Aziende e Regioni

Unindustria: «Ecco la ricetta per salvare la sanità del Lazio». Il Rapporto

di Flavia Landolfi

Il faro è la sanità lombarda, l'unica «che introduce meccanismi competitivi nel sistema a vantaggio della qualità delle cure e dell'efficienza economico-gestionale». Lo dice il Rapporto Unindustria sulle dinamiche di spesa del servizio sanitario regionale del Lazio, presentato oggi a Roma dal presidente Maurizo Stirpe alla presenza del governatore Nicola Zingaretti. «Nel Lazio sembra che ci siano cittadini di serie A e cittadini di serie B - ha detto Stirpe - noi vogliamo dire basta a questa situazione. Il documento é trasparente, avanza delle proposte, ma non per difendere o tutelare interessi di parte. Vogliamo dare un aiuto a chi poi deve prendere delle decisioni». Zingaretti intanto, dal palco romano, annuncia iniziative per incentivare la qualità delle cure. «Nei prossimi giorni sarà varato un nuovo provvedimento commissariale che introduce dei nuovi criteri di valutazione che non sono riferibili solo ai conti, ma che riguardano la qualità dei servizi offerti. Non é possibile che errori o omissioni valutabili finiscano in un pozzo nero. Ci saranno quindi delle sanzioni». Zingaretti ha anche risposto a Unindustria sottolineando di condividere la richiesta di cambio di passo «ma non credo sia possibile clonare il modello di un'altra regione perché ognuna ha le sue specificità».

Il disavanzo e la manovra per il rientro della Regione Lazio. Il dossier di Unindustria, elaborato da Deloitte, ricostruisce la vicenda del buco di bilancio laziale con la definizione, il 28 febbraio 2007, del Piani di rientro concordato con il Governo. «Tuttavia - spiega il Rapporto - gli esiti delle manovre messe in atto si sono rivelati fallimentari. Il disavanzo iniziale – quasi 2 miliardi di euro nel 2006 – si è nei primi anni ridotto per poi mostrare una preoccupante tendenza al rialzo. Gli organi di verifica continuano a segnalare persistenti e gravi inadempienze agli obiettivi del Piano, la spesa pro capite resta la più elevata in Italia, l'aliquota Irap e l'addizionale Irpef, ulteriormente aumentate nel 2011, non vengono ridotte».
Secondo Unindustria le cause del fallimento di questa strategia sono più di una:
- il Piano di rientro è stato interpretato come recovery plan, anziché strumento di programmazione: le misure attuate rispondono all'esigenza contingente di ridurre il disavanzo annuale, con interventi frammentari e senza visione complessiva;
- gli obiettivi del Piano raggiunti riguardano le politiche di immediata applicazione (contenimento della spesa farmaceutica e per l'assistenza convenzionata), mentre gli obiettivi legati a fattori più strutturali (contenimento dei costi diretti di produzione, riduzione della spesa per beni e servizi) sono ancora lontani dal raggiungimento;
- la copertura del disavanzo annualmente generato è tuttora garantita da aliquote Irap e addizionale Irpef sui livelli massimi, con una spesa per cittadini e imprese pari a 800 milioni di euro nel 2011;
- gli interventi sugli operatori privati accreditati stanno alimentando un contenzioso che assume crescente peso sul bilancio regionale e quindi sul disavanzo;
«Le verifiche degli organi di controllo - conclude il Rapporto - restituiscono l'immagine di un sistema sanitario che, dopo sei anni dall'introduzione del Piano di rientro, non mostra apprezzabili margini di miglioramento sul piano della capacità di programmazione, governo della spesa, acquisizione di competenze economico-gestionali, affidabilità dei dati contabili, trasparenza del sistema nel suo complesso». E quindi che fare?

