Notizie-Flash

Sanità privata Lombardia: «Modello virtuoso. Cambiare sì, distruggere no»

«Nel pensare al futuro della sanità lombarda non si devono creare danni». La sanità privata lombarda è sulle barricate: la riforma in cantiere, chiedono le associazioni di categoria, «non deve distruggere un modello che si è rivelato nel complesso vincente. Il sistema va migliorato», ammettono i privati, alla luce delle esigenze che cambiano e del peso crescente dei malati cronici. Ma va fatto «con una strategia, non con etichette». È questo il messaggio lanciato oggi in occasione del convegno "Quale futuro per la sanità lombarda?", a Milano nella sede di Assolombarda, con una presentazione dei dati dell'Osservatorio sanità privata del Cergas Bocconi e una tavola rotonda fra alcuni dei protagonisti del sistema, tra cui il direttore generale della Sanità lombarda, Walter Bergamaschi.
A tirare le somme Gabriele Pelissero, presidente dell'Aiop: «Il sistema sanitario di questa regione, sia pubblico che privato, è la fotografia di un modello preciso, il modello lombardo che con le sue peculiarità ha prodotto risultati», assicura. Il privato rappresenta il 37% del fatturato ricoveri (il 33% del numero di ricoveri), vanta l'80% degli Irccs della regione e il 57% della produzione riguarda pazienti provenienti da altre Regioni, riassume Dario Beretta, Dg dell'Istituto clinico San Siro, che parla di un futuro per la sanità privata lombarda di un colore «a scelta fra il nero e le varie sfumature del grigio».

Il privato dà lavoro a più di 40mila persone.
«Non possiamo più permetterci l'ideologia del "privato versus pubblico", perché costa», ammonisce anche Ivan Colombo, presidente di Confindustria Lombardia Sanità Servizi. «Se succedesse qualcosa una di queste due componenti sarebbe una catastrofe», avverte Pelissero. «Si rischia un effetto domino a toccare con mano infelice questo sistema». In Lombardia, ricorda Pelissero, «abbiamo mantenuto l'equilibrio del bilancio e sul fronte dell'attrattività la Regione è stata per 11-12 anni leader assoluto, seguita da Emilia Romagna e Toscana. Nel 2012 si sono spostate 775 mila persone per un ricovero ed è un fenomeno in crescita. Pur con i tagli la Lombardia è riuscita a mantenere la leadership. E questo è un merito. La forza di questo sistema è data dalla libertà di scelta (unica alternativa sarebbe la burocrazia che sceglie per il cittadino); dalla parità fra gli erogatori e non l'integrazione, cioè pari diritti e pari doveri per pubblico e privato. E ancora: il pagamento a prestazione e la competizione». In questo quadro, «il risparmio che genera il privato al Ssr è forte. Se si danneggia l'essenza del modello lombardo, per errore o deliberatamente, può succedere una catastrofe», ripete.

Il Libro Bianco che divide.
«Siamo molto preoccupati». Una preoccupazione che in qualche modo si lega ai contenuti Libro bianco, in cui la Regione ha riassunto le linee da seguire per il riordino del Ssr, e che è stata messa nero su bianco in un documento firmato dalla stessa Confindustria lombarda con le associazioni di categoria della sanità privata Aiop, Anisap Lombardia e Aris. Dentro vi sono osservazioni sui punti visti come critici (dalla figura dell'Azienda integrata per la salute che «viola i principi di parità fra gli erogatori e minerebbe la trasparenza dei bilanci», alla sperimentazione dei Creg che «deve proseguire» ed essere "aperta agli erogatori privati accreditati"), indirizzate al governatore Roberto Maroni. Ma il primo rilievo, spiega Pelissero, «è non aver trovato una riga sui dati economici nel Libro bianco. Sicuramente ci sono spazi di efficientamento, ma dentro a un disegno di riforma mi aspetto prima la stima e la definizione di questi spazi e poi la spiegazione di come riutilizzare le risorse che si liberano. Non vorrei che venisse in mente di ridurre gli stanziamenti per gli acuti e la riabilitazione per fare qualcosa che va di moda oggi. Questo genererebbe una rivolta, dei cittadini intendo».

Nessun aut aut alla Regione.
Sulla cronicità c'è ancora da lavorare, ammette Pelissero. «Non c'è dubbio che le nostre strutture di alta specialità potrebbero garantire molto bene una continuità assistenziale a un paziente cronico anche quando torna a casa. Non può che essere una struttura specialistica a stabilire il percorso». Come privati, aggiunge il numero uno dell'Aiop, «siamo capaci di organizzare sistemi di medicina di iniziativa funzionali ed efficienti e speriamo che la Regione ci dia la possibilità di farlo». Ma «servono risorse. E non si può pensare di toglierle a qualcosa che va bene. Staremo a vedere qual è la capacità della Regione di recuperarne di più. Certo speravamo che col Patto della Salute almeno ci fosse una stabilizzazione».
Pelissero chiarisce che quello dei privati «non è un aut aut alla Regione, è il tentativo di lavorare tutti insieme nel modo giusto». Ma il manager puntualizza anche di non vedere di buon occhio «la scuola di pensiero di chi pensa di risolvere la crisi spegnendo il confronto e la competitività, centralizzando. Chi dice "rafforzo il pubblico, dò un calcio ai privati, chiudo le frontiere"». Un messaggio alla Lega? «Non sono uno studioso dei modelli di questo o di quel partito, ognuno può trarre il suo giudizio - risponde - C'è anche un'eco nazionale in tutto questo. Due anime si contrappongono un po' in tutta Italia. E questo Paese deve decidere se va verso un'apertura o una chiusura, non solo in sanità».
In conclusione, «il sistema lombardo va migliorato con una strategia, non con le etichette che è la stessa logica che vedo nel decreto nazionale sugli standard ospedalieri, contestato anche dalla Regione Lombardia». Un provvedimento, aggiunge Beretta, «che oltre a prevedere per le strutture private la non accreditabilità sotto i 60 posti letto per acuti, prevede standard minimi e massimi per singole discipline e volumi minimi di attività per determinati interventi». La sfida, chiude Pelissero, «alla fine la vincerà chi riesce a fare il modello migliore e più gradito dai cittadini».