Sentenze

Fecondazione, Consulta: non è reato la selezione degli embrioni se malati. Cittadinanzattiva: «Ora via le discriminazioni»

Cade il divieto assoluto di selezione degli embrioni senza eccezione: la Corte Costituzionale ha stabilito che non è reato la selezione nei casi in cui sia esclusivamente finalizzata ad evitare l'impianto di embrioni affetti da gravi malattie trasmissibili, e nello specifico le patologie rispondenti ai criteri di gravità previsti dalla legge 194 sull'aborto.

Cittadinanzattiva: basta discriminazioni
«Con la sentenza appena pubblicata, la Corte costituzionale ha confermato la piena legittimità della diagnosi pre-impianto e la possibilità di crioconservare gli embrioni risultati affetti da malattia grave genetica, come aveva già affermato con la precedenza sentenza 96 del 2015. Ora speriamo che l'accesso sia per le coppie infertili che per le coppie fertili a rischio di trasmissione di gravi malattie genetiche sia possibile nell'effettività e quindi nel servizio sanitario». A dirlo Maria Paola Costantini, referente per la Pma di Cittadinanzattiva e avvocato che ha rappresentato coppie infertili di fronte alla Consulta negli anni scorsi. «Per ora - critica il legale - non c'è traccia di ciò né nelle ultime linee guida del 2015 emanate dal ministero della Salute (precedenti alla sentenza 96) né nella lista dei nuovi Livelli essenziali di assistenza. Chiediamo che non vi siano nuove discriminazioni per le coppie meno abbienti e in particolare per quelle del Sud d'Italia».

Bocciatura dalla Consulta
Nuova bocciatura dunque, stavolta parziale, della Legge 40 sulla fecondazione assistita da parte della Corte costituzionale. Nel dettaglio, i giudici della Consulta, con una sentenza depositata oggi, hanno dichiarato illegittimo l'articolo della legge in cui si contempla «come ipotesi di reato» la condotta di «selezione degli embrioni «anche nei casi in cui questa sia «esclusivamente finalizzata ad evitare l'impianto nell'utero della donna di embrioni affetti da malattie genetiche trasmissibili rispondenti ai criteri di gravità» stabiliti con la legge sull'aborto e «accertate da apposite strutture pubbliche». La Consulta ha quindi ritenuto fondata una delle questioni sollevate dal tribunale di Napoli: la decisione dei giudici è legata alla sentenza che la stessa Corte ha emesso nei mesi scorsi, in cui ha bocciato la Legge 40 nella parte in cui non consentiva il ricorso alle tecniche di procreazione assistita a quelle coppie fertili portatrici, però, di malattie genetiche, e ciò «al fine esclusivo della previa individuazione di embrioni cui non risulti trasmessa la malattia del genitore comportante il pericolo di rilevanti anomalie o malformazioni (se non la morte precoce) del nascituro» proprio per il «criterio normativo di gravità». Dunque, «quanto è divenuto così illecito, per effetto della suddetta pronuncia additiva - si legge nella sentenza n. 229 depositata oggi - non può per il principio di non contraddizione essere più attratto nella sfera del penalmente rilevante». È quindi, «in questi esatti termini e limiti» che va letta la pronuncia di illegittimità resa nota oggi.
La Consulta ha invece dichiarato non fondata la seconda questione di legittimità sollevata dal tribunale di Napoli, e riguardante la sanzione penale prevista per le condotte di «soppressione» di embrioni. «La discrezionalità legislativa circa l'individuazione delle condotte penalmente punibili - si spiega nella sentenza depositata oggi - può essere censurata in sede di giudizio di costituzionalità soltanto ove il suo esercizio ne rappresenti un uso distorto o arbitrario, così da confliggere in modo manifesto con il canone della ragionevolezza: nel caso in esame, deve escludersi che risulti per tali profili censurabile la scelta del legislatore del 2004 di vietare e sanzionare penalmente la condotta di soppressione di embrioni, ove pur riferita agli embrioni che, in esito a diagnosi di preimpianto, risultino affetti da grave malattia genetica».
Infatti, anche con riguardo a questi embrioni, «la cui malformazione non ne giustifica, solo per questo un trattamento deteriore rispetto a quello degli embrioni sani creati in numero superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto», si prospetta, sottolinea la Corte, «l'esigenza di tutelare la dignità dell'embrione alla quale non può parimenti darsi, allo stato, altra risposta che quella della procedura di crioconservazione», poiché l'embrione «non è certamente riducibile a mero materiale biologico».
Quindi, «il vulnus alla tutela della dignità dell'embrione, ancorché malato, quale deriverebbe dalla sua soppressione», secondo i “giudici delle leggi”, «non trova giustificazione, in termini di contrappeso, nella tutela di altro interesse antagonista».
Questa norma non contrasta, conclude la Consulta, né con il «diritto di autodeterminazione» né con i parametri europei poiché «il divieto di soppressione dell'embrione malformato non comporta l'impianto coattivo nell'utero della gestante».


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