Sentenze

Quando il giudice «fa l’americano»

di Edoardo Bortolotto

Beyond all reasonable doubt , in italiano oltre ogni ragionevole dubbio. Con la legge 46/2006 detta “Pecorella” dal nome di uno dei proponenti, tale principio trova diretta applicazione nell’ordinamento italiano con la modifica dell’articolo 533 del codice penale che per l’appunto d’allora prescrive, al primo comma, che «il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio».

Tra cinema e realtà. Tuttavia in Italia tale espressione aveva già cominciato a farsi spazio sotto forma di un irresistibile meme ante litteram tramite l’efficace cinematografia hollywoodiana: si pensi all’avvocato difensore dei diritti civili Atticus Finch nell’Alabama razzista degli anni ’50 in Buio oltre la Siepe o alla bonomia del Barrister Sir Robarts impacciato nel difendersi dalle malie di una ormai non più giovane, ma sempre affascinante, Marlene Dietrich in Testimone d’accusa e infine più prosaicamente la serie Law and Order riproposta in innumerevoli repliche: i film si concludono implacabilmente con un giudice, imparruccato o meno, che, con tono compunto, ammonisce la giuria popolare di condannare il malcapitato solo se convinta oltre ogni ragionevole dubbio... Ora anche in Italia almeno dal 2006 abbiamo la condanna oltre ogni ragionevole dubbio, dimostrando nel panorama dei Paesi europei occidentali, un’apertura non comune al diritto penale californiano a cui la dottrina, essendosi ben guardato il legislatore di dare una interpretazione a un principio ritenuto evidentemente self evident, è costretta a richiamarsi dato che l’istituto, almeno in questa forma, è del tutto alieno al sistema giuridico nazionale. Forse perché lo stesso legislatore del 2006 era più interessato alla ricerca di soluzione ad personam di taluni problemi contingenti, ma non è da escludere la speranza di importare anche in Italia, la sostanziale impunità penalistica che caratterizza, negli Stati Uniti, la gran parte dei cosiddetti grandi pericoli scientico-tecnologici, ovvero i rischi legati al bisogno d’energia, il rischio atomico e il rischio connesso allo smaltimento dei rifiuti nucleari e quelli connessi alla produzione industriale, fino a casi più pratici come le responsabilità professionali dei medici. Tuttavia ben altro zelo è stato riservato dal medesimo legislatore a un eventuale recepimento della parte civilistica propria del common law e in particolare a quella relativa al risarcimento del danno.

Mi riferisco in ambito civile ai cosiddetti punitive damages o danni punitivi in italiano o risarcimento punitivo se la prima traduzione suona troppo cruda. Eppure anche qui non mancherebbero suggestivi richiami cinematografici. Penso ad esempio a un imbolsito John Travolta in A civil action, in cui un avvocato di provincia si indebita fino al collo per far causa a due potenti industrie del Massachusetts, colpevoli di aver provocato la morte di molti bambini a seguito di un inquinamento delle acque. O ancora “L’uomo della pioggia”, in cui un giovane e sprovveduto Matt Damon, affiancato dal galoppino spregiudicato Danny De Vito, incrocia le spade con una compagnia di assicurazioni che ben si guarda dal risarcire un giovane affetto di leucemia, morto poi per mancanza di cure in un’America pre Obama-care.

Cosa sono i danni punitivi? Riassumendo i punitive o exemplary damages consistono nel riconoscimento al danneggiato, prevalentemente in ipotesi di responsabilità extracontrattuale, di una somma ulteriore rispetto a quella necessaria a compensare il danno subito, qualora il colpevole abbia agito con dolo o colpa grave. Questa ulteriore somma può essere anche decine se non centinaia di volte superiore alla mera compensazione della perdita subita a causa del danno inferto che spetterebbe, per esempio, in un ordinamento di civil law come il nostro. Ebbene il silenzio del legislatore in questo ambito è assordante: una probabile spiegazione che si può intuire, ma che non è mai stata esplicitata è che l’introduzione di un simile istituto, che peraltro è sempre stato fortemente osteggiato anche dalla giurisprudenza sia di legittimità che costituzionale soprattutto in sede di riconoscimento di efficacia di sentenze straniere nell’ordinamento italiano, la cosiddetta delibazione, potrebbe esporre parte del nostro sistema produttivo e non solo, al pagamento di esorbitanti richieste di risarcimento.

