Aziende e Regioni

Forum Pa 2013: negli ospedali italiani Ict solo a metà

Gli ospedali italiani hanno le tecnologie giuste per l'e-health, ma anche (ancora) troppa carta in circolazione. Sono pronti a fornire ai medici sistemi clinici ausiliari per tenere sotto controllo tutti i dati del paziente, ma sono carenti di formazione e controlli digitali.

In Italia, circa 560 strutture sanitarie (il 40% degli ospedali, tra pubblico e privato accreditato) sono state scandagliate con il metodo di valutazione internazionale «Emram» (Electronic medical record adoption model), messo a punto da Himss analytics Europe. Una sorta di termometro dell'e-health che valuta il grado di digitalizzazione in Sanità, i cui risultati fanno da sfondo al dibattito sulla Sanità digitale in programma mercoledì 29 maggio che caratterizza l'edizione 2013 di Forum Pa, l'annuale rassegna sulla pubblica amministrazione, organizzato con Himms Europe e il supporto di Upmc, azienda leader mondiale nella Sanità, nella ricerca e nella telemedicina.

Dal confronto con i principali partner "tecnologici" europei e in generale con i risultati medi del Continente, le nostre strutture non raggiungono mai il livello massimo di digitalizzazione, il cosiddetto «stage 7», che implica l'assenza completa di documentazione clinica cartacea, l'implementazione totale della cartella clinica elettronica, un sistema di supporto alle decisioni basato su protocolli standardizzati, in grado di migliorare la qualità delle cure segnalando conformità e variazioni nella pratica clinica, un sistema di somministrazione dei farmaci ad anello chiuso perfettamente integrato con l'e-prescription. In sostanza un'isola quasi deserta, ma non solo in Italia. Il top della Sanità digitale è infatti un club per pochi: in Europa vi accede solo lo 0,1% degli ospedali.
Incominciano a intravedersi invece segnali positivi se si scende al livello precedente, lo «stage 6». In Italia sono 3 gli ospedali che hanno ricevuto il via libera su tale valutazione (Ismett, Ospedale San Luca di Trecenta, Ospedale Santa Maria della Misericordia), che significa comunque strutture dotate delle migliori pratiche.

A parte queste eccezioni tuttavia, la Sanità elettronica nel nostro Paese stenta a prendere quota. Sette strutture su dieci non vanno oltre il secondo «stage», immettono cioè dati nel sistema digitale (che può essere identificato con la cartella clinica elettronica), ma poi si fermano lì. E dalle analisi comparate, si evidenzia come sul fronte dell'ospedale digitale, l'Italia stia perdendo il contatto con i Paesi europei più avanzati come Svezia, Paesi Bassi e Spagna.

Gli investimenti italiani in It sono infatti al momento abbastanza bassi. La quota di spesa sanitaria ospedaliera dedicata all'It è pari all'1,4% del totale. Una quota appena superiore rispetto alla Germania (1,3%) ma inferiore a Spagna e Olanda. In termini assoluti, tuttavia, a spendere di più nella Sanità digitale è la Germania, con quasi 2 miliardi di euro tra budget annuale dedicato e investimenti strutturali. A seguire l'Italia, con 1,3 miliardi.

Le voci a più alta intensità di spesa sono i sistemi di comunicazione relativi alla diagnostica per immagini, i sistemi di somministrazione elettronica dei farmaci, l'e-prescription. I «grandi assenti» dell'e-health in salsa italiana - definiti dall'Himss come elementi chiave da non trascurare per migliorare la sicurezza dei pazienti - sono il ciclo chiuso della somministrazione dei farmaci e i sistemi a supporto delle decisioni cliniche. Più che altrove, in Italia si utilizzano fornitori e software nazionali prodotti su misura.

Rispetto all'organizzazione «regionale» della Sanità italiana, tale struttura, secondo gli analisti Himss, potrebbe potenzialmente rivelarsi vantaggiosa per una piena digitalizzazione (si pensi alla necessità di scambiare informazioni tra ospedali e tra Regioni e Governo centrale), a patto che le singole realtà locali non vadano ognuna per conto suo, come finora è accaduto nei fatti. I sistemi centralizzati a livello regionale, quindi, sono l'ingrediente principale secondo gli analisti internazionali della ricetta che può migliorare l'e-health italiana, ma è necessario frenare sul fai-da-te aziendale che finora ha prodotto qualche best practice del tutto isolata. Ed è questa la strada che porta a quei risparmi che le ultime stime del Politecnico di Milano a esempio(VEDI) hanno quantificato dal punto di vista operativo in non meno di 5,7 miliardi, una volta che il sistema sarà a regime. Con ricadute anche sulle tasche (e sul benessere) degli assistiti che spenderebbero almeno 6,5 miliardi in meno tra carta e burocrazia. L'obiettivo c'è, ma a quanto pare senza un cambio di rotta nella programmazione regionale e nazionale, non sono ancora vicini i presupposti per raggiungerlo.

LEGGI L'ANTICIPAZIONE SU IL SOLE-24 ORE SANITA' N. 19/2013 (per gli abbonati)