Sentenze

Cassazione, è violenza sessuale il “succhiotto” sul collo

di Francesco Machina Grifeo

La Cassazione, sentenza 10 novembre 2016 n. 47265 , ha confermato la condanna di un uomo a 6 anni e due mesi per violenza sessuale ai danni della sua ex amante includendo, al termine di un’attenta disamina, fra gli atti di natura sessuale anche il cosiddetto «succhiotto» sul collo imposto con la precisa intenzione di apporre «un “marchio” visibile a chiunque fosse interessato ad una relazione con lei».
Il condannato, accusato anche di aver palpeggiato la donna sul seno e sulla zona pubica e di aver avuto con lei un rapporto sessuale, ha contestato, con riguardo al succhiotto, l'esistenza dell'elemento soggettivo del reato di violenza e la natura sessuale dell'atto, oltre all'assenza di ogni consapevolezza circa tale natura dal momento che «esso non attinge zone erogene».

Per la Suprema corte «la natura “sessuale” dell'atto (che preesiste alle intenzioni dell'agente ma anche alla sensibilità della vittima) deve essere valutata secondo il significato “sociale” della condotta, avuto riguardo all'oggetto dei toccamenti, ma anche - quando ciò non sia sufficiente - al contesto in cui l'azione si svolge, ai rapporti intercorrenti tra le persone coinvolte e ad ogni altro elemento eventualmente sintomatico di una indebita compromissione della libera determinazione della sessualità del soggetto passivo». In questo senso, la Corte di appello non aveva riconosciuto la minore gravità dei fatti proprio perché consumati sul luogo di lavoro o comunque all'esito di «appostamenti e agguati improvvisi».
Il cosiddetto “succhiotto”, prosegue la sentenza richiamando un precedente (n. 44063/2014), «si definisce comunemente come “morso d'amore” (per la carica di passionalità e ardore che lo caratterizza) e consiste in un livido causato dalla suzione con le labbra di una parte dell'epidermide o da un bacio molto aggressivo che inizialmente lascia tracce di colore rossastro dovute alla rottura dei capillari e che si trasforma in colore viola o nero man mano che la lesione guarisce acquisendo la natura di una ecchimosi». Mentre i dizionari della lingua italiana lo descrivono come «una specie di bacio che si dà succhiando prolungatamente la pelle, e che lascia un segno livido» (Garzanti) o come «il livido lasciato da un bacio dato succhiando la pelle» (Treccani).
«Appare evidente, dunque - prosegue la Corte -, la natura sessuale dell'atto che non comporta un mero toccamento delle labbra con una parte del corpo ma esige un'attività prolungata sul corpo stesso che, proprio per la sua durata ed intensità, esprime esattamente quella carica erotica che il concedersi con piacere alla bocca altrui comporta». «Una carica – conclude la sentenza - pienamente colta dall'imputato che ne fa strumento di una riaffermata (e malintesa) signoria sulla donna con un simbolo (il livido lasciato sul collo) che vuoi significare un'intimità sessuale esattamente percepibile e percepita come tale dai consociati senza necessità di ulteriori specificazioni».


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