Sentenze

Omessa diagnosi: sul danno da nascita indesiderata la Cassazione prende tempo

di Avv. Cristiano Cominotto* e Avv. Raffaele Moretti * (da Diritto24)

La III Sezione della Corte di Cassazione, con l'ordinanza interlocutoria del 23.02.2015 n. 3569, è tornata a pronunciarsi sulla vexata questio “danno da nascita indesiderata” che ricorre tutte le volte in cui, a causa del mancato rilievo dell'esistenza di malformazioni congenite del feto, la gestante si precluda la possibilità di interrompere la gravidanza.


L'annosa vicenda ha preso le mosse dall'azione giudiziaria intrapresa da due genitori contro i medici che ebbero in cura la gestante, volta a ottenere sia il risarcimento del danno da nascita indesiderata sia il ristoro del danno in favore della figlia affetta dalla sindrome di Down. Poneva la coppia, a fondamento della propria domanda, l'omessa prescrizione, ad opera dei medici, di ulteriori approfondimenti sullo stato di salute del feto, nella misura in cui il quadro clinico della gestante, delineato già dai primi esami, risultò non essere propriamente rassicurante.
Asserivano i genitori che se le malformazioni congenite del feto fossero state prontamente rilevate, in uno agli accertamenti del caso, avrebbero difatti interrotto la gravidanza, evitando la nascita di un concepito non sano.
Il giudice di primo grado rigettava la domanda attorea ed analogamente in sede di gravame, la Corte di Appello confermava la sentenza di primo grado, escludendo così la configurabilità sia del risarcimento danni da nascita indesiderata in favore dei genitori, sia del risarcimento in favore della figlia affetta dalla sindrome di Down.
Con riguardo alla richiesta di risarcimento danni avanzata dai genitori, si doleva la Corte che non fosse stata offerta nel giudizio di primo grado alcuna delle prove di cui alle condizioni contemplate dalla legge n. 194/78 che nel nostro ordinamento legittima il ricorso all'aborto, oltre il novantesimo giorno dal concepimento, solo se si offre la prova del pericolo per la salute fisica o psichica della gestante.
Difatti, secondo l'orientamento maggioritario sarebbe stato compito della madre offrire in giudizio «una espressa e in equivoca dichiarazione di volontà di interrompere la gravidanza in caso di malattia genetica del feto», ovvero di «integrare il contenuto di tale dichiarazione con elementi ulteriori da sottoporre al vaglio del giudice per dimostrare la reale volontà della stessa di ricorrere all'aborto in caso di malformazioni genetiche del feto».


In ordine alla richiesta di risarcimento danni in favore della figlia, il ragionamento sotteso alle sentenza di rigetto dei giudici, in entrambi i gradi di giudizio, muoveva le mosse dal presupposto che il nostro ordinamento positivo «tutela il concepito e l'evoluzione della gravidanza esclusivamente verso la nascita» e non contempla un diritto a non nascere se non sano.

Il caso de quo è stato completamente rinnovato nella sostanza dal revirement dell'ordinanza interlocutoria Corte Cass. n. 3569/2015
Gli ermellini, prima di rimettere gli atti al Primo Presidente per l'assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, hanno richiamato il contenuto della sentenza n. 16754/2012 prevedendo:

- in caso di omessa diagnosi di malformazioni congenite – direttamente in capo al nascituro il diritto «ancorché privo di soggettività giuridica fino al momento della nascita, una volta venuto ad esistenza, ad essere risarcito da parte del sanitario, con riguardo al danno consistente nell'essere nato non sano, e rappresentato dell'interesse ad alleviare la propria condizione di vita impeditiva di una libera estrinsecazione della personalità, a nulla rilevando né che la sua patologia fosse congenita, né che la madre, ove fosse stata informata della menomazione, avrebbe verosimilmente scelto di abortire».

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