Aziende e Regioni

Fiaso, Asl e Ao: non sempre "grande è bello"

Dimensione ideale delle Asl: ne' quella maxi più frutto di tendenze neo-centraliste regionali che di reale efficientamento del sistema. Ma nemmeno quella mini, se queste significano rinuncia alle economie di scala e ridimensionamento dei servizi offerti. La dimensione ideale delle aziende sanitarie e ospedaliere è quella che a seconda dei territori e delle singole storie aziendali viene definita evitando generici scivolamenti sull'equazione "meno aziende, meno costi della politica".

E' un position paper articolato quello elaborato da Mario De Vecchio, professore di economia aziendale Università di Firenze, a seguito della "consensus conference" Fiaso del 9 novembre scorso e presentato oggi a Roma, in occasione dell'Assemblea nazionale della stessa Federazione delle aziende sanitarie e ospedaliere.

La cura dimagrante dalle Usl alle Asl. L'attualità e la rilevanza del tema è tutta nei numeri. Nell'ultimo decennio il numero delle aziende si è ridotto del 23%, con una accelerazione soprattutto negli ultimi 5 anni, specie nelle regioni in Piano di rientro. Nel '92 alla vigilia della Riforma le vecchie Usl sostanzialmente ancorate ai Comuni erano ancora ben 659. Nel '95 l'applicazione della Riforma riduceva le nuove Aziende a 228 e da allora è stato un inarrestabile processo di aggregazione, che ha portato prima alle 197 nel 2001 e poi alle 145 Asl del 2002, mentre il numero delle Aziende ospedaliere è rimasto sostanzialmente invariato: 81 erano nel '95, 80 sono ora (dato 2012). Nella maggioranza dei SSR la dimensione comune delle Asl è diventata quella Provinciale. Con casi di aggregazioni persino regionali, come quello delle Marche.

Aggregazioni figlie del neo-centralismo. «I processi di aggregazione – sottolinea il position paper Fiaso - tendono a far prevalere logiche e razionalità sovraordinate rispetto all'autonomia aziendale, rafforzando una visione dei sistemi regionali come gruppo di aziende pubbliche dirette da una holding regionale cui pertiene interamente la titolarità dei risultati così come l'onere per il loro conseguimento. Tale visione trova la sua più estrema applicazione in alcune esperienze di regioni sottoposte a piani di rientro (PdR) dove gli interventi sugli spazi di autonomia delle aziende sono stati di tale entità da relegarle al ruolo di unità operative di centri decisionali accentrati a livello regionale o, addirittura, nazionale».

Tutto questo muovendo da un'idea "largamente diffusa ma scarsamente motivata", sottolinea Del Vecchio, che le aziende più grandi possano assicurare un maggior controllo finanziario del sistema. Idea supportata da nessuna evidenza fino ad oggi nota. Tant'è –si sottolinea- «nemmeno i risultati delle esperienze britanniche, a fine alla fine degli anni '90, dopo dieci anni di processi di concentrazione degli ospedali, consentono di sostenere con convinzione che più grande è meglio»

Vantaggi e svantaggi delle Aggregazioni. Certo, le aggregazioni hanno i loro vantaggi. Che vanno dalla esaustività dei servizi offerti all'aumento del potere contrattuale rispetto ai fornitori, dalle economie di scala (soprattutto sui servizi di supporto e la catena del farmaco) alle potenzialità di innovazioni su larga scala. Ma di contro generano perdita di identità culturale, complessità del coordinamento e difficoltà a bilanciare la centralizzazione del controllo e della programmazione con l'autonomia di gestione a livello periferico.

"Piccolo", al contrario, consente tra l'altro: migliore integrazione socio-sanitarie ed ospedale-territorio, tempestività di azione del management, maggior controllo di spesa, maggior coinvolgimento degli operatori. Ma anche per le Aziende di ridotte dimensioni c'è il rovescio della medaglia, dato dalla incapacità di conseguite economie di scala, da funzioni ospedaliere incomplete e da una figura del Dg che può finire per comprimere le autonomie professionali.

La dimensione ideale: l'Azienda "dai confini duttili". «E allora il ridimensionamento aziendale dovrebbe essere frutto di un attento esame del rapporto "costi-benefici" per l'intero funzionamento del sistema, senza scivolare nella falsa retoriica dell'efficientismo tout court» , sottolinea il presidente della Fiaso, Valerio Fabio Alberti. Per il quale «occorre valutare caso per caso dove le fusioni possono mettere in moto positivi processi di cambiamento, possibili solo quando i riassetti attingono alla risorsa del consenso. Di contro bisogna valutare quando le aggregazioni diventano destabilizzanti, aumentando i già notevoli livelli di complessità gestionale delle Aziende».

«Del resto – rimarca il position paper Fiaso - se inconfutabili certezze in merito ai benefici non emergono, le diseconomie da aggregazione si evidenziano, con maggiore probabilità, per effetto di più rilevanti costi figurativi associati alla gestione di aziende di dimensioni maggiori, come più rimarchevoli rischi manageriali, la perdita dell'identità aziendale che va ricostituita, l'impatto negativo sui livelli di assistenza».

Da cui le conclusioni. «Le ragioni esposte – conclude il position paper Fiaso- rendono addirittura desiderabile che i confini aziendali non siano rigidi ma duttili, lineari ma irregolari, tracciati innanzitutto dalle convenienze aziendali, dalle contingenze, dalla storia organizzativa, dalla capacità manageriale e siano meno espressione diretta del disegno politico-istituzionale. Riconsiderare la plasticità dei confini aziendali non intende significare un ridimensionamento della funzione di governo di sistema che assicurano le Regioni, ma offrire una visione più aggiornata della governance in sanità, in cui la legittimazione ed il presidio del disegno politico-istituzionale sono saldamente nelle mani della Regione, mentre le aziende sovraintendono il processo di sua realizzazione».