Aziende e Regioni

Rapporto delle Regioni: per la sicurezza sul lavoro serve una regìa

Quasi 500mila aziende ispezionate in tutti i comparti produttivi, 646.450 sopralluoghi effettuati, 166mila violazioni riscontrate. E ancora: 52.568 indagini di polizia giudiziaria per infortuni sul lavoro, di cui 17mila con violazioni delle normative in materia e quasi 176 milioni di sanzioni comminate.

Sono questi - per il triennio 2009-2011 - i grandi numeri dell'attività di prevenzione nei luoghi di lavoro, assegnata alle Regioni dalla legge istitutiva del Ssn ma decisamente implementata dai Governi locali solo in omaggio alle previsioni del Dlgs 81/2008.

Il consuntivo in un rapporto (anticipato su Il Sole-24 Ore Sanità n. 10/2013: VEDI) messo a punto dalla Conferenza delle Regioni che documenta - nel triennio - una diminuzione del 35% del numero di infortuni sul lavoro registrati a livello nazionale e un calo del 61% di incidenti mortali. Un risultato positivo, che rappresenta però soltanto un punto d'avvio dopo una lunga trascuratezza anche da parte delle amministrazioni pubbliche. «Il lavoro da svolgere resta ancora lungo e impegnativo», sottolinea nella presentazione il presidente dei governatori, Vasco Errani, convinto che sia necessario «sostenere» con una «leale collaborazione Stato-Regioni» l'azione regionale e delle Asl «per consolidare i risultati ottenuti e realizzare gli interventi che consentano un'ulteriore significativa riduzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali».

Nonostante i risultati estremamente lusinghieri infatti (la piena copertura dei Livelli essenziali di assistenza, consistente nel controllo di almeno il 5% delle unità locali con dipendenti o equiparati, è stata raggiunta e superata dal 2009, attestandosi stabilmente a livelli superiori al 6,6%) i problemi non mancano.

Illegalità nel mirino. Nel mirino c'è per prima cosa la necessità di sviluppare il controllo dell'illegalità, in particolare per quanto riguarda la regolarità dei rapporti di lavoro, che - non manca di sottolineare il rapporto delle Regioni - «introduce un elemento di concorrenza sleale nei confronti delle aziende virtuose». Ma serve anche la semplificazione delle norme, senza ridurre i livelli di tutela, per adeguarle anche alle necessità delle piccole e micro-imprese che rappresentano la maggior fetta del sistema produttivo e che sono state le più colpite dalla crisi economica.

Le azioni. Per adeguare il passo - si suggerisce - è indispensabile uno sviluppo omogeneo del Sistema informativo nazionale della prevenzione (Sinp) e di quello di controllo delle malattie professionali. Ed è proprio il 2011, secondo il rapporto, il primo anno di vera e propria attuazione dei progetti di prevenzione redatti dalle Regioni sulla base delle indicazioni del Piano nazionale di prevenzione 2010-2012. Secondo le relazioni inviate dalle Regioni al ministro, per ora 64 piani (93%) sono stati regolarmente avviati, mentre solo 5 sono stati rinviati, totalmente o parzialmente, al 2012: il 97% degli obiettivi di processo e/o risultato dei progetti risulta quindi raggiunto. Il rapporto analizza poi nel dettaglio due dei settori maggiormente a rischio sulla sicurezza del lavoro: edilizia e agricoltura.

L'edilizia. Per quanto riguarda il piano nazionale di prevenzione in edilizia si è raggiunta una programmazione uniforme in tutte le Regioni, con formazione diffusa degli operatori delle Asl, lotta al lavoro nero, sviluppo di modelli innovativi di controllo nei cantieri e definizione di un piano di valutazione completo di indicatori e standard.

Ma i problemi non mancano: le prime relazioni di attività hanno censito un 61% di lavoratori e un 78% di imprese edili irregolari, con una media di 2 lavoratori irregolari per ogni azienda; le cadute dall'alto - legate nella quasi totalità dei casi al mancato rispetto delle norme di sicurezza nei cantieri - restano la prima causa anche di infortunio mortale.

L'agricoltura. Per quanto riguarda il settore dell'agricoltura, gli obiettivi nazionali prevedono anagrafi aggiornate delle aziende agricole in tutte le Asl, l'attivazione di programmi per la riduzione dei rischi più gravi (trattori e altri macchinari), controlli sull'applicazione della normativa di sicurezza anche a livello di commercio delle macchine. Poi, campagne di adeguamento delle attrezzature, formazione degli operatori pubblici e dei lavoratori agricoli, diffusione di buone prassi e pubblicazione di materiali informativi.

Tutte ottime azioni che secondo il report «restano tasselli isolati nelle singole realtà». La svolta - lascia capire il rapporto - ci sarà solo realizzando un maggior coordinamento tra le Regioni e gli enti competenti dello Stato che (forse) ancora mancano all'appello.

Le malattie professionali. Le malattie professionali sono insidiose: a differenza degli infortuni, si manifestano anche dopo anni di latenza e purtroppo, come nei casi di esposizione a sostanze inquinanti o cancerogene, con esito infausto. Perciò, anche su questo fronte, prevenzione e nuove normative hanno tentato negli ultimi anni di portare a galla il sommerso affinando gli strumenti di individuazione dei rischi e introducendo le nuove tabelle sulle malattie professionali. Ne è scaturito quel 60% di denunce in più rilevato tra 2007 e 2011, non spiegabile con un aumento delle patologie quanto piuttosto con una migliore capacità del sistema nazionale di individuarle e registrarle.


Cosa c'è da fare. Molto va ancora fatto, come detto, pure perché malgrado i grandi passi avanti compiuti negli ultimi anni oggi sono solo 14 le Regioni operative secondo il modello di raccolta e analisi Mal.Prof., utilizzato dalle Asl per l'attribuzione dell'eventuale nesso di causa in funzione delle informazioni disponibili sull'anamnesi lavorativa e sulla qualità della diagnosi. Altre quattro amministrazioni partecipano alle riunioni del tavolo tecnico nazionale in vista di un inserimento nel sistema.


La tipologia delle malattie professionali. Quanto alla tipologia delle malattie registrate dal sistema Mal.Prof., spicca il dato che vede la quota delle patologie scheletriche triplicato tra il 2000 e il 2008, in particolare relativo alle patologie del rachide e alla sindrome del tunnel carpale. Tra i tumori di origine professionale, nello stesso periodo è quasi triplicato il peso del cancro della pleura e del peritoneo.
«Le patologie tumorali, che spesso determinano la morte del lavoratore - avvertono gli estensori del rapporto - sono poco note all'opinione pubblica anche se i casi mortali, in alcune aree del Paese, superano quelli degli infortuni sul lavoro. Questo riscontro oggettivo determina la crescente attenzione delle Regioni sia alle attività preventive per i lavoratori attualmente esposti sia alle attività di supporto dovute ai lavoratori che lo sono stati in passato (diagnosi precoce con sistemi di sorveglianza sanitaria ecc. ...)».
Se si guarda alle differenze di genere, nelle donne prevalgono con valori superiori al 61% la sindrome del tunnel carpale e le malattie psichiche, seguite dalle malattie della pelle e delle vie respiratorie superiori (43,2%); invece le malattie polmonari cronico-ostruttive e i tumori dell'apparato respiratorio sono presenti al 97,3% negli uomini.