Sentenze

Numero chiuso a medicina: se si rinuncia agli studi si perde l'accesso per sanatoria

di Davide Ponte

La rinuncia agli studi comporta l'annullamento di tutta la carriera universitaria, ovvero l'inefficacia della carriera scolastica svolta nel corso di laurea a suo tempo intrapreso ed ha natura irretrattabile, in quanto l'interesse pubblico sotteso alla disciplina del “rapporto universitario” richiede costante riconoscibilità e piena certezza delle situazioni che lo concernono e ciò preclude al privato di ricostituire un rapporto che volontariamente ha concluso. È questo il principio espresso dalla sezione prima del Tar Toscana con la decisione 1° dicembre 2015 n. 1609, che si è espressa sull'annosa questione dell'accesso alle facoltà a numero chiuso di medicina.

La fattispecie esaminata del Tar Toscana. Un breve riassunto della vicenda contenziosa, anche a fronte della sintetica narrativa in fatto della sentenza (sull'onda della giurisprudenza sempre più tesa alla ricerca di celerità e concisione), può essere utile ai fini di piena comprensione dei principi riordinati e applicati dai giudici del Tar toscano in una materia tanto dibattuta.
Uno studente era stato immatricolato nell'anno accademico 1997/98 alla facoltà di medicina e chirurgia dell'Università degli Studi resistente in giudizio; in particolare, tale soggetto non aveva superato i test di preselezione previsti dalla legge per l'ammissione alla facoltà di medicina, ma era entrato ugualmente usufruendo della sanatoria disposta dall'articolo 5 della legge 264/1999.
Dopo un periodo di sospensione degli studi, lo stesso soggetto formulava rinuncia agli studi svolti presso tale facoltà al fine di iscriversi a quella di giurisprudenza. Dopo un anno, tuttavia, il medesimo studente chiedeva di far ritorno alla facoltà di medicina e chirurgia, assumendo di non essere tenuto a sostenere le prove di ammissione previste per l'anno accademico.
Con delibera del Senato accademico e successiva comunicazione della Direzione didattica l'università respingeva l'istanza di iscrizione diretta.
Avverso tali atti lo studente proponeva ricorso al Tar competente per territorio che, all'esito del relativo giudizio, respingeva le domande e conseguentemente l'istanza di iscrizione, sulla scorta di un duplice ordine di considerazioni: gli effetti irreversibili della rinuncia agli studi e l'impossibilità di riutilizzare il meccanismo di sanatoria previgente.

Quali sono gli effetti della rinuncia agli studi. Due sono gli ambiti che, pur legati nella fattispecie, il giudice amministrativo di prime cure ha separatamente affrontato per poi giungere alla conclusione negativa per lo studente universitario che aspirava a rientrare nella facoltà di medicina.
In primo luogo, sono stati rapidamente esaminati gli effetti della cosiddetta “rinuncia agli studi”. Invero, il ricorso proposto dallo studente - nel tentativo di sminuire gli effetti della pregressa rinuncia al corso di studi già parzialmente svolto presso la facoltà - invocava la giurisprudenza contabile che, a fini previdenziali, ha tradizionalmente mantenuto in capo ai soggetti rinuncianti lo status di universitari.
A titolo esemplificativo, possono essere richiamati un paio di esempi. In un caso (Corte conti, regione Lombardia, sezione giurisdizionale, 7 giugno 2004 n. 910) il giudice contabile ha ritenuto che la rinuncia agli studi finalizzata (come nella specie) al conseguimento dell'iscrizione presso altro ateneo non possa comportare la perdita dello “status” universitario; sulla scorta di tale principio ha quindi affermato che l'orfano maggiorenne, titolare di una quota della pensione di reversibilità, conserva il diritto alla sua percezione in caso di cambio di corso universitario.
In un'altra fattispecie, ancor più risalente (Corte dei conti, regione Emilia-Romagna, sezione giurisdizionale, 2 marzo 1998 n. 111) ha ribadito l'irrilevanza a fini previdenziali della rinuncia, affermando che «permane il diritto alla pensione di riversibilità, a favore dell'orfano maggiorenne studente universitario, nel caso di una rinuncia agli studi e di sua iscrizione ad altra facoltà, atteso che la norma di cui all'art. 17 l. 8 agosto 1991 n. 274, richiede semplicemente l'iscrizione ma non anche “lo status” di studente universitario».
Del tutto opposta appare la tradizionale opinione della giurisprudenza amministrativa, richiamata dalla sentenza in commento, a mente della quale la rinuncia agli studi, diversamente da altre situazioni, comporta l'annullamento di tutta la carriera universitaria.
Sulla scorta di tale principio, a titolo esemplificativo è stata dichiarata illegittima, per violazione del principio di uguaglianza e per disparità di trattamento, la clausola del bando di concorso per l'assegnazione di borse di studio dell'Ente regionale per il diritto allo studio universitario che accomuna, sotto la stessa disciplina, i rinunciatari agli studenti che nel corso della propria carriera universitaria hanno effettuato passaggi di corso di laurea o trasferimenti (cfr. Tar Campania, Napoli sezione II, 21 novembre 2003, n. 13759).
La discrasia viene giustificata, dalla sentenza in commento, dalle diverse finalità perseguite: il giudice contabile, su ricorsi proposti da studenti titolari di pensione di reversibilità, mira a evitare la ripetizione delle somme percepite a titolo di pensione sin dal momento dell'immatricolazione; la giurisprudenza amministrativa, diversamente, valorizza l'interesse pubblico sotteso alla disciplina del «rapporto universitario», che richiede costante riconoscibilità e piena certezza delle situazioni che lo concernono, interesse superiore a quello del privato che, mutando opinione, voglia riprendere gli studi. A fronte di tale bilanciamento non potrebbe quindi riprendere vita un rapporto volontariamente concluso dallo stesso (ex) studente.