Il modello lombardo. Secondo Unindustria bisogna fare riferimento ai sistemi che funzionano. «La Lombardia ha optato sin dal 1997 per un modello fondato sulla separazione della funzione di fornitura di servizi sanitari da quella di acquisto dei servizi stessi (modello separato): le Asl hanno «scorporato» la produzione diretta di servizi sanitari dalle loro funzioni, limitandosi all'acquisto da strutture pubbliche e private - entrambe accreditate. L'attività delle ASL si è così potuta focalizzare, oltre che sull'acquisto, sulla programmazione e sul controllo delle attività sanitarie».
Contraltare di questo modello, il sistema laziale che ha mantenuto in capo alle Asl sia il finanziamento sia la produzione diretta dei servizi ma, accanto alla fornitura diretta, è prevista anche l'erogazione da parte di strutture - pubbliche e private - dalle quali le Asl acquistano le prestazioni (modello ibrido).
«Riguardo alla rete di offerta - prosegue Unindustria - entrambe le regioni presentano un elevato numero di posti letto privati accreditati, ma il Lazio si
distingue per l'attività delle case di cura accreditate, rivolta prevalentemente alla riabilitazione e lungodegenza (in Lombardia queste ultime coprono una quota maggiore delle prestazioni per acuti)».

La ricetta. Il Rapporto presenta una serie di proposte al neo Governatore laziale. Innanzitutto la separazione tra le funzioni di acquisto e di fornitura dei servizi sanitari: completamento del processo di aziendalizzazione delle
ASL e trasformazione degli attuali 49 presidi a gestione diretta in Aziende Ospedaliere (maggiore responsabilità delle strutture pubbliche nel governo della spesa; competizione tra strutture pubbliche e tra queste e le private accreditate). Poi c'è il riconoscimento della sanità privata come parte integrante e non accessoria del Ssr parità di diritti e di doveri, estensione dei servizi erogabili dai privati accreditati.
Per governare la spesa si fa riferimento all'adozione nel Lazio di moderni sistemi di controllo di gestione e attivazione di benchmark tra strutture pubbliche per monitorare costantemente e governare in corso d'anno l'andamento dei costi, ma anche la predisposizione in tempi utili dei documenti programmatici e istituzione di un ufficio dedicato al controllo e monitoraggio delle uscite.
Ce ne è anche per l'accreditamento suggerito per le strutture pubbliche insieme alla semplificazione dei processi (ottimizzazione di attori, ruoli, tempi), allo sblocco delle autorizzazioni per consentire l'ingresso nel settore di nuovi operatori, all'introduzione di meccanismi sanzionatori per il rispetto dei tempi da parte degli uffici regionali e alla rimodulazione dei requisiti affinché siano più legati all'effettiva attività svolta che a rigidi fattori strutturali. Per quanto riguarda il controllo delle prestazione il dossier suggerisce di potenziare l'attività di monitoraggio su tutte le prestazioni sanitarie, di estendere i controlli alle prescrizioni di specialistica ambulatoriale per contrastare il fenomeno delle iperprescrizioni e accorciare le liste di attesa e di incoraggiare e incentivare la qualità delle prestazioni con risorse premio per esiti superiori agli standard prestabiliti.
Secondo il dossier poi bisognere ritoccare verso l'alto le tariffe attraverso un aggiornamento del nomenclatore per la specialistica ambulatoriale, anche in considerazione dei cambiamenti introdotti dalle innovazioni tecnologiche e con la determinazione della sola quota sanitaria per le tariffe Rsa, riconoscendo la possibilità di una differenziazione di prezzo sulla base dei servizi offerti. Infine lo studio «ha riscontrato una notevole difficoltà di reperimento di dati aggiornati, affidabili e omogenei, sia di natura contabile sia sulla rete dell'offerta». Per questa ragione si suggerisce di intervenire con una completa ricognizione dei dati, la riprogettazione dei flussi informativi, il potenziamento della capacità di gestione delle banche dati e l'uso coordinato della piattaforma web da parte delle Asl, per un'informativa trasparente e omogenea.