Sentenze

Le cure provano la residenza in Italia

di Laura Ambrosi

Le prestazioni sanitarie nazionali, la proprietà di immobili e la residenza di moglie e figli in Italia legittimano il disconoscimento della residenza in Svizzera e consentono all'amministrazione la pretesa di imposte e sanzioni. Ad affermarlo è la sentenza 3869/67/15 della Ctr Lombardia .

La Guardia di Finanza ha accertato che un contribuente, pur risultando iscritto all'Aire, andava ritenuto fiscalmente residente in Italia e non in Svizzera. Più precisamente dai riscontri eseguiti risultava aver usufruito di prestazioni specialistiche non occasionali a carico del servizio sanitario nazionale. Inoltre possedeva una casella presso l'ufficio postale italiano, era proprietario di immobili alcuni dei quali in comproprietà con la moglie. Peraltro, al momento dell'accesso, le Fiamme gialle hanno verificato la presenza nell'abitazione “familiare” e rinvenuto alcune fatture della sua attività che riportavano un recapito telefonico nazionale.

In Svizzera, invece, risultava titolare di un contratto di locazione e solo dopo alcuni anni dal trasferimento della residenza, aveva acquistato un appartamento in zona.
Così le Entrate hanno emesso degli accertamenti per diversi periodi di imposta, con i quali pretendeva le maggiori imposte dovute per Irpef, Irap e Iva, oltre che interessi e sanzioni. Dopo il ricorso, i provvedimenti sono stati annullati dalla Commissione di primo grado.
Accogliendo l'appello dell'ufficio, la Ctr ha riformato la decisione. Il collegio ha preliminarmente richiamato le disposizioni contenute nell'articolo 2, comma 2-bis, del Dpr 917/1986, secondo cui si considerano residenti in Italia, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dall'anagrafe della popolazione residente, emigrati in stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato. In tali ipotesi, l'amministrazione è legittimata all'emissione dell'atto impositivo senza necessità di attivare un contraddittorio preventivo e incombe sul contribuente dimostrare di aver troncato ogni rapporto con il nostro Paese. Secondo il giudice, l'insieme degli elementi probatori dimostrava che la sede principale degli affari e interessi oltre che delle relazioni personali (moglie e figli) erano nel territorio nazionale. Peraltro, ha escluso anche un possibile vizio di notifica: l'ufficio infatti aveva notificato l'atto presso la residenza italiana e, poiché è stata ritenuta quella effettiva, la consegna si doveva ritenere corretta.


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