Aziende e Regioni

«Serve un nuovo Welfare per cambiare». IX rapporto sanità Ceis-Crea Tor vergata

Si riduce la spesa, scendono i disvanzi, ma per assicurare un'assistenza equa su tutto il territorio il modello di Welfare va ripensato, per ridurre anzitutto i numerosi gap tra Regioni (in particolare a svantaggio del Sud).

Questo il fil rouge che guida l'analisi condotta nel IX rapporto sanità Ceis (Center for economic an international studies)- Crea (Consorzio per la ricerca economica applicata in sanità) dell'Università Tor Vergata di Roma, presentato questa mattina nell'aula dei gruppi parlamentari della Camera dei deputati a Roma.

Nel 2011, spiega il rapporto, la spesa sanitaria pro capite in Italia è stata inferiore di circa il 23,9% rispetto ai Paesi appartenenti all'Eu 14, a fronte di un Pil che è ormai inferiore del 9%. Anche la spesa sanitaria pubblica pro capite è inferiore ai Paesi Eu14: il gap è del 22,2%; dal 2008, in particolare, il gap della spesa pubblica è andato incrementandosi mentre quello della spesa privata si è ridotto.

E nel 2011, per il secondo anno di seguito, la spesa sanitaria pubblica diminuisce: in termini nominali del 0,7% (contro il 0,8% dello scorso anno). Ma la spesa privata cala più della pubblica. La crescita del finanziamento è piuttosto modesta, e nel 2011 quello reale (depurato dell'inflazione) registra rispetto al 2010 addirittura una diminuzione.
L'Italia sembra essere propensa a effettuare investimenti strutturali in Sanità, ma a farlo è essenzialmente il settore privato (nel 2011 è a suo carico il 61,2% degli investimenti fissi in Sanità): lo scenario che si prospetta è quello di strutture pubbliche obsolete, e un settore privato sempre più attraente.

Per quanto riguarda i disavanzi regionali, sono in diminuzione, ma restano concentrati in poche Regioni (nel 2011 in Liguria, Lazio, Campania, Calabria e Sardegna si concentra l'87,21% del disavanzo nazionale).

E nelle Regioni "meno virtuose" (quelle con i piani di rientro), a eccezione dell'Abruzzo, i cittadini pagano sempre più di tasca propria; aumentano le famiglie impoverite in Calabria (+7,8%), Lazio (+4,7%), Campania (+2,9%), Sicilia (+1,5%) e Sardegna (+0,9%), però si registra (nelle stesse Regioni a eccezione di Sardegna e Lazio) una notevole riduzione del numero di famiglie soggette a spese catastrofiche.

Il rapporto sottolinea la necessità di una conferma dell'universalità del sistema, ma con maggiore equità e soprattutto con un nuovo welfare che riconosca la diversità delle situazioni non solo a livello regionale, ma anche di singole situazioni della popolazione (la media dell'imposizione fiscale è alta, ad esempio, ma si innalza ancora di più se si considera che si concentra solo sulla popolazione "pagante", quella cioè che non può evadere e che è sottoposta a prelievi direttamente alla fonte).

La distribuzione italiana delle risorse pubbliche sui vari settori di welfare è sostanzialmente "europea", spiega il rapporto, nel senso che le percentuali di entrate destinate ai vari settori non si discostano significativamente da quelle medie europee.
Secondo gli ultimi dati Eurostat sui bilanci degli Stati europei, l'Italia destina a Sanità, Protezione Sociale e Istruzione il 69,53% delle entrate, contro una media dei Paesi Eu12 del 73,11%. In particolare, la Protezione sociale assorbe il 44,39% delle entrate (44,51% in Eu12); la Sanità è invece al di sotto della media Eu (15,95% delle entrate, contro il 16,80% di Eu12, ovvero 0,85%) e, ancor di più, l'Istruzione (9,19% delle entrate in Italia, contro l'11,80% di Eu12, ovvero -2,61%). L'unico settore di intervento pubblico per cui si evidenzia un significativo scostamento dagli standard europei è quindi quello dell'Istruzione, rendendo opportuno ripensarne il finanziamento, anche in considerazione dell'impulso che il settore potrebbe dare alla competitività del nostro Paese. Ma la spesa pubblica pro capite è decisamente minore in Italia rispetto all'Europa: quella per Protezione sociale nel 2011 era pari a € 5.333,12, contro € 5.700,39 in Eu12 ( 6,44%); quella per la Sanità € 1.916,57, contro € 2.151,58 ( 10,92%); e quella per l'Istruzione € 1.103,89, contro € 1.511,04 ( 26,95%).

A fronte di questi dati il rapporto propone una "agenda" in cinque punti:

• Non ridurre ulteriormente il finanziamento pubblico

• Sostenere gli investimenti pubblici pluriennali e in particolare quelli in prevenzione primaria, anche con interventi di educazione a corretti stili di vita

• Ripensare il sistema non accantonando frettolosamente l'ipotesi dei ticket, che però andrebbero profondamente riformati

• Integrare la non autosufficienza nel SSN, ad iniziare dalle indennità di accompagnamento

• Promuovere politiche assistenziali rispettose della competitività industriale, e definire le politiche industriali nazionali nel settore della Salute

Personale in esubero. Un capitolo a se il rapporto lo dedica al rapporto tra personal e posti letto, sottolinenando che in base ai risultati ottenuti nelle Regioni benchmark, nelle altre ci sarebbe un esubero di quasi 30mila infermieri e 20mila medici.

Posti letto
Rispetto al tetto di posti letto indicato dalla spending review, secondo i 2010 molte Regioni erano ancora ben lontane dal raggiungimento di detto limite. Solo Umbria, Campania e Sicilia rispettavano il limite; peraltro dati più recenti, relativi al 2012, del ministero della Salute, mostrerebbero che anche l'Umbria è teoricamente inadempiente sulla base del puro dato di offerta e popolazione.
Escludendo le Regioni a statuto speciale, gli eccessi maggiori si rilevano in Sardegna e Emilia Romagna.

Personale
La ridetreminazione degli standard di posti letto secondo la spending reviw, porta risparmi legati soprattutto alla riduzione dell'organico, derivante dal combinato disposto del taglio dei posti letto e del blocco del turn over.
Considerando come target gli indicatori delle Regioni "più virtuose", (considerate in questo caso come le prime 3 con il minor numero di personale infermieristico per posto letto e le prime 5 con il minore rapporto medici per infermiere), appare una situazione degli organici non distribuita omogeneamente.
Applicando gli standard a tutte le Regioni, si ottengono scostamenti dal target, che toccano il 23% per il personale infermieristico nelle Regioni del Centro, e oltre il 30% per medici e odontoiatri (rispettivamente -34% e -31% nel Centro e nel Sud). Anche il Nord, se pur più "virtuoso", dovrebbe ridurre infermieri e medici del -13% e -14%.
Complessivamente il rapporto segnala in base a questi calcoli un surplus di personale di infermieri e medici e odontoiatri, rispettivamente di circa 28.800 e 18.800 unità, senza tenere conto degli ulteriori tagli di posti letto previsti dalla spending review.

E senza rideterminazione degli organici, dice il rapporto, «è lecito dubitare che la riduzione dei posti letto abbia potuto dare i vantaggi sperati, in quanto l'adeguamento del personale risente di una forte inerzia, essendo quasi esclusivamente generato dal blocco del turn over, il quale pure pone problemi non indifferenti alle aziende, sia per l'invecchiamento medio dell'organico, sia per i rischi di scostamenti qualitativi fra le competenze necessarie e quelle disponibili».