sul territorio nazionale. Solo così potremo risparmiare e garantire alti standard qualitativi su tutto il territorio. Finora però ha visto la luce solo il 5% dei progetti iniziali per la costruzione di questi network. Serve una svolta, perché i costi cominciano a diventare insostenibili".

L'Aiom vuole chiarire i costi di ogni neoplasia nel nostro Paese . "Il nostro studio sulla spesa farmaceutica - spiega Cascinu - è un'iniziativa indispensabile per definire l'entità del budget nazionale per l'oncologia e capire come le nuove terapie possano essere introdotte bilanciando l'aggravio finanziario con i risparmi, legati anche all'impiego di farmaci
generici e biosimilari. In questo modo potremo offrire alle Istituzioni uno strumento per distribuire al meglio i fondi''.
Le percentuali di guarigione dal cancro sono in crescita: la sopravvivenza media a 5 anni dalla diagnosi è del 52% fra gli uomini e del 61% fra le donne. Grazie alla diagnosi precoce, all'innovazione tecnologica in radioterapia e ai nuovi farmaci, sempre piu' efficaci. Ma l'innovazione ha un costo. "E' recente l'appello che 120 ematologi di 15 Paesi hanno firmato perche' le case farmaceutiche abbassino il prezzo dei nuovi farmaci - continua Giovanni Mandoliti, presidente Airo. "Ma - dice - gli specialisti hanno anche chiesto che si firmi un'alleanza tra tutti gli attori coinvolti, dalle aziende alle istituzioni alle associazioni dei pazienti fino alle società scientifiche. Il rischio paventato è quello di lasciare molti pazienti sottotrattati o senza terapia per l'impossibilità di far fronte alla spesa richiesta dai nuovi farmaci e dall'implementazione delle apparecchiature per radioterapia. Anche nel nostro Paese è importante cominciare ad affrontare il problema e proporre soluzioni".

Realizzare percorsi diagnostico-assistenziali uniformi è fondamentale sia per garantire pari opportunità ai malati che per utilizzare al meglio le risorse. "E' dimostrato - conclude Alfredo Garofalo, presidente Sico - che la sopravvivenza aumenta quando i pazienti sono seguiti in centri
specializzati. E il sistema delle reti oncologiche regionali permette di trattare i casi più complessi nelle strutture meglio attrezzate e
con più esperienza. Senza costringere i malati ad affrontare i cosiddetti viaggi della speranza. All'interno del network infatti ogni ospedale deve gestire i casi 'ordinari', attivando un continuo dialogo fra oncologo, radioterapista, chirurgo, patologo e tutte le altre figure coinvolte per una presa in carico complessiva del malato. A livello regionale, poi vanno creati percorsi di confronto fra strutture. In questo modo i pazienti più complicati dovranno forse spostarsi ma non troppo lontano e saranno trattati nei centri con maggiore esperienza in base alla patologia. Un modello già adottato con successo in Gran Bretagna''.