È evidente che vi è anche un altro lato della medaglia che deve essere valorizzato: il sistema industriale nordamericano è così efficiente anche perché il timore di subire condanne al risarcimento per danni ludicrous ovvero smodati è tale, che determina senz’altro parte dell’estrema attenzione nei controlli qualità e nella soddisfazione del cliente: ciò per altro ha anche un immediato risvolto sulla durata dei processi civili che proprio per evitare sentenze esiziali nel quantum, si concludono molto prima con conciliazioni al ribasso tra le parti. Tuttavia pare che una breccia si sia aprendo nella granitica difesa dell’ordinamento nazionale dalle contaminazioni straniere che non sia l’oltre ogni ragionevole dubbio: la Corte di cassazione, sezione I civile, con ordinanza interlocutoria del 16 maggio 2016, n. 9978 ha rinviato alle sezioni Unite della Suprema corte la decisione sul riconoscimento dell’efficacia e dell’esecutività di una sentenza straniera resa da una Corte della Florida, che aveva condannato una società italiana produttrice di caschi a pagare la complessiva somma di dollari Usa 1.436.136,87, una buona parte proprio quale danni puntivi.

Ovviamente la società italiana si oppone fieramente al riconoscimento della sentenza straniera, richiamandosi alla giurisprudenza sopracitata, per cui i danni punitivi sarebbero contrari all’ordine pubblico italiano, come lo erano una volta le sentenze straniere di divorzio prima della legge Fortuna Baslini.

Giustamente la Cassazione si pone più di qualche dubbio su questa interpretazione rifacendosi alle più recenti interpretazioni in materia di ordine pubblico che distinguono tra ordine pubblico interno e internazionale, essendo solo quest’ultimo, in quanto portatore dei princìpi fondamentali caratterizzanti l’ordinamento interno in un determinato periodo storico, ma fondati su esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo comuni ai diversi ordinamenti e desumibili, innanzi tutto, dai sistemi di tutela approntati a livello sovraordinato rispetto alla legislazione ordinaria (vd., tra le tante, Cassazione n. 1302 e 19405 del 2013, 27592/2006, 22332/2004, 17349/2002, 2788/1995), sostanzialmente inviolabile, meritevole della massima tutela. Ne deriva quindi, riassumendo brevemente in questa prospettiva, che non dovrebbe considerarsi pregiudizialmente contrario a valori essenziali della comunità internazionale (e, quindi, all’ordine pubblico internazionale) l’istituto di origine nordamericana dei danni non risarcitori, aventi carattere punitivo: una statuizione di tal genere potrebbe esserlo, in astratto, solo quando la liquidazione sia giudicata effettivamente abnorme. A oggi le sezioni Unite non si sono ancora pronunciate. Tuttavia è lecito immaginare per un attimo cosa accadrebbe se anche in Italia trovasse un’americanizzazione anche del diritto civile, come si è tentato in ambitp penale. Probabilmente occorrerebbe rivedere tutte le tabelle per il risarcimento del danno biologico e non patrimoniale attualmente in vigore: ciò determinerebbe ovviamente un diretto riflesso sulle manleve delle assicurazioni e in definitiva sui premi da queste ultime richieste agli assicurati che subirebbero un’inevitabile impennata. Si pensi all’entità dei risarcimenti civili in casi dal notevole riscontro mediatico come i morti per l’incendio alla Thyssen Krupp o i medici condannati a Milano a pesanti pene detentive per interventi “inutili” effettuati al solo fine di “monetizzare” i rimborsi del sistema sanitario nazionale a una clinica convenzionata, o ai casi dei centinaia di morti per l’amianto, o tuti i processi per danni ambientali... Ciò significa che l’oltre ogni ragionevole dubbio è un principio che acquisisce senso perché inserito in un sistema complesso e omogeneo, dove un colpevole può essere liberato per non condannare un innocente, ma ciò non impedisce di colpire duramente il reo, tramite condanne pecuniarie tali da determinare l’espulsione definitiva dal sistema produttivo, di chi sia reso colpevole di comportamenti frodatori e ingannatori nei confronti della comunità: occorre quindi riflettere sulle reali motivazioni alla base di richiami parziali a ordinamenti giuridici stranieri effettuati solo nelle parti che mediaticamente o sulla base di pressioni contingenti risultano convenienti in un dato momento, ignorando più o meno consapevolmente, più o meno opportunisticamente i controlli e bilanciamenti a corollario di quello stesso sistema: per tornare all’Uomo della Pioggia prima citato, in America può ancora capitare che una piccola donna di Memphis Tennessee, possa mandare a gambe all’aria una grande compagnia assicurativa.


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