La natura eccezionale e irripetibile della sanatoria. Il secondo versante affrontato dal Tar toscano, invero dirimente nell'economia della decisione, riguarda l'impossibilità di estendere gli eccezionali effetti della sanatoria legislativa di accesso alle facoltà a numero chiuso. In definitiva, il beneficio si consuma quando viene esercitato senza che, in caso di rinuncia e successiva domanda di rientro, possa nuovamente invocarsi l'eccezionale via di accesso diretta senza preselezione.
La natura peculiare ed eccezionale dell'accesso in via di sanatoria è già stato oggetto di approfondimento nella prevalente giurisprudenza amministrativa. A titolo esemplificativo, in merito all'articolo 1 della legge 19 novembre 2004 n. 288 - che ha disciplinato la situazione successiva all'introduzione legislativa, con la predetta legge n. 264 del 1999 del cosiddetto “accesso a numero chiuso” ai corsi di laurea universitari - si è statuito che tale norma abbia dettato una disposizione eccezionale di favore per tutti coloro che, risultando esclusi dalla selezione, abbiano tuttavia ottenuto l'iscrizione con riserva ai predetti corsi per l'anno accademico 2000/2001; a tali studenti veniva infatti consentita l'iscrizione al secondo anno di corso per l'anno accademico 2001/2002, purché avessero sostenuto almeno un esame entro il 31 luglio 2001, ovvero più di due esami entro il 31 luglio 2003. Tali essendo le disposizioni testuali di legge, che per il loro carattere eccezionale non possono ritenersi soggette a interpretazione estensiva o analogica, appare evidente che non possa rientrare tra i beneficiari della stessa legge, lo studente iscritto con riserva al corso di laurea a numero chiuso nell'anno accademico successivo a quello ammesso alla sanatoria (cfr. ad esempio, Consiglio di Stato, sezione VI, 13 giugno 2011 n. 3553).
Peraltro, la complessità e pluralità delle diverse situazioni connesse al meccanismo di accesso in esame, ha spesso portato a contrastanti statuizioni giurisprudenziali, quantomeno ad esempio in relazione all'accesso alle facoltà in questione negli anni successivi ovvero di studenti provenienti da università estere prive di analoghi meccanismi preselettivi.
La pluralità di decisioni ha portato una parte delle questioni anche dinanzi all'adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che, alcuni mesi fa, ha cercato di mettere qualche punto (cfr. decisione 28 gennaio 2015 n. 1), bilanciando gli esiti in termini salomonici, anche a fronte di decisioni sovranazionali contrarie alle limitazioni all'accesso per gli studenti provenienti da facoltà europee.
In proposito, si è innanzitutto - e in termini di rigore - chiarito che il superamento di alcuni esami del corso di studi universitari, cui si è avuto accesso in relazione al favorevole esito del giudizio di primo grado instaurato contro il diniego di iscrizione motivato con il mancato superamento del test di accesso previsto per i corsi di laurea ad accesso limitato, non è assorbente del mancato possesso di quel requisito di ammissione rappresentato dal superamento dei test. Al riguardo, come conseguenza, non è invocabile la sanatoria introdotta dall'articolo 4, comma 2-bis, della legge 17 agosto 2005 n. 168, sia perché essa deve ritenersi ammessa soltanto per le varie ipotesi di procedimenti finalizzati alla verifica della idoneità dei partecipanti allo svolgimento di una professione il cui esercizio risulti regolamentato nell'ordinamento interno ma non riservato a un numero chiuso di professionisti mentre va esclusa per le selezioni di stampo concorsuale per il conferimento di posti a numero limitato, sia perché il superamento del test di cui si tratta costituisce indubbiamente un requisito di ammissione e non certo una «abilitazione» o un «titolo», il cui conseguimento costituisce appunto indefettibile presupposto per l'applicazione della disposizione richiamata, all'applicazione della quale non può darsi comunque in ogni caso luogo quando il ricorso tenda a contestare una esclusione per mancanza dei requisiti.
In secondo luogo - e in termini maggiormente benevoli per gli studenti ricorrenti, seppure imposti dalla Corte di giustizia - si è statuito che, qualora studenti iscritti a un'università straniera in un corso di laurea in medicina e chirurgia chiedano il trasferimento a un omologo corso presso un'università italiana, l'accoglimento dell'istanza non può essere condizionato all'obbligo del test d'ingresso previsto per l'ammissione al primo anno di corso, fermo restando il potere/dovere dell'università alla quale si intende transitare di concreta valutazione del periodo di formazione svolto all'estero e fatto salvo altresì il rispetto ineludibile del numero di posti disponibili per trasferimento, così come fissato dall'università stessa per ogni anno accademico in sede di programmazione, in relazione a ciascun anno di corso.


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